Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7892 del 20/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7892 Anno 2016
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con due distinti ricorsi la società Centro Auto Ponente S.r.l. – esercente
attività di vendita di autoveicoli – impugnava avanti la C.T.P. di Roma gli avvisi di
accertamento IVA, IRPEF e IRAP emessi dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di
Velletri, per gli anni di imposta 2002 e 2003.
All’esito di verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza sul commercio di
autovetture usate importate da paesi membri dell’Unione Europea (Belgio,
Spagna e Gran Bretagna), l’Ufficio aveva contestato l’indebito utilizzo – in alcune
di tali transazioni commerciali – dello speciale regime del margine, previsto
dall’art. 36 di. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, in legge
22 marzo 1995, n. 85, ed aveva quindi proceduto al recupero della maggiore Iva
dovuta. Aveva inoltre induttivamente determinato, a fini Irpeg, Irap e Iva,
maggiori ricavi sulla base di movimentazioni bancarie ritenute prive di
documentazione giustificativa, recuperando l’IVA su tali operazioni, e aveva
disconosciuto la detrazione IVA afferente alle fatture di acquisto relative ad
operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, recuperando a tassazione i
relativi costi.
L’adita C.T.P., riuniti i ricorsi, li accoglieva limitatamente ai contestati
maggiori ricavi calcolati dall’ufficio sulla base delle movimentazioni bancarie,

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Data pubblicazione: 20/04/2016

ritenendo le stesse giustificate dalla documentazione prodotta, e respingeva
invece le difese del contribuente circa la legittimità del regime del margine.
2. Con sentenza del 30/9/2008 la C.T.R. Lazio respingeva i gravami proposti
da ambo le parti, confermando la decisione di primo grado.
Quanto al regime del margine rilevava che la sua applicazione richiedeva la
prova da parte della contribuente che i beni acquistati fossero stati ad esso

verbale della Guardia di Finanza che i fornitori avevano acquistato le automobili
alla stregua di normali compravendite intracomunitarie, per ciascuna delle quali
avevano poi emesso due diverse fatture, una indirizzata alla contribuente con
l’applicazione del regime del margine e una invece destinata alla propria
contabilità interna, in cui la stessa operazione veniva trattata come normale
cessione intracomunitaria.
Quanto agli acquisti effettuati da soggetti interposti (GICO S.r.l., Business
Agent S.r.l., Import Export S.r.l. unipersonale), rilevava che legittimamente
l’amministrazione aveva considerato non detraibile l’Iva ad essi relativa, facendo
capo tali operazioni a intermediari privi di mezzi finanziari e di strutture, evasori
totali, interposti nell’acquisto al solo scopo di spostare su di essi la qualità di
acquirente intracomunitario, debitore di imposta.
Nel confermare poi l’annullamento dell’accertamento di maggiori ricavi
presunti sulla base di movimenti bancari non giustificati in sede amministrativa,
la C.T.R. respingeva la tesi dell’Agenzia secondo cui, ai sensi dell’art. 32 d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, a tal fine non avrebbe potuto essere presa in
considerazione la documentazione presentata in giudizio dalla società ricorrente,
rilevando di contro che quest’ultima aveva dichiarato ai verificatori di non essere
stata in grado di reperire tutta la documentazione richiesta e aveva poi
legittimamente offerto, con l’atto di costituzione in giudizio, documenti
giustificativi idonei.
3.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società

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assoggettati fin dall’origine: prova mancante, essendo piuttosto emerso dal

contribuente, sulla base di due motivi; resiste l’Agenzia delle entrate con
controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo di ricorso, la Centro Auto Ponente S.r.l. deduce
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, in
relazione all’affermazione secondo cui «era obbligo del contribuente accertare

margine».
Osserva di contro che la norma citata non impone alcun obbligo probatorio
in capo al cessionario-contribuente il quale deve limitarsi a emendare eventuali
vizi riguardanti il contenuto della fattura, ma non può spingersi fino al punto di
controllare e sindacare valutazioni giuridiche espresse dall’emittente in ordine
all’esplicita dichiarazione di non decadenza dell’imposta. Rileva che a tanto non
possono spingersi gli

obblighi di attenzione

imposti all’acquirente dalla

giurisprudenza di legittimità e invoca piuttosto il principio di

affidamento

incolpevole che, secondo la legislazione e la giurisprudenza comunitaria, «rende
intangibile il regime dell’operazione e quindi anche il diritto di esenzione o di
detrazione acquisito sulla base delle rappresentazioni documentali provenienti
dal terzo». Evidenzia al riguardo che l’unico dato che il cessionario-contribuente
ha a sua disposizione è, per tabulas, l’indicazione apposta dai cedente sulla
fattura.
5. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 2697 cod. civ.; dell’art. 14, comma 4 bis legge 24 dicembre

