Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 790 del 16/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 790 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: AMOROSO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 27463-2010 proposto da:
UNICREDIT S.P.A. C.F. 00348170101, in persona del
legale rappresentante pro tempore elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA F. MARCHETTI 35, presso lo
studio dell’avvocato CATI AUGUSTO, che lo rappresenta
e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2945

contro

APOSTOLITI NATALE C. F. PSTNTL52M55452U, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA G. CALDERINI 68, presso lo
studio dell’avvocato VONA GIUSEPPE, rappresentato e

Data pubblicazione: 16/01/2014

difeso dall’avvocato DIANA LINO, giusta delega in
atti;

controri corrente

avverso la sentenza n. 5481/2009 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 14/01/2010 r.g.n. 7312/2005;

udienza del 22/10/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
AMOROSO;
udito l’Avvocato CATI AUGUSTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
I
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso al Tribunale di Frosinone, quale giudice del lavoro, Apostoliti
Natale esponeva di esser stato assunto a termine dalla Banca di Roma con un primo
contratto, dal 18/11/1999 al 30/6/1999, con

mansioni di ufficiale di riscossione

presso la concessione dei servizi tributi di Frosinone, successivamente prorogato al
10/12/1999; con un secondo contratto, per le medesime mansioni, dal 27/4
all’1/8/2000 e con un successivo terzo contratto dal 12/9 al 17/12/2000.

chiedeva al Tribunale di dichiararla e di affermare la costituzione fra le parti di un
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con condanna della società al
ripristino del rapporto ed alla reintegrazione o riammissione in servizio oltre al
pagamento delle retribuzioni spettanti dalla cessazione del primo contratto oppure
dalla data ritenuta di giustizia.
Si costituiva la Banca di Roma s.p.a., che richiedeva il rigetto del ricorso.
Il Tribunale di Frosinone, con la sentenza n. 793 del 2004, accoglieva la
domanda dell’originario ricorrente, e, pur ritenendo la legittimità dei contratti a
termine in quanto stipulati per l’ipotesi prevista ex 1. n. 56/1987 dalla contrattazione
collettiva, accertava la illegittimità della proroga del primo contratto a termine.
2. Avverso tale sentenza ha proposto appello la Banca di Roma s.p.a.
rilevando l’erroneità della sentenza nella valutazione della esigenza contingente e
imprevedibile che legittimava la proroga.
Si è costituito l’appellato per resistere al gravame chiedendone il rigetto.
La Corte d’appello di Roma con sentenza del 26/6/2009 rigettava l’appello
condannando l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio.
3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società UNICREDIT
s.p.a., subentrata alla Banca di Roma, con quattro motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 230 del 1962 e dell’art. 23 della legge n.
56 del 1987, nonché vizio di motivazione. Censura la sentenza impugnata in
particolare nella parte in cui non ha riconosciuto l’imprevedibilità delle circostanze
alla base della proroga del contratto datata 24 giugno 1999. In sede di definizione di
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ud. 3 ottobre 2013

Deduceva la illegittimità dell’apposizione del termine o della proroga e

una grande massa di procedimenti esecutivi per cartelle esattoriali non pagate,
prolungatisi tanto da richiedere la proroga in questione, vi erano obiettivamente
esigenze imprevedibili che pertanto giustificavano la proroga.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 1321, 1362 c.c. nonché vizio di motivazione. In particolare richiama
l’accordo collettivo 27 marzo 2000 che esplicitamente faceva riferimento all’esigenza
di fronteggiare temporaneamente un notevole carico di lavoro che legittimava la

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 420 e 115 c.p.c. nonché vizio di motivazione. La banca aveva richiesto
prova per testi in ordine al grande numero delle esecuzioni giudiziali in questione,
prova che la corte d’appello non aveva ammesso.
Con il quarto e ultimo motivo la ricorrente invoca la nuova normativa dettata
dall’art. 32 della legge 183 del 2010, in particolare quanto alla valutazione del
risarcimento del danno.

2. Il ricorso — nei sui primi tre motivi possono essere esaminati
congiuntamente in quanto connessi — è infondato.
E’ vero che in tema di identificazione delle fattispecie nelle quali è consentita
assunzione di lavoratori subordinati con contratto di lavoro a termine ai sensi dell’art.
23 1. 28 febbraio 1987 n. 56 (disposizione che opera sul medesimo piano della
disciplina generale dettata in materia dalla 1. 18 aprile 1962 n. 230 e si inserisce nel
sistema da questa delineato), la contrattazione collettiva è libera di individuare nuove
ipotesi di legittima apposizione del termine, anche in considerazione di ragioni
soggettive connesse alla condizione dei lavoratori assunti.
Tale disposizione (l’art. 23 cit.) attribuisce quindi alla contrattazione collettiva
la possibilità di identificare nuove ipotesi di legittima apposizione del termine, le
quali possono essere diverse e più ampie rispetto a quelle previste dalla 1. 18 aprile
1962 n. 230; ma si inserisce pur sempre nel sistema delineato da tale legge con la
conseguenza che ai contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 23 1. n. 56 del 1987,
nella vigenza della 1. n. 230 del 1962, sono applicabili non solo le disposizioni di cui
all’art. 2 di questa legge, ma anche quelle di cui all’art. 1, nei limiti della loro
compatibilità, e all’art. 3, in materia di onere della prova; rispetto a tali contratti non
si applica la successiva e meno rigida disciplina dettata dal d.leg. n. 368 del 2001,
che reca l’abrogazione delle disposizioni della I. n. 230 del 1962 ma non ha alcuna
efficacia retroattiva e non spiega quindi alcun effetto anche se gli effetti di tali
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ud. 3 ottobre 2013

proroga del contratto a termine.

