Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7906 del 06/04/2011

Cassazione civile sez. II, 06/04/2011, (ud. 18/02/2011, dep. 06/04/2011), n.7906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

Z.G., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in calce al ricorso, dagli Avv. Marchi Giuliano e Filippo

Castellani, elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo in

Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 10;

– ricorrente –

contro

F.A., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale

a margine del controricorso, dagli Avv. Sartori Antonio, Claudio

Codognato e Andrea Manzi, elettivamente domiciliati nello studio di

quest’ultimo in Roma, via F. Confalonieri, n. 5;

– controricorrente –

e contro

H.P. e H.D.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia n.

237 in data 13 febbraio 2009.

Udita, la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito l’Avv. Federica Manzi, per delega dell’Avv. Andrea Manzi;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso: “aderisce

alla relazione”.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 7 dicembre 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:

” F.A. chiese al Tribunale di Venezia che, previo accertamento della proprietà condominiale del tetto e del vano sottotetto dell’edificio condominiale posto a (OMISSIS), venisse accertata e dichiara l’illegittimità delle opere eseguite da Z.G., con condanna di quest’ultimo alla loro rimozione.

Si costituì il convenuto, resistendo.

Con sentenza depositata il 18 maggio 2005, l’adito Tribunale accertò l’illegittimità degli interventi effettuati dallo Z. e lo condannò all’immediato ripristino dello stato dei luoghi, oltre che al risarcimento dei danni, liquidati in via equitativa in Euro 700.

Il primo giudice osservava che la realizzazione della terrazza e dell’altana da parte del convenuto aveva prodotto una trasformazione del tetto che era stato asservito all’uso esclusivo di un solo condomino.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 13 febbraio 2009, ha respinto il gravame dello Z.. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello lo Z. ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi.

L’intimata F. ha resistito con controricorso, mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 cod. civ., per avere la Corte di merito ritenuto che la costruzione dell’altana costituisca una illegittima alterazione dell’originaria destinazione del tetto.

Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione della medesima disposizione, per avere la Corte d’appello ritenuto che la costruzione della cd. “vasca d’accesso” all’altana costituisca sottrazione della cosa comune.

Entrambi i motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

La Corte d’appello ha valutato, con congruo e motivato apprezzamento delle risultanze di causa (in particolare, della disposta c.t.u.), che le opere in questione determinano una alterazione dell’originaria destinazione del tetto, che viene sottratto all’utilizzazione da parte degli altri condomini, i quali non possono fare alcun uso della parte comune che è occupata dalla sagoma dell’altana e delle costruzioni ad esso accessorie. Tanto premesso in fatto, correttamente la Corte ha ritenuto illecita tale modifica, non potendo essere invocato l’art. 1102 cod. civ., poichè si è in presenza dell’appropriazione di una parte della cosa comune che viene definitivamente sottratta ad ogni possibilità di futuro godimento da parte degli altri.

Il terzo motivo denuncia “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’appello di Venezia ritenuto che l’accesso al tetto del condominio fosse possibile solo tramite una botola posta nel vano scala condominiale in corrispondenza ad un sovrastante lucernario; violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 1117 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello di Venezia ritenuto che il sottotetto di accesso all’altana sia di proprietà condominiale”. Esso si conclude con il seguente quesito di diritto: “se la potenziale funzione di incomodo passaggio al tetto, svolta dal sottotetto, sia elemento sufficiente per annoverare detta parte dell’edificio tra le parti comuni come parte necessaria all’uso comune nell’accezione di cui all’art. 1117, n. 1”.

Sulla base della consulenza tecnica e dell’esito della prova testimoniale, la Corte di merito è pervenuta alla conclusione che, non disponendo diversamente il titolo di acquisto, il sottotetto è di proprietà comune, “considerato l’ampiezza” del medesimo, “la sua praticabilità e, soprattutto, l’accesso dal vano scala”, “non potendo essere modificata tale sua qualità dall’abusiva chiusura da parte dello Z. della botola posta nel vano scala”.

La conclusione alla quale è giunta la sentenza della Corte d’appello si sottrae alla censura prospettata, posto che, salvo che il titolo disponga diversamente, l’appartenenza del sottotetto si determina in base alla funzione cui esso è destinato in concreto, e nella specie correttamente è stata applicata la presunzione di comunione, data la potenziale utilizzabilità per usi comuni, accertata dalla Corte di merito con adeguata motivazione in fatto.

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.

Letta la memoria della controricorrente.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 18 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2011

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