1993, n. 537; degli artt. 3 e 53 Cost. e dell’art. 163 T.U.I.R; in relazione al
confermato giudizio di indebito utilizzo di fatture false emesse da soggetti
interposti, considerati inesistenti.
Lamenta che anche in proposito la C.T.R. ha disconosciuto qualsivoglia
rilevanza alla buona fede del contribuente (a differenza del giudice penale),
avallando acriticamente la pretesa dell’ufficio e facendo proprie risultanze

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che i beni acquistati fossero stati assoggettati fin dall’origine al regime del

investigative incomplete e/o inesatte. Censura come contraddittoria
l’assimilazione tra fatture emesse da società c.d. apparenti e fatture emesse per
operazioni oggettivamente inesistenti, specie considerata l’assoluta mancanza di
prove circa la reale organizzazione delle società estere. Soggiunge che i giudici
d’appello sono incorsi altresì in motivazione illogica e contraddittoria, per aver
omesso di argomentare in ordine alla conoscenza o conoscibilità della presunta

fattispecie dell’art. 14, comma 4-bis legge 24 dicembre 1993, n. 537, circa
l’indeducibilità ai fini delle imposte dirette per l’anno 2002 dei costi afferenti a
tali fatture, trattandosi di norma introdotta dall’art. 2, comma 8, legge 27
dicembre 2002, n. 289, in vigore soltanto a partire dal 1 gennaio 2003 (siccome
disposto dall’art. 95, comma 3, legge 289/02).
6. Con il proposto controricorso l’Agenzia delle entrate, oltre a contestare la
fondatezza delle censure poste a fondamento dell’avverso ricorso, ne ha
preliminarmente eccepito l’inammissibilità per la mancata formulazione dei
quesiti di diritto previsti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. applicabile alla fattispecie

ratione temporis.
7. Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate deduce
motivazione insufficiente in relazione al rigetto dell’appello incidentale proposto
con riferimento alla esclusione dei recupero a tassazione dei maggiori ricavi
induttivamente presunti sulla base delle operazioni bancarie prive di
documentazione.
Rileva che la C.T.R. dopo avere dato atto che, ai sensi dell’art. 32, comma
quinto, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, condizione per la utilizzabilità della
documentazione non prodotta in sede di verifica è che il contribuente «depositi

in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le
notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque
contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa
a lui non imputabile», ha poi omesso qualsiasi motivazione in ordine alla

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frode altrui. Sotto altro profilo deduce l’illegittimità della applicazione alla

sussistenza nel caso di specie di tali presupposti.
Formula momento di sintesi.
8. È infondato il primo motivo del ricorso principale.
Pur ammettendo che, diversamente da quanto eccepito preliminarmente
dalla controricorrente, la formulazione di conferente quesito di diritto possa
Individuarsi nell’ultimo capoverso del paragrafo dedicato a detto motivo (v. pag.

questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, devesi rilevare che non
sussistono i profili di violazione di legge denunziati.
Debbono richiamarsi al riguardo i principi di diritto espressi in sublecta

materia da questa Corte:
– il regime c.d. del margine rappresenta un regime speciale rispetto
all’ordinario regime impositivo IVA riguardante gli acquisti intracomunitari (tanto
è che il soggetto passivo può optare, in relazione a ciascuna cessione, per
l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari, ove intenda portare in detrazione
VIVA assolta: d.l. n. 41 del 1995, art. 36, comma 3): pertanto è onere del
contribuente provare, a fronte di una contestazione dell’amministrazione, la
sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime
impositivo (cfr. ex aliis Cass., Sez. 5, n. 2227 del 31/01/2011, in motivazione);
– il difetto di tale prova comporta l’inapplicabilità del regime de quo,
indipendentemente dalla consapevolezza che della inesistenza dei presupposti
abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevolezza
incidere solo sull’aspetto sanzionatorio (dr. Cass., Sez. 5, n. 2227 del
31/01/2011; v. anche Sez. 5, n. 15630 del 24/07/2015, Rv. 636112; Sez. 5, n.
25755 del 05/12/2014, Rv. 633814);

non vale allegare la estrema gravosità dell’onere di diligenza che

graverebbe sul concessionario per svolgere gli accertamenti in ordine alle
condizioni di soggetti residenti in altro Paese membro, quando

