Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7887 del 19/03/2021

Cassazione civile sez. I, 19/03/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 19/03/2021), n.7887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso n. 16526/2019 proposto da:

I.M., elettivamente domiciliato in Lecco, alla via Carlo

Cattaneo n. 42/h, presso lo studio dell’avv. Maria Daniela Sacchi,

che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

(OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 19/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/12/2020 dal Consigliere Dott. Irene Scordamaglia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I.M., proveniente dal (OMISSIS) ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Milano avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Milano/Monza, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (sub species di status di rifugiato; di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria).

1.1. Con decreto n. 3689 del 19 aprile 2019, il Tribunale ha respinto il ricorso, rilevando che: I. il racconto reso dal richiedente in ordine alla vicenda personale che l’aveva costretto all’espatrio segnatamente lo spoglio violento della casa subito ad opera del sindaco del villaggio di provenienza, esponente del partito “(OMISSIS)”, che aveva ucciso il padre, attentato alla sua persona e costretto alla fuga la madre e la sorella, senza subire alcuna sanzione per quanto commesso, anzi continuando a vessarlo, tramite sicari, in Grecia, ove aveva trovato riparo dopo avere lasciato il Pakistan – fosse non credibile, perchè generico e inverosimile; II. i fatti narrati non integravano nè atti di persecuzione, nè atti riportabili alla categoria dei danni gravi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 14, ma costituivano espressione di questione risolvibile sul piano del diritto civile e penale pakistano; III. i fatti riferibili agli abusi commessi dal sindaco del villaggio in quanto esponente della “(OMISSIS)” non erano tali da generare un perdurante timore di rimpatrio per il richiedente, posto che il suddetto partito non era più al potere in Pakistan; IV. non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, non avendo il richiedente conseguito un’effettiva integrazione socio-lavorativa in Italia, nè potendosi dire affetto da una specifica situazione di vulnerabilità, quand’anche riferita al contesto sociale di provenienza nel quale conservava rapporti con la madre e le sorelle.

2. Avverso il provvedimento in premessa ha presentato ricorso I.M., promuovendo quattro motivi di cassazione.

2.1. Con il primo motivo ha censurato la decisione del Tribunale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per “non avere il Tribunale applicato i principi in materia di attenuazione dell’onere della prova”.

2.2. Con il secondo motivo ha lamentato la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per “non avere il Tribunale riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla sua vita in ragione della situazione generale del Paese di provenienza”, deducendo, in particolare, che “l’esame della sussistenza di una condizione di pericolo, dovuta a violenza diffusa e non controllata o non controllabile, della autorità statuali, non sarebbe stato effettuato in modo sufficientemente adeguato”, in quanto “il quadro tracciato dalle fonti ufficiali in relazione al Pakistan (e in particolare al Punjab, sua regione di provenienza) è drammatico”.

2.3. Con il terzo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per non avere il Tribunale adempiuto al dovere “di cooperazione istruttoria”, gravante in capo al giudice della protezione internazionale, avendo compiuto “una valutazione soltanto sommaria e superficiale della situazione attuale del Pakistan”, nella quale imperverserebbero gruppi terroristici, come attestato dalle fonti riportate (una pubblicazione del Foreign and Commonwealth Office del 2015; nonchè un comunicato del Ministero degli Affari Esteri del 2018, in cui si riferisce che “la situazione di sicurezza in Pakistan è condizionata dal permanere di un elevato rischio terrorismo” e dalla corruzione del sistema giudiziario, e non avendo adeguatamente approfondito la vicenda documentata dalla fotografia del giornale prodotta in giudizio.

2.4. Con il quarto motivo ha eccepito la violazione dell’art. 5, comma 6, TUI, per non avere il Tribunale riconosciuto al richiedente la protezione internazionale per motivi umanitari, che gli sarebbe, invece, spettato in ragione del livello di integrazione sociale raggiunto in Italia, in quanto impiegato in attività lavorativa a tempo indeterminato.

3. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va rilevato che, con l’ordinanza interlocutoria n. 28316 del 2020, depositata l’11 dicembre 2020, la Sesta Sezione di questa Corte ha rimesso al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, per l’assegnazione alle Sezioni Unite, la questione di massima di particolare importanza avente ad oggetto “la configurabilità del diritto alla protezione umanitaria, nella vigenza del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ed in continuità con la collocazione nell’alveo dei diritti umani inviolabili ad esso attribuita dalla recente pronuncia n. 24159 del 2019, quando sia stato allegato ed accertato il “radicamento” effettivo del cittadino straniero, fondato su decisivi indici di stabilità lavorativa e relazionale, la cui radicale modificazione, mediante il rimpatrio, possa ritenersi idonea a determinare una situazione di vulnerabilità dovuta alla compromissione del diritto alla vita privata e/o familiare ex art. 8 CEDU, sulla base di un giudizio prognostico degli effetti dello “sradicamento” che incentri la valutazione comparativa sulla condizione raggiunta dal richiedente nel paese di accoglienza, con attenuazione del rilievo delle condizioni del paese di origine non eziologicamente ad essa ricollegabili”.

2. Poichè il quarto motivo di ricorso ha ad oggetto la medesima questione, avendo il ricorrente dedotto di essere meritevole della protezione umanitaria invocata in ragione del livello di integrazione sociale raggiunto in Italia, in quanto impiegato in attività lavorativa a tempo indeterminato, tanto essendo sintomatico di un suo effettivo radicamento in Italia, ritiene il Collegio necessario rinviare la causa a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite.

P.Q.M.

La Corte dispone rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021

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