contratti siano destinati a protrarsi nel tempo sino ad epoca successiva alla sua
entrata in vigore.
Va quindi ribadito quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte
(Cass., sez. un., 19 ottobre 1993, n. 10343) che hanno ritenuto che, in tema di
identificazione delle fattispecie nelle quali è consentita l’assunzione di lavoratori
subordinati con contratto di lavoro a termine, le disposizioni di cui all’art. 23 1. 28
febbraio 1987 n. 56 operano sul medesimo piano della disciplina generale dettata in

con la conseguenza che la loro violazione non si sottrae all’effetto di conversione in
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, stabilito, a titolo sanzionatorio, dall’art. 2
di tale ultima legge. Cfr., in epoca più recente, Cass. civ., sez. lav., 10-09-2010, n.
19365, che hanno ribadito che nel regime della 1. 18 aprile 1962 n. 230, la disciplina
del relativo art. 2, quanto alla possibilità di proroga del termine apposto al contratto
di lavoro, è applicabile anche all’ipotesi di contratto originariamente stipulato ai
sensi del d.l. n. 17 del 1983 art. 8 bis come introdotto dalla 1. conversione n. 79 del
1983, ancorché detta proroga mantenga la durata del contratto all’interno del periodo
autorizzato dall’ispettorato del lavoro a norma di quest’ultima legge.
Pertanto – come ha correttamente ritenuto la Corte d’appello – la proroga del
contratto di lavoro a tempo determinato, ai sensi dell’art. 2 1. n. 230 del 1962, è
legittima solo se ricorrono esigenze contingenti ed imprevedibili, che devono essere
ontologicamente diverse da quelle che costituivano la ragione dell’iniziale contratto.
Quindi, nel regime precedente al d.lgs. n. 368 del 2001 (che all’art. 4 ha
introdotto una nuova disciplina della proroga del contratto di lavoro a tempo
indeterminato) non applicabile nella specie ratione temporis, le circostanze che
giustificano la proroga – che devono ricorrente anche nelle assunzioni a termine ex
art. 23 1. n. 56/1987 – devono essere ontologicamente diverse da quelle che hanno
giustificato l’originaria apposizione del termine e devono rivestire i caratteri della
contingenza ed imprevedibilità.
Nella specie i giudici di merito hanno osservato che le parti collettive
avevano previsto l’assunzione a termine di personale con qualifica di ufficiali di
riscossione in relazione alla necessità di completare in via esecutiva le partite
insolute arretrate causate dalla vicenda delle cosiddette “cartelle pazze” (ossia
cartelle esattoriali erronee), per la quale il Ministero delle Finanze aveva prima
disposto la sospensione dei ruoli e successivamente revocato la sospensione
medesima.
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ud. 3 ottobre 2013

materia dalla 1. 18 aprile 1962 n. 230 e si inseriscono nel sistema da questa delineato,

Deduce la ricorrente che l’esigenza della proroga era stata determinata dal
fatto che non si era ancora potuto concludere il processo di completamento e
definizione delle partite insolute, esigenza richiamata da un accordo collettivo del
2000.
Ma – ha correttamente osservato la Corte territoriale – la circostanza che le
parti collettive confermassero nell’anno 2000 la perdurante situazione di “arretrato”
delle partite di riscossione è comunque irrilevante, posto che la proroga (del 1999),

Rimane quindi – ha ulteriormente rilevato la Corte territoriale – che non è
stato dedotto alcun “fatto nuovo e imprevedibile” che abbia impedito l’auspicato
smaltimento dell’arretrato esistente alla data del primo contratto a termine;
valutazione questa tipicamente di merito, assistita da motivazione sufficiente e non
contraddittoria.

3. Anche il quarto motivo, che riguarda lo ius supervenies (art. 32 1. b. 183
del 2010), è infondato perché in appello la questione del risarcimento del danno non
era stata devoluta dall’appellante con l’atto di impugnazione.
In proposito questa Corte (Cass., sez. lav., 3 gennaio 2011, n. 65) ha
affermato che le disposizioni dell’art. 32, 5 0 comma, seg. 1. n. 183/2010 sulla
indennità in caso di termine nullo possono applicarsi ai giudizi pendenti in sede di
gravame solo a condizione che sussista un motivo di impugnazione sulla situazione
risarcitoria. Cfr. anche Cass., sez. lav., 1 ottobre 2012, n. 16642, che ha ribadito che
nel giudizio di legittimità, lo ius superveniens, che introduca una nuova disciplina del
rapporto controverso, può trovare applicazione alla condizione, necessaria, che la
normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto
che i principi generali dell’ordinamento in materia di processo per cassazione – e
soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso
l’individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse richiedono che il motivo del ricorso, con cui è investito, anche indirettamente, il tema
coinvolto nella disciplina sopravvenuta, oltre che sussistente sia ammissibile secondo
la disciplina sua propria; ne consegue che – ove sia invocata l’applicazione dell’art.
32, 5 0 , 6° e 7° comma, 1. n. 183 del 2010 con riguardo alle conseguenze economiche
della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine al contratto di
lavoro – è necessario che i motivi del ricorso investano specificamente le
conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine, non essendo possibile
chiedere l’applicazione diretta della norma al di fuori del motivo di impugnazione.
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ud. 3 ottobre 2013

della cui legittimità si controverte, è anteriore a tale accordo.

4. Il ricorso va quindi nel suo complesso rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in
dispositivo.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di

(quattromila) per compensi d’avvocato ed oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2013
Il Consigliere

Il Presidente

questo giudizio di cassazione liquidate in euro 100,00 (cento) oltre curo 4.000,00

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