Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7901 del 19/03/2021

Cassazione civile sez. II, 19/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 19/03/2021), n.7901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26118-2019 proposto da:

M.M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

GROTTAROSSA 50, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO MORI, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 2295/2019 del TRIBUNALE di

CAGLIARI, depositato il 30/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO

che M.M.N. ricorre avverso la decisione del Tribunale di Cagliari, di cui in epigrafe, che ne aveva rigettato l’opposizione avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, che ne aveva disatteso la domanda di protezione internazionale;

che il richiedente aveva narrato di essere emigrato dal (OMISSIS) a cagione della condizione di povertà della famiglia (il padre non poteva lavorare perchè malato, la casa era stata ipotecata e aveva venduto le mucche, procurandosi la somma di denaro necessaria per il viaggio), in Libia, ove era dapprima giunto, sebbene lavorasse, non veniva retribuito e gli avevano anche sottratto il passaporto, subiva violenze e ruberie e così si era imbarcato, giungendo in Italia;

che il Tribunale aveva escluso sussistere il diritto alle protezioni maggiori, mancandone i presupposti, trattandosi di emigrazione per motivi economici, e anche il diritto alla protezione umanitaria, non essendo stata riscontrata, a seguito della comparazione, un’appezza bile integrazione in Italia;

ritenuto che il richiedente ricorre avverso il decreto del Tribunale sulla base di tre motivi e che il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso nel suo complesso risulta, all’evidenza, inammissibile, mancando alcuna apprezzabile corrispondenza tra la vicenda in esso narrata e quella pesa in esame dal Tribunale, al quale, peraltro, non si addebita di aver motivato su fatti e vicenda impertinenti, sul punto è bastevole riportare che:

– con il primo motivo si fa riferimento “alla scomparsa del fratello e al fatto che lui (il ricorrente) debba mantenere ben tre famiglie”, nonchè ad atti persecutori, criticandosi, infine il giudizio di non attendibilità che il Tribunale avrebbe espresso;

– con il secondo motivo si insiste ulteriormente sulla intrinseca credibilità del narrato, sul pericolo derivante da atti persecutori, nonchè sul mancato apprezzamento “delle prassi violente descritte e l’incidenza causale delle inerzie delle autorità statuali sulla loro realizzazione”;

– con il terzo motivo si fa riferimento alla mancata valorizzazione di un contratto di lavoro quale “collaboratore domestico”, nel mentre dal decreto del Tribunale si trae che il richiedente aveva dichiarato di lavorare in un negozio di alimentari di un connazionale;

considerato che il soccombente ricorrente deve essere condannato al rimborso delle spese in favore del costituito Ministero nella misura di cui in dispositivo, tenuto conto della qualità della causa, del suo valore e delle attività svolte;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali in favore del Ministero controricorrente, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese anticipate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021

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