Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7885 del 19/03/2021

Cassazione civile sez. II, 19/03/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 19/03/2021), n.7885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14477/2016 proposto da:

L.R., M.B.V., rappresentati e difesi

dall’avvocato GAETANO MARTOSCIA;

– ricorrenti –

contro

Z.V., Z.C., Z.S.,

ZA.SA., M.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3937/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 08/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. M.B.V. e L.R. hanno proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3937/2015, pubblicata l’8 ottobre 2015.

2. Gli intimati Z.V., Z.C., Z.S., Za.Sa. e M.F. non hanno svolto attività difensive.

3. La Corte d’appello di Napoli, in parziale accoglimento dell’appello principale contro la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, in data 22 ottobre 2018, ha condannato M.B.V. e L.R. a demolire il box costruito su proprietà comune nel fabbricato di (OMISSIS). La Corte di Napoli ha affermato che la costruzione di tale box fosse avvenuta su area comune (sulla quale in origine insisteva un forno parimenti comune) alla stregua delle indagini espletate dal CTU e dei titoli di proprietà consultati, a far tempo dall’atto Sica 31 ottobre 1937 e poi dell’atto di divisione tra gli aventi causa di L.S. per notaio P.. D’altro canto, tale costruzione è stata ritenuta dai giudici di secondo grado lesiva dell’uso del bene comune ai sensi dell’art. 1102 c.c..

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..

5. Il primo motivo del ricorso di M.B.V. e L.R. deduce il vizio di motivazione, l’errore processuale per mancata valutazione di una prova documentale offerta, l’omessa e insufficiente motivazione concernente l’accertamento e la valutazione dei fatti, il sintomatico e contraddittorio comportamento della Corte d’appello, mostratasi dubbiosa circa la titolarità dell’area di sedime costituita dal pollaio sotto il forno, l’omessa motivazione concernente l’area di sedime del pollaio su cui si ergeva il forno. La censura, densa di parti in carattere maiuscolo e grassetto, parla delle lacune della CTU e dell’atto notaio P. 3 giugno 1980 e assume l’esistenza di un acquisto a titolo derivativo del pollaio sottoposto al forno, dove è poi stato realizzato il box garage.

Il secondo motivo del ricorso di M.B.V. e L.R., graficamente uguale al primo, deduce sempre il vizio di motivazione, l’omessa o insufficiente motivazione, l’omessa considerazione di un fatto decisivo, il mancato adempimento del principio in tema di onere della prova ex art. 2697 c.c., in quanto dovevano essere gli Z. a dimostrare la comproprietà dell’area.

5. I due motivi di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente, sono sprovvisti dei caratteri di tassatività e specificità imposti dall’art. 360 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, sfuggendo alle categorie logiche previste dalla prima norma e riducendosi ad una critica generica della sentenza impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati.

I motivi sono poi carenti di specificità altresì sotto il profilo dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6: si fa riferimento a titoli di proprietà dei quali non si indica il contenuto essenziale per valutare la fondatezza delle censure.

Occorre aggiungere che, nel vigore del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), che sia stato oggetto di discussione tra le parti, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Neppure la denuncia di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, può ammissibilmente svolgersi, come avvenuto nei due motivi di ricorso, mediante un rinvio a documenti, senza rispettare la previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e quindi senza indicare specificamente il “dato”, testuale o extratestuale, in cui le circostanze comprovate dalla richiamata documentazione risultassero dedotte nei pregressi gradi di giudizio, in maniera da essere oggetto di discussione processuale tra le parti, ovvero senza specificare quali istanze la parte avesse rivolto al Tribunale ed alla Corte d’Appello nei propri scritti difensivi, prima della maturazione delle preclusioni assertive, per chiarire gli scopi dell’esibizione di quei documenti (arg. da Cass. Sez. 1, 24/12/2004, n. 23976). Il giudice ha, infatti, il potere – dovere di esaminare i documenti prodotti solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza, esponendo nei propri atti introduttivi, ovvero nelle memorie di definizione del “thema decidendum”, quali siano gli elementi di fatto e la ragioni di diritto comprovate dall’allegata documentazione (Cass. Sez. 2, 16/08/1990, n. 8304; Cass. Sez. 3, 07/04/2009, n. 8377). I ricorrenti auspicano, in definitiva, che la Corte di Cassazione tragga dai richiamati documenti un apprezzamento di fatto difforme da quello espresso dai giudici del merito, rivalutando le risultanze probatorie nel senso più favorevole alle loro tesi difensive, il che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, attività non consentita in sede di legittimità.

D’altro canto, la confusa esposizione posta nella premessa del ricorso rappresenta una situazione di condominialità ex art. 1117 c.c., del fabbricato rurale di (OMISSIS). Non si comprende se proprio l’atto per notaio P. del 3 giugno 1980 costituì il primo atto di frazionamento della proprietà dell’edificio, dal quale avrebbe così avuto origine il condominio delle unità immobiliari appartenenti ai contendenti. Insorto il condominio, doveva comunque reputarsi operante altresì la presunzione legale ex art. 1117 c.c., di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal primo titolo di frazionamento non risultasse, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente al venditore o ad alcuno dei condomini la proprietà di dette parti (Cass. Sez. 2, 18/12/2014, n. 26766; Cass. Sez. 2, 22/08/2002, n. 12340; Cass. Sez. 2, 07/08/2002, n. 11877). E’ noto al riguardo che qualsiasi spazio esterno che abbia la funzione di dare aria e luce all’adiacente fabbricato, o di consentirne l’accesso, fa parte delle cose comuni di cui all’art. 1117 c.c., dovendosi qualificare come cortile, sicchè, ove manchi un’espressa riserva di proprietà o sia stato omesso nel primo atto di trasferimento qualsiasi univoco riferimento al riguardo, esso è di proprietà condominiale.

E’ poi evidente l’insindacabilità in sede di legittimità del giudizio di fatto che, alla luce del disposto dell’art. 1102 c.c., ha negato la liceità della realizzazione di un box auto su una parte comune, in quanto ne compromette il pari uso.

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile. Non deve provvedersi al riguardo delle spese del giudizio di cassazione, perchè gli intimati non hanno svolto difese

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021

 

 

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