Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 79 del 04/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 04/01/2017, (ud. 23/11/2016, dep.04/01/2017),  n. 79

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 23099-2011 proposto da:

UNIVERSITA’ CA’ FOSCARI DI VENEZIA C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

FIORILLO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ADALBERTO PERULLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati CARLA

D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, giusta delega in atti;

– K.E. C.F. (OMISSIS), M.B.I. C.F. (OMISSIS),

L.I. C.F. (OMISSIS), (e per esso le sue eredi LA.MA.GR. C.F.

(OMISSIS) e la figlia L.Y. C.F. (OMISSIS)) tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LORENZO PICOTTI, giusta delega in

atti e Atto di costituzione del 18/11/2016 in atti;

– controricorrenti –

E sul ricorso 23444-2011 proposto da:

K.E. C.F. (OMISSIS), M.B.I. C.F. (OMISSIS),

L.I. C.F. (OMISSIS), (e per esso le sue eredi LA.MA.GR. C.F.

(OMISSIS) e la figlia L.Y.C.F. (OMISSIS)) tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LORENZO PICOTTI, giusta procura

speciale e atto di costituzione del 18/11/2016 in atti;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI

VENEZIA, I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F.

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 866/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/03/2011 R.G.N. 943/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2016 dal Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato PICOTTI LORENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per: in via principale, rimessione

alle SS.UU., in subordine estinzione del procedimento, in ulteriore

subordine rigetto del ricorso dell’UNIVERSITA’ e del ricorso dei

lavoratori.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1 – Il Tribunale di Venezia, in parziale accoglimento del ricorso proposto da K.E., L.I., M.B.I., lettori di lingua araba ed inglese presso l’Università degli Studi Cà Foscari, con sentenza parziale n. 1184/2005, accertava il diritto dei ricorrenti a percepire il trattamento retributivo e previdenziale del ricercatore confermato a tempo pieno dalla data della prima assunzione; dichiarava la nullità dei contratti stipulati ai sensi della L. n. 236 del 1995; condannava l’Università ad effettuare la ricostruzione della carriera lavorativa, al pagamento delle somme da quantificarsi in prosieguo di giudizio, al versamento dei contributi previdenziali sulle differenze retributive. Il Tribunale accoglieva, inoltre, anche la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la violazione del diritto comunitario, danno liquidato con riferimento alle differenze contributive coperte da prescrizione della L. n. 335 del 1995, ex art. 3.

2 – Con la sentenza definitiva n. 415 del 2007, all’esito dell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, venivano quantificate le somme dovute ai ricorrenti per le causali sopra indicate, ed i convenuti venivano condannati al pagamento dei relativi importi nonchè della maggior somma fra interessi legali e rivalutazione monetaria.

3 – La Corte di Appello di Venezia, adita dall’Università e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha confermato dette statuizioni, con la sola eccezione della condanna al risarcimento dei danni derivati dalla violazione del diritto comunitario, ed ha respinto anche l’appello incidentale, con il quale erano state riproposte le domande non accolte in primo grado volte ad ottenere: il mantenimento della qualifica di lettori universitari sino al termine del rapporto; la stabilizzazione dei compiti didattici di insegnamento linguistico e, comunque, delle mansioni espletate prima della conclusione dei contratti di collaborazione linguistica; il risarcimento del danno derivato dal demansionamento.

4 – La Corte territoriale in punto di fatto ha premesso che gli appellati avevano ottenuto dal Pretore di Venezia, con sentenza passata in giudicato, la trasformazione del contratto di lettorato, stipulato ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, in rapporto a tempo indeterminato. Successivamente, peraltro, a seguito della entrata in vigore della L. n. 236 del 1995 l’Università aveva assunto gli originari ricorrenti in qualità di collaboratori esperti linguistici.

Ciò premesso il giudice di appello ha osservato che:

a) doveva ritenersi infondata l’eccezione di giudicato sollevata dall’Università quanto alle differenze retributive, non perchè, come ritenuto dal Tribunale, nel precedente giudizio l’adeguamento era stato domandato solo in relazione alla retribuzione del professore associato a tempo definito e non a quella del ricercatore confermato a tempo pieno, bensì perchè la capacità espansiva del giudicato si arresta nei casi in cui lo stesso sia incompatibile con il diritto comunitario;

b) i contratti stipulati ai sensi della L. n. 236 del 1995 risultavano privi di causa perchè al momento della stipula era già in atto fra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, per effetto di quanto statuito dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 2.8.1993;

c) non produce novazione la diversa regolamentazione pattizia delle modalità di svolgimento della preesistente prestazione, perchè la novazione oggettiva presuppone la chiara volontà di estinguere l’originaria obbligazione sostituendola con una nuova, che sia diversa quanto all’oggetto della prestazione o al titolo del rapporto;

d) i resistenti non avevano allegato e provato circostanze concrete dalle quali potesse desumersi la volontà risolutoria;

e) le differenze retributive dovevano essere quantificate nel rispetto di quanto previsto dalla L. n. 63 del 2004 e, quindi, assumendo a parametro il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo pieno o definito con effetto dalla data della prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli;

f) detta disciplina trovava applicazione anche nella fattispecie perchè emanata in esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia e, quindi, riferibile a tutti gli appartenenti alla stessa categoria, anche se non dipendenti dalla Università alle quali si riferiva la procedura di infrazione;

g) gli appellati avevano dedotto nel ricorso introduttivo di avere prestato attività lavorativa rispettando mediamente l’orario annuo di 500 ore, sicchè, a fronte della tardività della contestazione, agli stessi doveva essere riconosciuta la retribuzione dovuta al ricercatore a tempo pieno;

h) non era maturata la prescrizione perchè il diritto poteva essere fatto valere solo successivamente alla entrata in vigore della L. n. 63 del 2004, con la quale lo Stato italiano aveva ovviato al perdurante inadempimento, riconoscendo ab initio un trattamento economico idoneo ad eliminare ogni discriminazione in danno dei lettori di lingua straniera;

i) infondata era, invece, la domanda risarcitoria proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il ritardo nell’adempimento degli obblighi comunitari, sia perchè detto obbligo non era sufficientemente dettagliato, sia in quanto nulla era stato dedotto e provato in merito al danno previdenziale e le carenze non erano state sanate dalla consulenza tecnica d’ufficio, che aveva solo quantificato gli importi dei contributi previdenziali prescritti;

l) gli appellanti incidentali non avevano dimostrato nè il danno asseritamente derivato dalla assunzione della diversa qualifica di collaboratori linguistici nè il dedotto demansionamento;

m) in ogni caso l’eventuale svolgimento di mansioni diverse da quelle consentite dalla legge non avrebbe mai potuto far sorgere il diritto a svolgere dette mansioni anche per il futuro, attesa la nullità per contrasto con norma imperativa di legge dell’atto di assegnazione.

