Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7909 del 17/04/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/04/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 17/04/2020), n.7909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6404/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

HOLDING SERVICE SRL, rappresentata e difesa dall’avv. Antonio

Guantario, elettivamente domiciliata in Roma, via A. Bevignani, n.

9, presso lo studio dell’avv. Giuseppe De Simone.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, sezione n. 14, n. 15/14/12, pronunciata il 9/01/2012,

depositata il 20/01/2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 dicembre

2019 dal Consigliere Dott. Guida Riccardo.

Fatto

RILEVATO

che:

1. l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, indicata in epigrafe, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento IRPEG, IRAP, IVA, per l’annualità 2003, che recuperava a tassazione costi, indeducibili/indetraibili, per l’acquisto di beni strumentali, che poi non erano stati iscritti in bilancio, tra le immobilizzazioni materiali, sul presupposto che, in mancanza dell’esibizione delle scritture contabili da parte della contribuente, non fosse possibile riscontrare la veridicità dei detti costi (per Euro 2,5 milioni) e del connesso credito IVA – in riforma della sentenza di primo grado, è stato accolto l’appello della contribuente;

2. la commissione regionale, per quanto ancora interessa, ha rilevato che: (a) in fase amministrativa, era stato del tutto pretermesso il contraddittorio tra Amministrazione finanziaria e la società contribuente e che, inoltre, non era stato rispettato il termine dilatorio, previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, prima dell’emanazione dell’atto impositivo; (b) infatti, il verbale di constatazione, datato 18/12/2008, era stato redatto lo stesso giorno dell’accesso dei verificatori, i quali si erano recati all’indirizzo di residenza di C.G., legale rappresentante della società, (che coincideva con la sede legale della società) e, parlando al citofono condominiale, avevano appreso dalla figlia (minorenne) di costui che il padre (che, secondo la minore, svolgeva attività di commercio all’ingrosso di olii alimentari) era ricoverato all’ospedale; (c) senza la preventiva richiesta di esibizione delle scritture contabili e senza concedere, alla società, il termine di 60 giorni, il giorno dopo – 19/12/2008 – era stato emesso l’avviso di accertamento, fondato su una serie di inammissibili presunzioni, quali la mancanza di presentazione della documentazione contabile, in forza delle quali erano state (ulteriormente) evinte, sempre in via presuntiva, l’inesistenza dei beni strumentali e l’indebita detrazione IVA, su operazioni inesistenti (anch’esse presunte);

sotto altro aspetto, la CTR ha premesso che, trattandosi di società in liquidazione, per l’esercizio 2003, erano state presentate due distinte dichiarazioni dei redditi, quella relativa al periodo pre-liquidazione (01/01/2003-22/07/2003) e quella relativa al periodo residuale (23/07/2003-31/12/2003); ha soggiunto che, pur non essendo chiaro al Collegio (e non essendosi l’Amministrazione finanziaria fatta carico di spiegare tale profilo), se l’indebita detrazione IVA e i maggiori ricavi non dichiarati si riferissero alla prima o alla seconda dichiarazione infrannuale, comunque, in questa seconda ipotesi, attinente a un periodo di sostanziale inoperatività della società, era errata la ricostruzione induttiva del reddito poggiante sul volume d’affari della società, relativo al periodo di piena produttività, che aveva preceduto la fase della liquidazione;

3. la contribuente resiste con controricorso, illustrato con una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a. preliminarmente, va dichiarata inammissibile la memoria della contribuente ex art. 380-bis1 c.p.c., in quanto depositata in data 13/12/2019, oltre il termine di dieci giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio previsto dal medesimo articolo;

1. con il primo motivo del ricorso (Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 24 e 57, e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per vizio di ultrapetizione, ossia per avere accolto un motivo d’appello, quale la violazione della citata L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, che costituiva una questione sollevata dalla società, inammissibilmente, per la prima volta, in primo grado, in una memoria illustrativa, anzichè, come sarebbe stato necessario, fino dal ricorso introduttivo del giudizio;

1.1. il motivo è infondato;

diversamente da quanto sostiene la difesa erariale, la commissione regionale non è incorsa nel dedotto vizio di ultrapetizione in quanto, dal contenuto del ricorso introduttivo del giudizio – trascritto nel controricorso (pagg. 2-3) – si evince che la contribuente aveva dedotto, fin dall’inizio, quale motivo d’impugnazione dell’avviso, la circostanza che esso fosse stato: “emesso senza alcun contraddittorio con la società scrivente e/o con il proprio rappresentante legale”; sempre in primo grado, nella memoria di replica alle controdeduzioni dell’ufficio anch’essa riprodotta nel controricorso (pag. 4) -, la ricorrente aveva specificato che, per giurisprudenza costante, il mancato riconoscimento, al contribuente, del termine dilatorio di 60 giorni (dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo), per le deduzioni difensive, come previsto dalla citata L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, determina la nullità dell’atto impositivo;

2. con il secondo motivo (2. In via subordinata, insufficiente motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’Agenzia censura il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che ha anapoditticamente ritenuto privo di giustificazione l’accertamento relativo alla parte del periodo d’imposta 23/07/2003-31/12/2003, trascurando, da un lato, che l’accertamento era esteso all’intera annualità, non avendo la contribuente esibito le fatture di acquisto e di vendita relative all’intero 2003, dall’altro che, in relazione all’arco temporale infrannuale (23/07/200331/12/2003), la pretesa erariale era costruita sulla base della mancata esibizione della documentazione contabile;

2.1. il motivo è inammissibile;

è sufficiente rammentare che, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore “ratio decidendi”, giacchè, ancorchè esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta (Cass. 30/06/2005, n. 13956);

nella fattispecie concreta, in applicazione di questo princìpio, il rigetto del motivo che si appunta contro l’autonoma ratio decidendi della sentenza d’appello, che ha ravvisato la nullità dell’avviso per difetto del contraddittorio preventivo, citata L. 27 luglio 2000, n. 212, ex art. 12, comma 7, rende superfluo l’esame di questa ulteriore doglianza;

3. con il terzo motivo (3. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 nonchè D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, nonchè dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.), l’Agenzia ascrive alla sentenza impugnata, per un verso, di avere erroneamente ritenuto applicabile, nel caso di specie, l’art. 12 dello Statuto del contribuente, senza considerare che l’attività di controllo dell’ufficio non s’inseriva entro la cornice di una verifica fiscale, in quanto la società, dopo l’accesso dei verificatori del 18/12/2008, non si era fatta parte diligente e, quindi, non aveva dato seguito al contraddittorio provocato dall’AF con l’accesso medesimo; per altro verso, di non avere rilevato che, anche assumendo (per assurdo) che si fosse verificata la violazione della citata L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per la stessa violazione non è prevista la sanzione della nullità dell’atto impositivo;

3.1. il motivo è infondato;

è stato precisato (cfr. p. 2. del “rilevato che”) che, nel caso di specie, si è trattato di una verifica fiscale mediante accesso, presso la sede legale della società, documentato da un verbale di constatazione – e non, quindi, di un accertamento cd. tavolino -, sicchè la censura dell’ufficio va disattesa alla luce del saldo indirizzo di questa Sezione tributaria (Cass. 15/01/2019, n. 701), che il Collegio condivide, secondo cui: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio.”;

5. ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna dell’Agenzia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità;

rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (Cass. 29/01/2016, n. 1778);

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso, condanna l’Agenzia a corrispondere alla contribuente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.100,00, a titolo di compenso, oltre a Euro 200,00, a titolo di esborsi, al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 17 aprile 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA