Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7895 del 28/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/03/2017, (ud. 23/02/2017, dep.28/03/2017),  n. 7895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25044/2014 proposto da:

D.P.G., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARIA ESPOSITO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA già INA ASSITALIA SPA, in persona dei suoi

procuratori speciali P.V. e D.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo

studio dell’avvocato VALENTINO FEDELI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO PASSERO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2610/2012 del TRIBUNALE di NOLA, depositata il

30/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARIA ESPOSITO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.P.G. convenne in giudizio la Generali Assicurazioni s.p.a., in qualità di impresa designata dal F.G.V.S., per ottenere il risarcimento dei danni che assumeva di avere subito per essere stata investita da un veicolo rimasto non identificato, riportando una frattura al collo del femore sinistro.

Il Tribunale di Nola rigettò la domanda condannando l’attrice al pagamento delle spese di lite.

La Corte di Appello di Napoli ha dichiarato l’inammissibilità – ex art. 348 bis c.p.c. – dell’impugnazione della D.P., la quale ricorre per cassazione avverso la sentenza di primo grado, affidandosi a quattro motivi; resiste l’intimata a mezzo di controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Tribunale ha affermato che il ritardo nella presentazione della querela da parte della D.P., “valutato congiuntamente alla vaghezza delle circostanze dell’investimento al momento del primo ricovero al Pronto Soccorso, non può che condurre al rigetto della domanda, a dispetto di compiacenti deposizioni testimoniali, rilasciate da amici del figlio (…) e di lesioni comunque stranamente limitate su di una ristrettissima parte del corpo (gamba sinistra), ma soprattutto non consentendo di attribuire all’autovettura responsabile la qualifica di veicolo non identificato, in considerazione delle censurabili omissioni di attivazione della vittima”.

2. Col primo motivo (che deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e l’omesso esame di un fatto decisivo), la ricorrente si duole che il Tribunale abbia tenuto conto soltanto del referto del Pronto Soccorso, senza considerare che nella cartella clinica era contenuta una descrizione puntuale dell’accaduto; col secondo motivo, la D.P. rileva che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, la querela era stata presentata entro tre mesi dal fatto e si duole che non sia stato considerato che l’impedimento fisico non le aveva consentito di sporgerla in tempi più brevi; il terzo motivo (che deduce la violazione della L. n. 990 del 1969, art. 19, lett. a, art. 2697 c.c., artt. 115 e 132 c.p.c.) censura il Tribunale per non avere considerato che la ricorrente aveva “dato ampia prova della fondatezza della domanda con gli ordinari mezzi probatori (prova testimoniale, documenti e c.t.u.)”: la ricorrente si duole che, “con motivazione insufficiente ed illogica”, sia stata posta in dubbio l’attendibilità dei testi e sia stato escluso il nesso di causalità tra le lesioni ed il sinistro sul rilievo della “stranezza” dei danni”, senza tener conto del fatto che il c.t.u. aveva riconosciuto il nesso di causalità tra l’incidente e le lesioni riportate dalla D.P.; il quarto motivo (che prospetta nuovamente la violazione dell’art. 132 c.p.c.), evidenzia un’insanabile contraddittorietà tra due distinte rationes decidendi, l’una (basata sul comportamento negligente nell’identificazione dell’auto investitrice) volta a riconoscere implicitamente l’effettiva verificazione del sinistro e l’altra (basata sull’inattendibilità dei testi e sull’inesistenza del nesso causale tra incidente e lesioni) che “sembra mettere in dubbio lo stesso reale verificarsi del sinistro”.

3. Il ricorso è inammissibile – ex art. 348 ter c.p.c., comma 4, nella parte in cui deduce vizi ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto l’ordinanza di inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata.

Per il resto – esaminati congiuntamente i motivi – il ricorso va disatteso.

Premesso che va ribadito – alla luce della più recente ma consolidata giurisprudenza di legittimità – che non sussiste alcun automatismo fra “collaborazione” fornita dalla vittima per l’identificazione del veicolo e accoglimento della domanda (o fra mancata collaborazione e rigetto), in quanto l’accertamento deve concernere l’effettiva verificazione del sinistro, deve rilevarsi che il Tribunale ha compiuto una valutazione complessiva degli elementi emersi dall’istruttoria pervenendo a ritenere indimostrato che l’infortunio fosse ascrivibile ad investimento da parte di un veicolo non identificato.

Tale valutazione – che fa leva anche sull’inattendibilità dei testi e sulla considerazione che un investimento del tipo descritto avrebbe dovuto produrre lesioni ulteriori rispetto a quella localizzata al femore – non è censurabile sotto il profilo del difetto assoluto di motivazione (a fronte di una motivazione che dà conto – seppur sinteticamente – delle ragioni della decisione) e non incorre in alcuna delle denunciate violazioni di norme di diritto.

Nè, in un siffatto contesto, risultano rilevanti le circostanze che il Tribunale abbia erroneamente affermato che la querela era stata proposta oltre il termine massimo e non abbia tenuto conto delle annotazioni presenti sulla cartella clinica: si tratta, infatti di elementi che non appaiono decisivi, non potendosi ritenere che, se li avesse considerati correttamente, il Tribunale sarebbe pervenuto ad una diversa decisione.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza.

5. Atteso che la ricorrente è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. n. 18523/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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