5 – Per la cassazione della sentenza hanno proposto distinti ricorsi l’Università Cà Foscari di Venezia, sulla base di sei motivi, nonchè K.E., L.I. e M.B.I., i quali hanno formulato tre motivi di censura avverso i soli capi della sentenza relativi al rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che è rimasta intimata. I lettori e l’Inps hanno notificato controricorso nel proc. n. 23099/2011.

6 – Con la memoria ex art. 378 c.p.c., i controricorrenti nel proc. 23099/2011 hanno eccepito il difetto di ius postulandi dei difensori dell’Università, rilevando che la difesa doveva essere affidata all’Avvocatura dello Stato.

All’udienza di discussione si sono costituiti La.Ma.Gr. e L.Y., eredi di L.I., deceduto il (OMISSIS).

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1 – Preliminarmente deve essere disposta la riunione, ex art. 335 c.p.c., dei ricorsi proposti avverso la medesima sentenza.

2.1 – L’Università Cà Foscari domanda in via preliminare l’estinzione del giudizio ai sensi della L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, chiedendo alla Corte di dare atto della stessa, e di regolare le spese sulla base dell’art. 310 c.p.c., comma 4.

2.2 – In subordine la ricorrente principale, con il primo motivo, denuncia, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 2909 c.c. e la L. n. 63 del 2004, art. 1.

Sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto accogliere l’appello principale e dichiarare inammissibile la domanda, perchè ogni pretesa relativa alla asserita inadeguatezza della retribuzione incontrava un limite insuperabile nel giudicato già formatosi fra le parti. Il Pretore di Venezia, infatti, aveva ritenuto non fondata la domanda volta ad ottenere il medesimo trattamento economico riservato ai professori associati a tempo definito e, poichè il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, non potevano gli originari ricorrenti tornare a contestare l’entità della retribuzione, invocando questa volta come parametro le somme spettanti ai ricercatori confermati a tempo pieno. Il giudicato non poteva essere superato dallo ius superveniens, perchè anche la retroattività della nuova norma è limitata dalla definitività del regolamento del rapporto. Anche qualora venga in rilievo il diritto comunitario non possono essere messe in discussione le sentenze ormai definitive perchè in tal caso, eventualmente, sussiste solo la possibilità di far valere la responsabilità dello Stato discendente dalla pronuncia, ormai definitiva, che, in violazione del diritto dell’Unione, ha cagionato il danno.

2.3 – Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per “violazione di legge in ordine alla sfera di efficacia soggettiva della sentenza CGCE causa n. 212/99 del 26.6.2001 e della L. n. 63 del 2004, art. 1”. Rileva la ricorrente che la procedura di infrazione non aveva riguardato l’Università di Venezia, perchè quest’ultima aveva applicato agli ex lettori del CCNL 1994/1997, art. 51, comma 11, riconoscendo un’integrazione del trattamento economico basata sull’anzianità maturata anche nella precedente qualifica. La Corte territoriale, pertanto, ha errato nel ritenere applicabili i principi affermati dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 26 giugno 2001, perchè l’efficacia soggettiva della pronuncia è limitata agli Atenei inadempienti, ai quali soli si riferisce la L. n. 63 del 2004, art. 1.

2.4 – La terza critica è formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per “violazione degli artt. 1322, 1343 e 2094 c.c. relativamente alla statuizione della nullità dei c.d. C.E.L. per carenza di causa; erronea valutazione delle circostanze relative al trattamento previsto dai c.d. nuovi contratti c.e.l. con riferimento ai rapporti di lettorato al fine di provare la novazione oggettiva del rapporto”. Si sostiene che i nuovi contratti si fondano su una diversa base normativa, prevedono una retribuzione maggiorata, un incremento dell’impegno lavorativo ed una puntuale disciplina degli aspetti del rapporto con rinvio alla contrattazione collettiva, il che li rende nuovi e diversi rispetto al precedente contratto di lettorato. Aggiunge la ricorrente che la L. n. 236 del 1995 salvaguarda i diritti acquisiti ma non impedisce di procedere ad un reinquadramento dei lettori nella nuova qualifica per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge. Infine evidenzia la ricorrente che la volontà delle parti contraenti di subordinare la costituzione di un rapporto giuridico ad una procedura concorsuale è incompatibile con quella di continuare nel regime di rapporto precedentemente instaurato.

2.5. – Con il quarto motivo l’Università denuncia “motivazione insufficiente in relazione al metodo seguito per la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost.”. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe dovuto motivare la scelta di discostarsi da quanto stabilito dalle parti sociali che, in sede di contrattazione collettiva, avevano determinato il trattamento retributivo spettante, salvaguardando i diritti quesiti.

2.6 – Con la quinta censura l’Università lamenta la violazione della L. n. 26 del 2004, art. 1, come interpretata dalla L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3. La legge richiamata, infatti, impone di rapportare il trattamento retributivo a quello del ricercatore confermato a tempo definito, sicchè l’orario rispettato rileva solo ai fini della quantificazione dell’importo complessivo, con la conseguenza che, anche nella ipotesi in cui risulti superato il tetto massimo di ore, il parametro di riferimento resta immutato.

2.7 – Infine con il sesto motivo la ricorrente denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione di legge sulle norme in materia di prescrizione dei crediti derivanti da lavoro subordinato art. 2947 c.c., e art. 2948 c.c., n. 4”. Ribadisce che gli ex lettori potevano far valere solo i crediti maturati nell’ultimo quinquennio antecedente alla entrata in vigore della L. n. 63 del 2004, giacchè per il periodo pregresso avrebbero dovuto eventualmente far valere l’inadempimento dello Stato Italiano e chiedere a quest’ultimo, non all’università, il risarcimento del danno derivato dal mancato rispetto degli obblighi comunitari.

3.1 – Il ricorso di K.E., L.I., M.B.I. domanda la cassazione del capo della sentenza che ha respinto l’azione di risarcimento del danno proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con il primo motivo denuncia “violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3), violazione degli artt. 10, 11 e 117 Cost.; violazione del principio di primazia del diritto comunitario e dei principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea in materia di responsabilità dello stato per violazione del diritto comunitario; violazione della sentenza di condanna della CGCE del 26 giugno 2001”. Richiamata la giurisprudenza della Corte di Giustizia, i ricorrenti rilevano che nella fattispecie ricorrono tutti gli elementi costitutivi della responsabilità dello Stato per la mancata tempestiva attuazione del diritto dell’Unione, essendo indubbio che il principio di non discriminazione fissato dall’art. 39 del TCE sia diretto ad attribuire un diritto al singolo e che la sua violazione sia sufficientemente caratterizzata. Aggiungono che le sentenze della Corte di Giustizia affermano con chiarezza il diritto dei lettori alla ricostruzione della carriera a fini retributivi e previdenziali. Evidenziano, infine, che l’inadempimento dello Stato italiano è stato accertato dalla stessa Corte europea, la quale ha evidenziato che solo con la L. n. 63 del 2004 era stato garantito ai lettori di lingua straniera la parificazione ai lavoratori nazionali che si trovavano nella stesse condizioni di lavoro.

3.2 – Con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono della “omessa motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio concernente la sussistenza di una violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario”. Evidenziano che la sentenza impugnata afferma, erroneamente, che l’obbligo comunitario non era sufficientemente determinato, senza effettuare alcun esame del contenuto delle sentenze della Corte di Giustizia e senza considerare che la sentenza del 26 giugno 2001 ha con chiarezza affermato che il riconoscimento della anzianità di servizio deve produrre effetti anche ai fini della quantificazione dei contributi previdenziali.

3.3 – La terza censura è formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e denuncia “contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio concernente la prova del danno previdenziale patito dai ricorrenti”. Si sostiene che la Corte di Appello, pur dichiarando la nullità dei contratti stipulati ai sensi della L. n. 236 del 1995 e pur dando atto della domanda in tal senso formulata dai ricorrenti, ha, poi, del tutto contraddittoriamente affermato che questi ultimi non avevano contestato la progressione economica riconosciuta a seguito dei nuovi contratti i quali, in realtà, in quanto nulli non potevano produrre alcun effetto. Si aggiunge che, una volta riconosciuto il diritto dei ricorrenti alla regolarizzazione previdenziale del rapporto sin dalla prima assunzione, attesa la pacifica operatività della prescrizione di parte dei contributi dovuti, il danno non può che coincidere con i contributi non versati, quantificati dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta nel primo grado di giudizio.

4 – Va rilevato preliminarmente che non si ravvisano prima facie ragioni di ordine processuale preclusive dell’esame delle questioni di diritto su cui si incentra il giudizio.

L’Università Cà Foscari ha sostenuto (pag. 19 del ricorso) che gli effetti della violazione del diritto eurounitario non potevano essere fatti ricadere su un soggetto diverso dallo Stato Italiano, che di detto inadempimento si era reso colpevole, e i lettori hanno convenuto nel presente giudizio anche la Repubblica Italiana, chiedendo la condanna della stessa al risarcimento dei danni non ristorati dalla pronuncia emessa nei confronti del datore di lavoro.

Può configurarsi, quindi, quella situazione di potenziale conflitto che “esclude in radice il regime del cd. “patrocinio facoltativo autorizzato”, in quanto, in assenza della predetta facoltà alternativa (non essendo in alcun modo ipotizzabile il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato), non vi è alcuna ragione di richiedere una preventiva autorizzazione” (Cass. 13.5.2016 n. 9880).

5 – Vengono in rilievo plurime questioni, alcune connotate di novità, altre già sollevate dinanzi a questa Corte, che alle stesse ha dato risposte non sempre omogenee e coincidenti.

5.1 – La annosa vicenda dei lettori di lingua straniera ha inizio con l’entrata in vigore del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, che, sottraendo il rapporto di lettorato dal regime di diritto pubblico, prevedeva che i rettori potessero assumere, con contratto di diritto privato di durata non superiore all’anno accademico, lettori di madrelingua straniera “in relazione ad effettive esigenze di esercitazione degli studenti che frequentano i corsi di lingue” e stabiliva che le prestazioni ed i corrispettivi dovessero essere determinati dal consiglio di amministrazione dell’università, al quale era imposto, quale limite massimo, il non superamento del livello retributivo iniziale del professore associato a tempo definito.

5.2 Con sentenze del 30 maggio 1989 e del 2 agosto 1993 la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ritenne detta normativa contraria all’art. 48 del Trattato, nella parte in cui stabiliva che i contratti tra università e lettori di lingua straniera non potessero protrarsi oltre l’anno, sicchè il legislatore è intervenuto a disciplinare nuovamente la materia, inizialmente con una serie di decreti legge non convertiti e reiterati (a partire dal D.L. 21 dicembre 1993, n. 530), e poi con il D.L. 21 aprile 1995, n. 120, convertito con modificazioni nella L. 21 giugno 1995, n. 236, con la quale sono stati anche fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti legge non convertiti.

5.3 – Con questa disciplina, tuttora vigente, si è stabilito che le Università possono assumere, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, “con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ovvero, per esigenze temporanee, con contratto a tempo determinato” “collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere”.

E’ stato, poi, previsto che l’entità della retribuzione, il regime di impegno e gli eventuali obblighi di esclusività dovessero essere fissati, “fino alla stipulazione del primo contratto collettivo”, dai consigli di amministrazione delle università in sede di contrattazione decentrata.

Infine il legislatore, dopo avere affermato il principio della necessità della selezione pubblica finalizzata alla assunzione, per ottemperare al giudicato della Corte di Giustizia, ha stabilito che dovessero essere assunti prioritariamente “i titolari dei contratti di cui al D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, in servizio nell’anno accademico 1993 – 1994, nonchè quelli cessati dal servizio per scadenza del termine dell’incarico salvo che la mancata rinnovazione sia dipesa da inidoneità o da soppressione del posto”, precisando che “il personale predetto… conserva i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti”.

5.4 -. Con la sentenza 26 giugno 2001, in causa c – 212/99, la Corte di Giustizia ha, però, nuovamente censurato lo Stato italiano per non “aver assicurato il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali”. La Corte, adita dalla Commissione ai sensi dell’art. 226 del Trattato, ha osservato che, pur a fronte di una legislazione nazionale volta a garantire la conservazione dei diritti quesiti, l’esame delle prassi amministrative e contrattuali in essere presso sei università italiane aveva fatto emergere situazioni discriminatorie (punti da 31 a 34), non giustificabili con il richiamo alla autonomia degli enti pubblici interessati. Ha, poi, aggiunto che il principio della necessaria conservazione dei diritti quesiti maturati dagli ex lettori nei rapporti precedenti, diritti garantiti dalla L. n. 230 del 1962 in caso di conversione del contratto a termine, non poteva essere eluso facendo leva sulla non comparabilità delle situazioni a confronto, derivante per gli ex lettori dalla necessità della selezione pubblica. Ciò perchè entrambe le discipline prevedono “allo scopo di tenere in considerazione l’esperienza professionale dei lavoratori, la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato, garantendo la conservazione dei diritti quesiti maturati nell’ambito dei rapporti di lavoro precedenti” (punti 28 e 29).

5.5 – Si è avuto successivamente un nuovo intervento del legislatore nazionale che, al fine di dare esecuzione alla sentenza – e con riferimento alle Università italiane ivi considerate – con il D.L. 14 gennaio 2004, n. 2, art. 1, convertito con modificazioni nella L. 5 marzo 2004, n. 63, ha così disposto: “ai collaboratori linguistici, ex lettori di madrelingua straniera delle Università degli Studi della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, di Roma “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” di Napoli, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, abrogato dal D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236, è attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli; tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente”.

5.6 – Nei confronti della Repubblica Italiana è stata avviata, con ricorso del 4 marzo 2004, una procedura finalizzata all’irrogazione di sanzioni per l’inosservanza di obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, avendo la Commissione delle Comunità europee ritenuto che l’Italia non avesse dato piena esecuzione alla citata decisione del 26 giugno 2001.

Con sentenza 18 luglio 2006, in causa C-119/04, la Corte di Giustizia CE ha accertato l’inadempimento dei suddetti obblighi, limitatamente alla situazione esistente prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 2 del 2004, escludendone, invece, la permanenza all’esito del nuovo intervento normativo del legislatore nazionale. Ha ritenuto, infatti, che gli elementi offerti dalla Commissione non consentissero di esprimere un giudizio di inadeguatezza dei parametri utilizzati per la ricostruzione della carriera degli ex lettori, tanto più che il legislatore nazionale aveva fatto salvi i trattamenti più favorevoli (punti da 35 a 39).

5.7 – Infine con la L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, il legislatore ha interpretato il citato D.L. n. 2 del 2004, precisando che “in esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 26 giugno 2001, nella causa C – 212/99, ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all’impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma del D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236. A decorrere da quest’ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato D.L. n. 2 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 63 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del D.L. 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236. Sono estinti i giudizi in materia in corso alla data di entrata in vigore della presente legge”.

5.8 – Anche la norma di interpretazione autentica richiama, al pari del D.L. n. 120 del 1995, art. 4, la contrattazione collettiva di comparto che già con il CCNL 21 maggio 1996, art. 51, previo rinvio alla decretazione di urgenza, aveva compiutamente disciplinato il rapporto intercorrente con i collaboratori esperti linguistici, stabilendone le mansioni, l’orario di lavoro, il trattamento retributivo fondamentale. L’art. 22 del CCNL 15 maggio 2003 aveva, poi, previsto che in sede di contrattazione integrativa di Ateneo sarebbe stata data “applicazione alla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26.1.2001 nella causa C – 212/99, relativa agli ex lettori di lingua straniera rientranti in tale sentenza, attraverso la definizione di una struttura retributiva per la categoria dei CEL che riconosca l’esperienza acquisita” ed aveva precisato che a tal fine sarebbe stata considerata “come decorrenza iniziale dell’anzianità la data di stipula del primo contratto di lavoro D.P.R. n. 382 del 1980 e/o come CEL della L. n. 236 del 195, ex art. 4, (o precedenti normative)…”.

6 – L’estinzione del giudizio.

La L. n. 240 del 2010, art. 26, dopo avere dettato la interpretazione autentica del D.L. 14 gennaio 2004, n. 2, prevede la estinzione dei “giudizi in materia” in corso alla data di entrata in vigore della legge.

6.1. – Con la sentenza n. 2941 del 7 febbraio 2013 questa Corte ha ritenuto di dovere ricondurre l’estinzione alla disciplina generale dettata dall’art. 310 c.p.c., e, valorizzando l’assenza “di una espressa indicazione normativa volta a privare di effetto anche i provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato”, ha affermato che, ove la controversia sia pendente in cassazione, la estinzione va limitata alla fase e determina il passaggio in giudicato della sentenza di merito.

In quel caso la sentenza di appello aveva riconosciuto, come nel presente giudizio, il diritto del lettore a percepire sin dalla stipula del primo contratto di lettorato la retribuzione del ricercatore a tempo pieno, e non a tempo definitivo, ed aveva anche dichiarato la nullità del contratto stipulato ai sensi del D.L. n. 120 del 1995, art. 4, per carenza di causa, poichè fra le parti si era instaurato rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dalla data della sottoscrizione del primo contratto di lettorato, al quale era stato illegittimamente apposto il termine annuale.

Detto orientamento è stato poi seguito da successive pronunce di queste Corte (cfr. Cass. nn. 1776/2014; 15844/2014; 12354/2014; 17824/2014) che hanno tutte dichiarato l’estinzione del solo giudizio di cassazione ed affermato la applicabilità dell’art. 310 c.p.c., comma 2, in fattispecie nelle quali non vi era perfetta assoluta coincidenza fra quanto riconosciuto ai lettori e quanto previsto dalla legge di interpretazione autentica nè si discuteva solo della quantificazione del trattamento retributivo, poichè venivano poste altre questioni fra le quali quella, che qui viene in rilievo, della nullità del contratto stipulato ai sensi del D.L. n. 120 del 1995, art. 4.

Si trattava, per lo più, di sentenze di appello che avevano accolto le pretese dei lettori anche in termini più favorevoli rispetto alle previsioni di legge e non a caso nel presente giudizio la difesa dei controricorrenti, dopo essersi opposta alla pronuncia di estinzione originariamente invocata dalla Università, ha nella memoria ex art. 378 c.p.c., rinunciato alle eccezioni formulate al riguardo ed invocato l’orientamento sopra richiamato per chiedere la dichiarazione di estinzione della fase di legittimità ed il conseguente passaggio in giudicato della sentenza di merito.

6.2 – Una diversa interpretazione della norma è stata implicitamente data da Cass. 21004 del 16 ottobre 2015 che, trovandosi a pronunciare in una fattispecie nella quale il giudice di appello aveva respinto la domanda, ritenendo applicabile il D.L. n. 2 del 2004 alle sole Università indicate dal legislatore, non ha dichiarato l’estinzione del giudizio bensì il diritto della ricorrente “al trattamento corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito in misura proporzionata all’impegno effettivamente svolto, salve, quanto alla decorrenza, le decisione passate in giudicate”.

6.3 – Le più recenti sentenze n. 10452 del 20.5.2016 e n. 19190 del 28 settembre 2016, pur non pronunciando sulla applicabilità dell’art. 310 c.p.c., comma 2, alla estinzione che qui viene in rilievo, hanno ritenuto di dovere interpretare la disposizione in termini restrittivi, in modo da conformarla ai precetti costituzionali ed all’art. 6 della CEDU ed hanno, quindi, evidenziato che, essendo imprescindibile un collegamento tra la previsione processuale di estinzione dei processi e la disposizione che disciplina le pretese sostanziali, non devono essere dichiarati estinti tutti i processi nei quali gli ex lettori avanzino pretese nei confronti delle università, ma solo quelli nei quali rilevi il nuovo assetto dato dal legislatore alla materia, senza che ne derivi una vanificazione dei diritti azionati.

L’intervento normativo del 2010, infatti, costituisce una sorta di transazione legislativa, diretta a dare pronta e certa esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia ed a stabilire definitivamente il trattamento economico spettante ai collaboratori linguistici, fissando anche i parametri per il riconoscimento dei diritti pregressi maturati nei rapporti di lavoro precedenti. Detto intervento non lede il diritto di azione in quanto “realizza – nella misura e con le modalità ritenute dal legislatore compatibili con i limiti, ragionevolmente apprezzati, consentiti dalle circostanze nelle quali esso si è trovato ad operare – le pretese fatte valere dagli interessati”.

6.4 – Il Collegio, a fronte delle risposte non omogenee di cui sopra si è dato conto, dubita della correttezza della soluzione proposta dall’orientamento richiamato al punto 6.1 perchè, una volta ricondotta la previsione di estinzione all’art. 310 c.p.c., questa dovrebbe operare in ogni caso, a prescindere dal tenore delle statuizioni adottate dal giudice di appello, restando preclusa la strada, percorsa da Cass. 21004/2015, di cassare la decisione nella parte non conforme alla legge di interpretazione autentica.

La necessità di interpretare la norma in termini costituzionalmente orientati suggerisce di limitarne la applicabilità ai soli casi nei quali la materia del contendere trovi chiara ed espressa risposta nella legge di interpretazione autentica, con esclusione dalla sfera di operatività della disposizione di tutte le domande che esulino dalla questione meramente retributiva nonchè delle azioni intentate dai lettori per ottenere un trattamento di miglior favore rispetto a quello rapportato alla retribuzione dei ricercatori confermati a tempo definito.

In detti ristretti limiti la estinzione, in quanto prevista da norma speciale che la riferisce al giudizio e non al processo, dovrebbe travolgere anche le pronunce nel frattempo rese, siano esse favorevoli o sfavorevoli per i lettori (semprechè la domanda azionata fosse negli esatti termini previsti dalla legge di interpretazione autentica), posto che, diversamente opinando, si porrebbe anche una questione di ingiustificata disparità di trattamento legata alla sola durata del processo, giacchè le azioni ancora pendenti in primo grado sarebbero le uniche ad essere definitivamente travolte.

7 – La qualificazione del rapporto.

Il Collegio non ignora le pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte che hanno ritenuto di dovere mantenere ferma, anche all’esito della contrattualizzazione dell’impiego pubblico, la qualificazione del rapporto intercorrente fra le Università ed i collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre in termini di “rapporto di diritto privato”, come tale sottratto alla applicabilità della disciplina dettata dal D.Lgs n. 165 del 2001.

La questione, seppure non direttamente affrontata dalle parti nel presente giudizio, rileva in quanto la risposta da dare alle domande relative all’inquadramento, alla quantificazione del trattamento retributivo, alla disciplina in genere del rapporto, ferma restando la necessità di tener conto delle disposizioni di legge emanate per dare attuazione alle sentenze della Corte di Giustizia, tutte fondate sul principio di non discriminazione, muta a seconda dei principi generali di riferimento, poichè nell’impiego pubblico contrattualizzato vengono in rilievo principi che sono diretta attuazione di precetti costituzionali e che limitano sensibilmente i poteri delle parti del rapporto, recessivi rispetto alla necessità di assicurare l’attuazione dell’art. 97 Cost. e art. 81 Cost., u.c..

7.1 – Detti principi sono stati richiamati nella motivazione della sentenza n. 21831 del 15 ottobre 2014 che, pur non mettendo in discussione la inapplicabilità del D.Lgs. n. 165 del 2001, discendente dalla qualificazione del rapporto come “rapporto di diritto privato”, ha tuttavia negato che il rapporto a termine con i CEL, seppure illegittimo, potesse essere convertito in contratto a tempo indeterminato, evidenziando che la necessità di dovere assicurare il “buon andamento e imparzialità dell’amministrazione” (art. 97 Cost., comma 2)… rende palese la non omogeneità dei rapporti di lavoro in esame con la disciplina del lavoro privato: con pertinente applicazione ad essi delle ragioni (pure in mancanza qui di accesso mediante concorso) giustificanti la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione in rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati (Corte cost. 27 marzo 2003, n. 89)”.

7.2 – La necessità di valorizzare i medesimi principi evidenziati nella sentenza sopra richiamata induce il Collegio ad interrogarsi sulla possibilità di ripensare l’orientamento espresso da Cass. S.U. 15.4.2010 n. 8985 e da numerose pronunce, anche recenti, di questa Sezione Lavoro, che per escludere la applicabilità del D.Lgs n. 165 del 2001 hanno valorizzato la espressa qualificazione contenuta nel D.L. n. 120 del 1995 ed il principio secondo cui la legge posteriore di portata generale non deroga alla legge speciale anteriore.

Al riguardo va, però, rilevato che il D.Lgs. n. 165 del 2001, oltre a contenere la disposizione di carattere generale dettata dall’art. 2, comma 2, riferita a tutti i “rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche”, prevede espressamente le eccezioni al principio generale, indicando all’art. 3 i rapporti che restano sottratti alla applicabilità dell’art. 2, e stabilisce anche un complesso meccanismo di disapplicazioni, disciplinato dagli artt. 69 e 71, finalizzato a privare di effetti le norme di legge, anche speciali, emanate antecedentemente alla contrattualizzazione dell’impiego pubblico. Si tratta, quindi, di una normativa generale del tutto peculiare che, forse, non si presta ad essere ricondotta al principio della necessaria prevalenza della norma speciale anteriore.

L’art. 3, comma 2, espressamente dedicato al personale delle Università, dispone che “il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai principi della autonomia universitaria…”.

Dal combinato disposto degli artt. 2 e 3 si potrebbe desumere la volontà del legislatore di ricondurre all’area dell’impiego pubblico contrattualizzato tutti i rapporti di lavoro instaurati con le Università, ad eccezione di quelli intercorrenti con i professori ed i ricercatori (e categorie assimilate cfr. Cass. S.U. 12.4.2012 n. 5760), che sono gli unici rispetto ai quali il T.U. ha ritenuto di dovere fare salve “le disposizioni rispettivamente vigenti”.

7.3 – D’altro canto, seppure in altro contesto, questa Corte per delimitare l’ambito di applicabilità del D.Lgs. n. 165 del 2001, analizzate le ragioni che hanno ispirato la normativa attraverso la quale è stata realizzata la contrattualizzazione dell’impiego pubblico, ha evidenziato che “i rapporti di lavoro sui quali incide la riforma sono quelli mediante i quali le amministrazioni pubbliche interessate perseguono le loro specifiche finalità istituzionali, comprensive ovviamente delle attività erogative di servizi e non limitate a quelle meramente autoritative, e che essa non riguarda invece quei rapporti di lavoro, marginali e sostanzialmente anomali, che l’ente pubblico intrattenga per ragioni non riconducibili alle finalità anzidette e regolandoli in base a norme privatistiche, trattandosi di rapporti che non costituiscono un elemento dell’amministrazione pubblica, nel senso prima precisato” (Cass. 27.6.2007 n. 14809).

Ritiene il Collegio che il rapporto di lavoro instaurato dalle Università con i collaboratori esperti linguistici si inscriva pienamente nell’ambito della prima categoria, non potendo certo essere ritenuto marginale ed anomalo rispetto alle finalità didattiche che le Università perseguono, sicchè la qualificazione in termini di rapporto di diritto privato potrebbe apparire priva di giustificazione nel mutato contesto normativo, ancor più lì dove si affermi che detto rapporto non può essere totalmente assimilato a quello privatistico in senso stretto.

8 – Il rapporto fra giudicato e normativa sopravvenuta; l’incidenza delle pronunce della Corte di Giustizia.

8.1 – In nessuno degli interventi normativi che si sono succeduti nel tempo dopo le prime pronunce della Corte di Giustizia, che avevano affermato la non conformità al diritto dell’Unione della disciplina dettata dal D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28, il legislatore ha affrontato la questione del rapporto fra la nuova disciplina ed i giudicati che nel frattempo i lettori avevano già ottenuto, con i quali, per lo più, era stata affermata la natura a tempo indeterminato del contratto di lettorato, ritenendo che detta soluzione fosse obbligata per le ragioni indicate dalla Corte di Lussemburgo nelle sentenze 30 maggio 1989 e 2 agosto 1993 (in tal senso Cass. 21.3.1994 n. 2659; Cass. 24.11.1994 n. 10022; Cass. 6.9.1997 n. 8634 e numerose altre successive conformi).

Intervenuta la nuova disciplina dettata dalla decretazione di urgenza e dalla Legge di Conversione n. 236 del 21 giugno 1995 (che oltre a convertire il Decreto n. 120 del 1995 ha fatto salvi gli effetti dei nuovi rapporti istaurati sulla base dei decreti non convertiti), le Università si sono avvalse della nuova forma contrattuale anche perchè il legislatore, previsto l’obbligo di “assumere prioritariamente i titolari dei contratti di cui al D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28”, ha espressamente abrogato la normativa previgente.

I controricorrenti hanno sottoscritto i nuovi contratti dei quali, però, hanno poi eccepito la nullità per carenza di causa, facendo leva sulla sentenza del Pretore di Venezia dell’11.12.1993 (confermata dalla locale Corte di Appello e da questa Corte con sentenza n. 14468 del 22 dicembre 1999), che aveva ritenuto tamquam non esset il termine apposto all’originario contratto di lettorato.

Nel presente giudizio hanno quindi chiesto, oltre alla dichiarazione di nullità, anche il mantenimento dell’originaria qualifica e delle mansioni espletate nella prima fase del rapporto.

8.2 – Sebbene dette domande non siano state tutte devolute alla cognizione di questa Corte, ritiene il Collegio che sia utile evidenziarle nella presente ordinanza di rimessione, perchè la scelta di sollecitare l’intervento delle Sezioni Unite muove dalla consapevolezza della pendenza di numerosi altri giudizi, nei quali le questioni poste attengono tutte al rapporto con precedenti giudicati.

Si può dire, schematicamente, che il precedente giudicato è stato fatto valere innanzitutto dagli ex lettori, divenuti CEL ex D.L. n. 120 del 1995, in questo ed in altri giudizi per domandare:

a) la nullità del contratto concluso in assenza di causa, quando già era stata accertata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato; dal loro canto le Università hanno eccepito, come in questa sede, che la sottoscrizione del nuovo contratto ha determinato la novazione dell’originario rapporto;

b) il mantenimento dello status giuridico di lettore;

c) la conseguente cristallizzazione del rapporto come disciplinato nell’originario contratto, anche con riferimento all’orario di lavoro, e la inapplicabilità della disciplina contrattuale relativa ai CEL;

d) la conservazione del trattamento economico di miglior favore riconosciuto dalle sentenze passate in giudicato.

Domande analoghe sono state proposte dagli ex lettori che, avendo ottenuto con sentenza passata in giudicato la conversione dell’originario rapporto in rapporto a tempo indeterminato, si sono rifiutati di sottoscrivere il contratto come CEL, pretendendo di mantenere la qualifica di lettore e di avere, però, tutti i benefici delle leggi emanate nel tempo per adempiere gli obblighi imposti dalla Corte di Giustizia.

Nei casi in cui, invece, il giudicato è stato sfavorevole ai lettori, quanto all’adeguamento retributivo, l’eccezione viene proposta dalle Università per contrastare le domande di contenuto economico (il primo motivo del ricorso della Università Cà Foscari reitera, infatti, l’eccezione di giudicato) mentre i lettori, per superare la preclusione, fanno valere il primato del diritto comunitario e l’efficacia retroattiva delle leggi con le quali lo Stato italiano ha dato attuazione alle pronunce della Corte di giustizia.

8.2 – La prima questione che si pone è, quindi, quella relativa alla possibilità che il giudicato resista alla sopravvenienza della nuova normativa che, abrogato il lettorato, lo ha sostituito con il contratto di lavoro subordinato di collaborazione linguistica, sulla cui disciplina ha poi inciso la contrattazione collettiva di comparto.

Al riguardo le risposte date da questa Corte appaiono non omogenee.

Le pronunce più risalenti, pur intervenendo in fattispecie nelle quali veniva in rilievo il solo trattamento retributivo, hanno affermato la resistenza del giudicato alla nuova normativa ed hanno posto a fondamento del decisum, non il principio imposto dalla Corte di Giustizia di conservazione dei diritti quesiti, bensì la inapplicabilità delle disposizioni dettate dalla decretazione di urgenza a rapporti a tempo indeterminato instaurati sulla base della normativa previgente (Cass. 11.11.2003 n. 16959; Cass. 16.8.2004 n. 15931; Cass. 10.5.2005 n. 9737; Cass. 8.10.2007 n. 21012; Cass. 5.11.2008 n. 26561).

Altre pronunce hanno però sostenuto che la L. n. 236 del 1995, art. 4, colloca in una relazione di perfetta continuità la posizione dei collaboratori linguistici rispetto a quella degli ex lettori (Cass. 18.3.2005 n. 5909; Cass. 5.7.2011 n. 14705; Cass. 23.2.2012 n. 2710) e che la soppressione ex lege della figura del lettore, accompagnata dalla istituzione della nuova posizione, non consente di configurare una sorta di “ruolo ad esaurimento” per il rapporto di lettorato (Cass. 14.3.2008 n. 6994; Cass. 13.5.2016 n. 9907; Cass. 28.9.2016 n. 19190).

Dalla impossibilità di fare sopravvivere il rapporto di lettorato, anche se accertato con sentenza passata in giudicato, le ultime sentenze citate hanno, però, tratto conclusioni opposte quanto alla possibilità di applicare, quantomeno in via analogica, la disciplina dettata per i CEL nelle ipotesi in cui non era stato sottoscritto il relativo contratto per il rifiuto del lettore, il quale, facendo leva sul precedente giudicato, pretendeva di rimanere tale.

8.3 – Il Collegio, anche sulla scorta di quanto affermato dalla richiamata sentenza n. 19190 del 2016, dubita che il passaggio in giudicato della sentenza sulla natura a tempo indeterminato del rapporto di lettorato possa determinare la “cristallizzazione” della disciplina dettata dall’originario contratto, posto che è principio generale dell’ordinamento quello in forza del quale “in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento.” (fra le più recenti Cass. 23 luglio 2015 n. 15493).

La abrogazione del D.P.R. 11 agosto 1980, n. 382, art. 28, potrebbe costituire una sopravvenienza normativa che pone limite alla ultrattività del giudicato, tanto più che detta abrogazione è stata accompagnata dalla previsione di una nuova tipologia di rapporto, disciplinata ex novo, seppure in continuità con la precedente.

Non vi è dubbio che la norma non abbia espressamente affrontato la questione dei rapporti a tempo indeterminato già instauratisi in forza della precedente normativa e che per i nuovi rapporti abbia previsto una previa selezione. Il legislatore, peraltro, ha anche stabilito un obbligo assoluto “di assumere prioritariamente i titolari dei contratti di cui al D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28”, sicchè proprio da detta disposizione potrebbe essere desunta la volontà del legislatore di novare ope legis i precedenti rapporti, anche se già trasformati in contratti a tempo indeterminato per l’intervento di pronuncia giudiziale.

Ove si ritenesse percorribile la strada della novazione normativa i contratti ex L. n. 236 del 1995, stipulati dalle Università con gli ex lettori, seppure intervenuti quando già il rapporto doveva ritenersi a tempo indeterminato in forza dei principi affermati dalle richiamate sentenze della Corte di Giustizia, non presenterebbero aspetti di contrarietà a norma imperativa nè risulterebbero privi di causa.

Conseguentemente la disciplina del rapporto dovrebbe essere quella dettata dalla contrattazione collettiva, a ciò espressamente autorizzata dal D.L. n. 120 del 1995, art. 4, (e quindi a prescindere dalla risposta data alla questione prospettata sub 7), e dalle norme emanate dal legislatore per dare attuazione alle pronunce della Corte di Giustizia.

8.4 – La risposta da dare alla questione prospettata nel punto che precede incide, evidentemente, sulla quantificazione della retribuzione spettante all’ex lettore, divenuto collaboratore esperto linguistico, perchè anche la conservazione del trattamento economico di miglior favore dovrebbe operare nei limiti indicati dal D.L. n. 2 del 2004, come interpretato autenticamente dalla L. n. 240 del 2010, ossia con la cristallizzazione del differenziale, non dissimile dal meccanismo che nell’impiego pubblico contrattualizzato caratterizza gli assegni ad personam riassorbibili.

8.5 – Nel presente giudizio, peraltro, il giudicato viene fatto valere anche dall’Università Cà Foscari poichè la sentenza del Pretore di Venezia, con la quale è stata accertata l’illegittimità del termine apposto al contratto di lettorato, aveva respinto la domanda di adeguamento retributivo, proposta dai lettori che rivendicavano il trattamento retributivo dei professori associati a tempo definito. La ricorrente richiama il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile e, quanto alla incidenza del D.L. n. 2 del 2004, sottolinea che anche lo ius superveniens, ancorchè formato da norme retroattive, non può ritenersi esteso anche ai rapporti giuridici già definiti con sentenza passata in giudicato.

Il Collegio dubita della possibilità di applicare detto principio, in effetti affermato da questa Corte (in tal senso fra le più recenti in motivazione Cass. n. 1583/2010), alla fattispecie in esame nella quale si pone anche la questione dei rapporti fra giudicato e rispetto del diritto dell’Unione.

8.6 – Anche l’ordinamento eurounitario riconosce la necessità che “le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione” e ciò “al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia” (Corte di giustizia, 03/09/2009, in causa C-2/08, Olimpiclub; conf. 30/09/2003, in causa C-224/01, Kobler, e 16/03/2006, in causa C-234/04, Kapferer).

Muovendo da detta premessa questa Corte ha ribadito che il diritto dell’Unione non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne da cui deriva l’autorità di cosa giudicata di una decisione, nemmeno quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto eurounitario da parte di tale decisione, salve le ipotesi, da ritenersi assolutamente eccezionali, in cui ricorrano discriminazioni processuali tra situazioni di diritto eurounitario e situazioni di diritto interno ovvero che sia reso in pratica impossibile o estremamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento eurounitario (Sez. 5 29.7.2015 n. 16032; Sez. 5, Sentenza n. 25320 del 15/12/2010; conf. nn. 4836 e 4838 del 28/02/2014).

Diverso è, però, il caso che si verifica allorquando lo Stato si renda inadempiente rispetto a precisi obblighi imposti dal diritto dell’Unione perchè in tal caso, come è stato affermato nella vicenda, non dissimile, dei medici specializzandi, il principio di effettività impone, ove possibile, l’applicazione retroattiva delle norme attraverso le quali si è data trasposizione alla direttiva o si è posto fine all’inadempimento. Detto principio consente che lo Stato ponga la obbligazione anche a carico di un soggetto diverso dallo Stato medesimo purchè sia quello tenuto, secondo il diritto dell’Unione, all’adempimento conforme alla direttiva o al trattato (nella specie le Università). La applicazione retroattiva è misura sufficiente a risarcire il danno da ritardato adempimento sicchè l’azione di risarcimento nei confronti dello Stato è in tal caso esperibile solo allorquando l’applicazione retroattiva non sia possibile o non sia integralmente satisfattiva (si rimanda alla motivazione di Cass. 10.2.2015 n. 2538).

8.7 – Nel caso di specie sia le sentenze della Corte di Giustizia sia gli interventi normativi che alle stesse si sono adeguati (D.L. n. 2 del 2004 e legge di interpretazione autentica) si esprimono nel senso della evidente retroattività, sicchè, pur in assenza di un espresso riferimento al giudicato, quest’ultimo potrebbe essere ritenuto non ostativo perchè la preclusione impedirebbe la piena attuazione del diritto dell’Unione. Viceversa, nei casi in cui ciò non sia in discussione, i principi sopra indicati dovrebbero tornare ad espandersi.

9 – L’interpretazione del D.L. n. 2 del 2004.

Gli ex lettori hanno rivendicato il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore a tempo pieno (e non a quello del ricercatore a tempo definito previsto dal d.l.) per il solo fatto di avere prestato attività per un numero di ore pari o superiore a 500.

9.1 – Come precisato nella premessa della sentenza della Corte di Giustizia 18 luglio 2006 in causa C – 119/04 “In forza del D.L. 2 marzo 1987, n. 57, art. 1, divenuto L. 22 aprile 1987, n. 158 (GURI n. 51 del 3 marzo 1987), che modifica il D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 32, (Supplemento ordinario alla GURI n. 209 del 31 luglio 1980), il numero massimo di ore che devono essere effettuate annualmente dai ricercatori confermati a titolo di attività di insegnamento è di 350 ore per il regime a tempo pieno e di 200 ore per il regime a tempo parziale. La retribuzione dei ricercatori confermati a tempo parziale è costituita da una somma forfettaria comprendente il compenso per lo svolgimento di un’attività di insegnamento di 200 ore e di un’attività di ricerca di durata non quantificata”.

Il richiamato art. 32 prevedeva nel testo originario che “I ricercatori universitari contribuiscono allo sviluppo della ricerca scientifica universitaria e assolvono a compiti didattici integrativi dei corsi di insegnamento ufficiali. Tra tali compiti sono comprese le esercitazioni, la collaborazione con gli studenti nelle ricerche attinenti alle tesi di laurea e la partecipazione alla sperimentazione di nuove modalità di insegnamento ed alle connesse attività tutoriali… Per le funzioni didattiche il ricercatore è tenuto ad un impegno per non più di 250 ore annue annotare dal ricercatore medesimo in apposito registro. Il ricercatore è inoltre tenuto ad assicurare il suo impegno per le attività collegiali negli Atenei, ove investito della relativa rappresentanza”.

Il D.L. 2 marzo 1987, n. 57, convertito dalla L. 22 aprile 1987, n. 158, ha previsto all’art. 1, comma 2, che “I ricercatori confermati possono optare tra il regime a tempo pieno e il regime a tempo definito; il limite massimo di impegno per l’attività didattica previsto dal D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 32, è portato rispettivamente a 350 ore ed a 200 ore”.

9.2 – I lettori, secondo quanto previsto dall’art. 28, dovevano svolgere attività non di docenza in senso proprio, essendo destinati a sopperire alle “effettive esigenze di esercitazione degli studenti”. Analogamente i CEL, secondo la previsione del D.L. n. 120 del 1995, art. 4, sono tenuti a provvedere “alle esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche”.

9.3 – Il richiamo alla retribuzione del ricercatore a tempo definito è stato giustificato dal legislatore italiano per difendersi dalla procedura di infrazione rilevando, da un lato, che “la responsabilità principale dei ricercatori sarebbe quella della ricerca scientifica, dato che l’attività di insegnamento riveste, nell’ambito delle loro attività, solo un aspetto secondario e marginale. Qualsiasi altra soluzione avrebbe avuto l’effetto di svalutare la parte riservata all’attività di ricerca scientifica nella retribuzione del ricercatore universitario”; dall’altro che “la professione degli ex lettori e quella dei ricercatori confermati a tempo parziale troverebbe la sua ragion d’essere essenzialmente nella mancanza di carattere esclusivo del rapporto di lavoro di questi ultimi con il loro datore di lavoro, il che permetteva loro di esercitare anche un’attività rientrante nella categoria delle professioni liberali”.

9.3 – La Commissione, come è ben messo in rilievo dall’Avvocato Generale Pojares Maduro in causa C – 119/2004 nelle sue conclusioni, aveva invece sostenuto che il richiamo alla retribuzione del ricercatore a tempo definito, da rapportare ad un tempo pieno dei lettori pari a 500 ore anzichè a 200, mortificasse i diritti di questi ultimi, sicchè il trattamento economico doveva essere rapportato a quello dei ricercatori a tempo pieno.

L’argomento è stato disatteso dalla Corte che ha evidenziato che “la scelta della carriera dei ricercatori confermati a tempo parziale come categoria di lavoratori nazionali di riferimento per la ricostruzione della carriera degli ex lettori, si deve constatare che un’opzione del genere rientra nella competenza delle autorità nazionali. Non risulta dalla citata sentenza Commissione/Italia che la Repubblica italiana sia stata tenuta a identificare una categoria di lavoratori analoga agli ex lettori e ad equiparare completamente il trattamento riservato a questi ultimi a quello di cui beneficia la detta categoria.”.

9.4 – Ciò premesso sembra al Collegio che il legislatore abbia individuato come categoria di riferimento quella dei ricercatori a tempo definito a prescindere dal numero delle ore svolte dai lettori, tanto che il tempo pieno di questi ultimi viene individuato in 500 ore anzichè in 350 come previsto per i ricercatori, sicchè è lecito dubitare della correttezza della interpretazione che, facendo leva sulla necessaria conservazione dei trattamenti di miglior favore, ritiene di poter assumere a riferimento la retribuzione dei ricercatori a tempo pieno nei casi in cui i lettori abbiano osservato un orario di lavoro superiore a quello rispettato da questi ultimi.

9.5 – Sembra, inoltre, al Collegio che il D.L. n. 2 del 2004, nella parte in cui fa salvi “eventuali trattamenti più favorevoli”, si riferisca a quanto riconosciuto ai lettori nei contratti individuali ex art. 28. Quest’ultima disposizione, infatti, prevedeva che il trattamento retributivo fosse stabilito dalle singole Università con il limite massimo della retribuzione prevista per il professore associato a tempo definito.

Conseguentemente se i contratti individuali avevano attribuito un trattamento economico superiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva e dal D.L. n. 2 del 2004 questo resta cristallizzato anche per il futuro, secondo i meccanismi previsti dalla stessa contrattazione collettiva succedutasi nel tempo.

9.6 – Non sembra, invece, che possa rilevare a detti fini l’eventuale svolgimento di mansioni superiori nel periodo in cui l’attività era disciplinata ai sensi dell’art. 28. Va detto, infatti, che, pur essendo il contratto di diritto privato, in relazione allo stesso operava ed opera la sanzione generale di nullità prevista dal D.P.R. n. 382 del 1980, art. 123, che stabiliva “l’assoluta improduttività di qualunque effetto e conseguenza nei confronti dell’amministrazione dell’assunzione di personale e dell’affidamento di compiti istituzionali effettuati in violazione della già vigente legislazione universitaria ovvero di quanto previsto nel presente decreto”. L’ adeguamento della retribuzione fondato sullo svolgimento di attività di docenza dovrebbe, quindi, essere escluso dall’ambito di operatività del meccanismo di definitiva acquisizione del trattamento più favorevole, potendo spiegare effetti ex art. 2126 c.c., solo per il periodo di svolgimento di fatto delle mansioni superiori.

10 – Il Collegio ritiene opportuno rimettere il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della Corte, in considerazione dei contrasti evidenziati nei punti 6, 7 e 8 ed inoltre perchè le questioni, nelle parti connotate di novità, possono essere qualificate “di massima di particolare importanza”, a norma dell’art. 374 c.p.c., comma 2. La pronuncia, infatti, è destinata ad incidere su un vasto contenzioso ancora pendente che costituisce lo sviluppo delle precedenti numerose iniziative giudiziarie assunte dagli ex lettori.

PQM

La Corte rimette i ricorsi al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2017

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