«nel caso di

autoveicoli, l’eventuale insussistenza di tali requisiti può talvolta essere

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5 del ricorso), in quanto idoneo a offrire una chiara sintesi logico-giuridica della

agevolmente desunta dai libretti di circolazione…, cosicché va senz’altro
affermata l’esistenza di un particolare onere di diligenza in capo all’acquirente,
anche mediato, riguardo a dati risultanti dai libretti di circolazione» (cfr. Sez. 5,
n. 3427 del 12/02/2010, in motivazione).
Pertanto il rischio fiscale della operazione intracomunitaria, realizzata con
applicazione del regime del margine ma in difetto dei presupposti richiesti (nella

cedenti), ricade sul cessionario che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza
richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamene
la regolarità sostanziale della operazione (e non soltanto la regolarità formale
della fattura) anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente,
risultando maggiore il grado di impegno esigibile nella predetta verifica, in
dipendenza della qualità professionale del cessionario, ove trattasi di operatore
commerciale del settore (diligentia hominis eiusdem professionis ac condicionis).
L’onere di verifica gravante sul cessionario-contribuente alla stregua dei
documenti negoziali in suo possesso appare coerente sia con il principio di
vicinanza al fatto oggetto di prova, venendo a trovarsi l’operatore commerciale proprio in considerazione del rapporto che instaura con il soggetto la cui
condizione soggettiva legittima il contribuente a fruire del regime fiscale speciale
– in posizione privilegiata per effettuare ex ante un controllo delle condizioni di
legge, rispetto a quello effettuato soltanto

ex post dalla Amministrazione

finanziaria; sia con la interpretazione del sistema dei tributo armonizzato che le
sentenze della Corte di giustizia della Unione Europea hanno fornito in relazione
ad ipotesi di frode commesse nella catena delle operazioni commerciali da
soggetti diversi dal contribuente: l’affermazione secondo cui il soggetto passivo
d’imposta non può essere considerato responsabile della intenzione dei terzo di
agire in frode alla applicazione dell’IVA, è mediata, infatti, nelle pronunce della
Corte di Lussemburgo dalla condizione essenziale che detto contribuente

«non

aveva o non doveva avere conoscenza» della frode (cfr. Corte giustizia CE 3^

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specie per mancanza dei requisiti fiscali soggettivi degli operatori comunitari-

sez. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03), il che equivale
a dire che soltanto «gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro

ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non
facciano parte di una frode» possono fare affidamento sulla liceità di tali
operazioni: un soggetto che «sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio

acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA» non può

rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE
6.7.2006 in cause rinite C-439/04 e C-440/04).
La sentenza della C.T.R. laziale, che ha affermato l’inapplicabilità del regime
del margine non avendo il contribuente fornito la prova che precedenti intestatari
dei veicoli, risultanti dai libretti di circolazione, non avessero utilizzato i veicoli
ceduti come beni strumentali dell’attività di impresa fruendo della relativa
detrazione IVA, deve dunque ritenersi esente da censura in quanto conforme al
principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui (anche nel caso in cui
sia specificamente annotata nella fattura la indicazione del regime del margine) il
contribuente non è esonerato dalla prova dei fatti che legittimano la fruizione del
regime del margine, le volte in cui la contestazione detta Amministrazione trovi
fondamento in elementi oggettivi che consentano di inferire, mediante lo schema
logico della presunzione, dai fatti noti il fatto ignorato (detrazione dell’IVA
corrisposta a monte), determinandosi in virtù della presunzione una inversione
dell’onus probandi a carico del contribuente, tenuto a dimostrare la sussistenza
delle condizioni di fruibilità del regime del margine mediante la prova del fatto
specifico che, nel caso concreto, consente di spiegare la deviazione dalla normale
inferenza logica che viene tratta dai dati fattuali noti.
Nel caso di specie l’accertamento della sussistenza di siffatti elementi
oggettivi è contenuto nella sentenza impugnata, evidenziandosi in motivazione
che «dal verbale della G.d.F. è stato dimostrato che i fornitori avevano

acquistato le automobili come normale acquisto intracomunitario»

