Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7891 del 19/03/2021

Cassazione civile sez. II, 19/03/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 19/03/2021), n.7891

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24057/2019 proposto da:

D.M., rappresentato e difeso dall’avvocato AMERIGA MARIA

PETRUCCI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 26/2019 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 22/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/07/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, cittadino senegalese, interponeva ricorso avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Crotone con il quale gli era stato negato l’accesso alla protezione internazionale e umanitaria.

Con ordinanza dell’8.6.2017 il Tribunale di Potenza, in composizione monocratica, rigettava il ricorso.

Interponeva appello l’odierno ricorrente e la Corte di Appello di Potenza, con la sentenza impugnata n. 26/2019, dichiarava inammissibile il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D.M. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento dello status di rifugiato in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che anche la famiglia può costituire il gruppo sociale da considerare ai fini del riconoscimento della protezione maggiore. In particolare, il D. aveva dichiarato di essersi allontanato dal proprio Paese in conseguenza di una faida tra diverse famiglie originata da una lite in occasione di una partita partita di calcio; durante la quale il fratello aveva litigato con un ragazzo e lo aveva colpito con un coltello, uccidendolo, la Corte potentina aveva ritenuto la storia non idonea ai fini del riconoscimento della tutela internazionale, trattandosi di questione privata; il ricorrente sostiene invece che, nel contesto del proprio Paese di origine, anche un gruppo familiare può rappresentare una formazione sociale dotata di autonoma forza di intimidazione.

La censura è infondata. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, prevede infatti che l’atto persecutorio, per essere rilevante ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, deve provenire dallo Stato, dai partiti politici o dalle organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, ovvero dai soggetti non statuali, se gli Stati o i partiti ed organizzazioni che li controllano in tutto o in parte non possono o non vogliono offrire protezione ai singoli contro persecuzioni o danni gravi alla persona. La famiglia non è certamente in grado di controllare tutto o parte del territorio di uno Stato, nè di assolvere le funzioni naturalmente proprie di quest’ultimo, qualora esso non possa o non voglia farlo. In ogni caso, il ricorrente non ha allegato l’esistenza, in Senegal, di un contesto politico e sociale talmente disgregato da poter far presumere che il potere di organizzazione della vita dei consociati e di repressione dei loro comportamenti sia, in tutto o in parte, nelle mani dei singoli nuclei familiari, per quanto allargati.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancata concessione della protezione sussidiaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe escluso con motivazione apparente la sussistenza della violenza generalizzata richiesta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

La censura è infondata. La Corte lucana ha infatti esaminato la situazione interna del Senegal, e della regione del Kaolack (dalla quale proviene il ricorrente) in particolare, concludendo che quest’ultima è una delle più floride del Paese e che il Paese stesso è uno degli Stati più stabili dell’intero continente africano (cfr. pagg. 8 e ss. della sentenza). Tale ricostruzione, fondata su informazioni tratte da fonti internazionali debitamente indicate nel provvedimento impugnato, in coerenza con i principi posti da questa Corte (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv. 653887; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174) non si risolve certamente in una motivazione apparente, avendo il giudice di merito consentito alla parte la duplice verifica delle fonti consultate e delle specifiche informazioni da esse ricavate.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta infine la mancata concessione della protezione umanitaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare la sua giovane età, il pericolo di essere ucciso dai membri della famiglia avversaria, il contesto socialmente arretrato del Senegal e le condizioni di vita colà esistenti.

La censura è inammissibile perchè il ricorrente si limita ad una critica generica della valutazione di fatto compiuta dalla Corte territoriale. Nè sussistono i lamentati profili di omessa considerazione degli aspetti sopra evidenziati, posto che la Corte potentina ha condotto una complessiva valutazione, sia del contesto esistente nella regione di provenienza del richiedente, sia della sua condizione personale, escludendo tanto un quadro di pericolosità oggettiva in caso di rientro, quanto un profilo di vulnerabilità individuale, non avendo il D. allegato alcun elemento specifico inerente alla sua storia particolare.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021

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