Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7891 del 16/04/2020

Cassazione civile sez. I, 16/04/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 16/04/2020), n.7891

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso RG n. 8857/2019 proposto da:

M.A., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Antonio Fraternale, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 9 febbraio

2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Ancona del 9 febbraio 2019. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente, M.A., potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi. Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’istante assume anzitutto che il Tribunale avrebbe reso, col decreto impugnato, una motivazione meramente apparente, in spregio dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 111 Cost., comma 6.

Lo stesso ricorrente lamenta, poi, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, rilevando che il Tribunale avrebbe mancato di compere una “valutazione comparativa sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili”.

2. – I due motivi vanno disattesi.

Il provvedimento impugnato reca una puntuale indicazione delle ragioni poste a fondamento del rigetto del ricorso proposto: spiega, in particolare, che la vicenda narrata dall’istante, incentrata sulla perdita di una eredità, appariva non circostanziata e afflitta da plurime contraddizioni sui punti principali (avendo riguardo alle diverse versioni fornite nel corso dell’audizione avanti alla Commissione territoriale e in udienza) (pagg. 2 e 3); chiarisce che le dichiarazioni rese, ove pure credibili, davano conto di una vicenda di vita privata e che non sussisteva una condizione oggettiva di pericolo direttamente riferibile al ricorrente in relazione la situazione generale della zona geografica di provenienza (pag. 3); esclude in particolare che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato, non essendo egli stato vittima di atti di persecuzione (pag. 6); nega, del pari, il pericolo del ricorrente di essere esposto al danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e lett. b), consistente nella condanna a morte, nell’esecuzione della pena di morte, o nella sottoposizione a tortura o ad altra forma di pena inumana o degradante (pagg. 6 e 7); dà conto della situazione generale del paese di provenienza ((OMISSIS)) e nega che sia ivi presente una situazione di violenza indiscriminata riconducibile alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (pagg. 3, 4, 5 6 e 7); rileva l’insussistenza delle condizioni di vulnerabilità atte a giustificare l’accesso alla protezione umanitaria, osservando come nel paese di provenienza non vengano segnalate limitazioni all’esercizio dei diritti umani e come, in particolare, non possa dirsi che il richiedente, in caso di rimpatrio, verrebbe a trovarsi nella impossibilità di soddisfare i bisogni di vita personale; precisa, da ultimo, che la documentazione prodotta non evidenziava nessuno sforzo serio del ricorrente ai fini della effettiva integrazione nel tessuto socio-economico nazionale (pag. 9) e che, in ogni caso, la prova del raggiungimento di un certo grado di integrazione non è sufficiente ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (pagg. 9 e 10).

E’ escluso, dunque, che ricorra l’ipotesi della motivazione apparente: fattispecie che si configura solo quando la motivazione, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232). Il primo motivo è quindi infondato.

Ma è fuori bersaglio anche il secondo motivo di censura, giacchè il Tribunale non si è discostato dai principi elaborati da questa Corte in materia di protezione umanitaria e segnatamente da quello per cui l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459).

2. – Il ricorso è respinto.

3. – Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, liquidate in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2020

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