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e tale

evidentemente allegare la buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o

accertamento non è in sé fatto segno di alcuna censura, prospettandosi
esclusivamente in ricorso una violazione dei criteri di riparto dell’onere
probatorio in materia (in sé invece per quanto detto non ravvisabile).
Né può obiettarsi che quella richiesta al contribuente sia una probatio

diabolica, atteso che, nel caso in cui l’operatore comunitario – cedente – che in
effetti risulti essere soggetto passivo IVA – dichiari in fattura di aver applicato a

cessionario dovrà comunque farsi parte diligente ed acquisire le necessarie
informazioni attestanti l’utilizzo che del bene acquistato nel proprio Paese di
residenza ha fatto in concreto l’operatore comunitario – cedente ovvero le ragioni
dell’assolvimento in via definitiva dell’IVA da parte del medesimo soggetto al
momento dell’acquisto del veicolo di occasione (v. Sez. 5, n. 15219 del
12/09/2012).
9. Il secondo motivo è inammissibile perché non accompagnato dalla
formulazione del quesito di diritto richiesto dall’art. 366-bis cod. proc. civ.
(applicabile alla sentenza impugnata ai sensi della disciplina transitoria di cui alla
L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5, essendo stata la sentenza
impugnata depositata il 28/5/2009).
La ricorrente, infatti, ha omesso la formulazione dei quesiti di diritto,
richiesta a pena di inammissibilità nei casi di impugnazione per i motivi di cui ai
numeri da 1 a 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., la cui enunciazione (e formalità
espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ.,
all’enunciazione del principio di diritto.
È in proposito appena il caso di precisare che, secondo la giurisprudenza di
questo giudice di legittimità, il quesito di diritto non può coincidere con
l’esposizione del vizio denunciato ma deve costituire una sintesi originale ed
autonoma posta a conclusione della esposizione del motivo (v. ex plurimis Sez.
5, n. 20019 del 07/10/2015).
Per di più con il motivo in esame, relativo al recupero a tassazione dell’Iva

9

sua volta nel proprio Paese di residenza il regime del margine di utile, il

indebitamente detratta su operazioni soggettivamente inesistenti, vengono
sollevate più questioni eterogenee, con riferimento a diverse disposizioni di
legge, e si censura altresì la sentenza anche sotto il profilo motivazionale:
ragione, questa, ulteriore di inammissibilità del motivo, dovendosi in proposito
ribadire il principio, già affermato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo
cui «nel ricorso per cassazione, il motivo di impugnazione che prospetti una

si assumono violate, e dalla deduzione del vizio di motivazione, è inammissibile,
richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere
alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle
doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione» (Sez.
1, n. 21611 del 20/09/2013, Rv. 627659; v. anche Sez. 1, n. 19443 del
23/09/2011, Rv. 619790).
10, È invece fondata la censura posta a base del ricorso incidentale proposto
dall’Agenzia delle entrate.
L’art. 39, comma 2, lett. d-bis) d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, prevede
che l’ufficio, nell’accertamento del reddito d’impresa, possa avvalersi del metodo
induttivo: «quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli

uffici ai sensi dell’art. 32, comma 1, nn. 3) e 4), del presente decreto o del
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, nn. 3) e 4)». A loro volta le
disposizioni contenute all’art. 32 cit., comma 1, nn. 3 e 4, d.P.R. prevedono che
gli uffici possano: «3) invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o

trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti,
•..; 4) inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere
specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti …».
Il cit. art. 32, ai commi 4 e 5, dispone poi (comma 4) che delle notizie e dei
dati non addotti dal contribuente in risposta al questionario inviato dall’ufficio ai
sensi del comma 1, n. 4, e degli atti e dei documenti da lui non trasmessi in
risposta agli inviti formulati dall’ufficio ai sensi del comma 1, n. 3, non può

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pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che

tenersi conto a suo favore, ai fini dell’accertamento, in sede amministrativa ed in
giudizio; che tuttavia (comma 5) tale causa d’inutilizzabilità non opera, cosicché
il contribuente può avvalersi in giudizio anche di dati e notizie non comunicati e
di atti e documenti non esibiti o non trasmessi a richiesta dell’ufficio, se li alleghi
all’atto introduttivo del giudizio e dichiari «contestualmente» (cioè nello stesso
ricorso) di non aver potuto ottemperare alla richiesta

«per causa a lui non

Si ricava da tali norme che il legislatore:
– ha sanzionato con la inutilizzabilità il mancato adempimento da parte del
contribuente a quanto richiestogli, trattandosi tuttavia di inutilizzabilità non
assoluta, non operando essa se il contribuente alleghi quanto richiestogli al
ricorso introduttivo del giudizio, dichiarando al contempo di non aver potuto
adempiere per casa a lui non imputabile;
– ha individuato il mancato ottemperamento da parte del contribuente a
quanto richiestogli come uno dei casi (unitamente alla mancata presentazione
della dichiarazione, la sottrazione o comunque la mancanza delle scritture
contabili, la falsità o l’omissione o la grave irregolarità delle scritture contabili) in
cui l’ufficio può procedere all’accertamento induttivo.
Nel caso di specie l’adempimento da parte dell’amministrazione agli obblighi
posti a suo carico dalle norme citate non è posto in discussione, né trova
smentita alcuna nella sentenza impugnata.
Risulta altresì sostanzialmente incontestato che la documentazione sia stata
presentata solo in sede giudiziale, ma nulla si dice in sentenza circa l’allegazione
in ricorso di giustificazione alcuna in ordine alla mancata presentazione della
documentazione richiesta in sede precontenziosa e alle ragioni che l’avevano
impedita.
In tal contesto, si ricava effettivamente dalle norme richiamate una
preclusione all’utilizzo, in sede processuale, della documentazione non esibita o
presentata all’agenzia in risposta al questionario.

11

imputabile».

Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, nell’accertamento delle
imposte sui redditi, infatti, il comportamento del contribuente che «ometta di
rispondere ai questionari previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 4 e non
ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi
all’impresa esercitata, impedendo in tal modo, o comunque ostacolando, la
verifica dei redditi prodotti da parte dell’Ufficio, vale di per sè solo ad ingenerare

di attività non dichiarate desumibile dal raffronto tra le percentuali di ricarico
applicate e quelle medie del settore, e, conseguentemente, legittimo
l’accertamento induttivo emesso su quella base dall’Ufficio del D.P.R. n. 600 del
1973, ex art. 39, comma 1, lett. d)» (Cass. n. 19014 del 2005, n. 12262 del
2007).
È quindi ingiustificata sul piano motivazionale (e incorre quindi nel vizio
denunciato) l’affermazione, contenuta nella laconica motivazione della sentenza
impugnata, secondo cui, in buona sostanza, ad escludere la fondatezza
dell’eccezione di inutilizzabílità dei documenti, basterebbero la documentazione
allegata all’atto di costituzione in giudizio. Così come inconferente è il rilievo che
«il contribuente ha dichiarato ai verificatori di non essere stato in grado di
reperire tutta la documentazione richiesta»,

atteso che la norma sopra

richiamata (peraltro testualmente trascritta nella sentenza impugnata) richiede
quale condizione di inoperatività della sanzione di inutilizzabilità degli atti e dei
documenti non trasmessi in risposta agli inviti formulati dall’ufficio: a) che il
contribuente dichiari di non aver potuto adempiere le richieste degli uffici «per
causa a lui non imputabile» (giustificazione a rigore non desumibile nel caso di
specie dalla affermazione sopra riportata); b) in ogni caso che tale dichiarazione
venga resa in sede giudiziale contestualmente alla proposizione del ricorso (non
rilevando dunque la dichiarazione in tal senso resa agli stessi verificatori).
11. In accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza impugnata va quindi
cassata, con rinvio alla C.T.R. del Lazio per nuovo esame e anche per il

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un sospetto sull’attendibilità di dette scritture, rendendo “grave” la presunzione

regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale; dichiara inammissibile
il secondo; accoglie il ricorso incidentale; per l’effetto, cassa la sentenza
impugnata, con rinvio per nuovo esame alla C.T.R. del Lazio, in diversa
composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese del

Così deciso 1’8/2/2016

presente giudizio di legittimità.

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