Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7881 del 03/04/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 7881 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 18818-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585 – Società con socio unico in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,
che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
BRANDI MANUELA BRNMNL74C67H501T, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato
ROBERTO RIZZO, che la rappresenta e difende, giusta procura
speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 03/04/2014

avverso la sentenza n. 6291/2010 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 7/7/2010, depositata il 14/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/02/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA.
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente

“Con ricorso al Giudice del lavoro di Roma, Emanuela Brandi
chiedeva che fosse dichiarato nullo il termine apposto a tre contratti a
tempo determinato con i quali era stata assunta alle dipendenze
di Poste Italiane s.p.a., stipulati: – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l.
26/11/94, come integrato dall’accordo sindacale 25/9/97, per il
periodo 30/3/2000-30/6/2000 («esigenze eccezionali conseguenti
alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali
in corso …»); – ai sensi dell’art. 25 c.c.n.l. 11/1/2001 per il periodo
1/6/2001-30/9/2001 («esigenze eccezionali di carattere straordinario
conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più
funzionale posizionamento di risorse sul territorio….»); – ai sensi del
d.lgs. n. 368/2001 per il periodo 2/8/2004-15/9/2004 («ragioni di
carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla
sostituzione del personale…..assente con diritto alla conservazione del
posto…»). Il Tribunale accoglieva il ricorso ritenendo l’illegittimità
del termine apposto al primo dei tre contratti impugnati (30/3/200030/6/2000) e l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato ancora in corso, con condanna della società al
pagamento, in favore della lavoratrice delle retribuzioni maturate dal
28 settembre 2004 e fino alla effettiva riammissione in servizio. La
decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Roma, con
sentenza n. 6291/2010.

Ric. 2011 n. 18818 sez. ML – ud. 18-02-2014
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contenuto:

Avverso questa sentenza Poste Italiane propone ricorso per
cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste la Brandi con
controricorso.
I motivi proposti dalla soc. Poste si riassumono come segue.
Violazione della legge n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 del c.c.n.l.

successivi 16/1/98, 27/4/98, 2/7/98, 24/5/88 e 18/1/01, in
connessione con l’art. 1362 cod. civ.; violazione dei canoni di
ermeneutica contrattuale (art. 1362 cod. civ., e segg.) in relazione
all’interpretazione accolta dal giudice di merito dell’art. 8 del c.c.n.l.
26/11/94 e dell’accordo integrativo 25/9/97, nonché carenza di
motivazione. In particolare, il giudice di merito non avrebbe
considerato che gli accordi successivi a quello del 25/9/97 erano
ricognitivi delle condizioni legittimanti in fatto il ricorso
al contratto a termine, senza circoscrivere il ricorso a tale strumento
solo al periodo temporale indicato (primo motivo).
Omessa ed insufficiente motivazione in quanto il giudice di merito
non avrebbe esposto in modo idoneo le ragioni che porrebbero in
rapporto il contratto collettivo del 1994, l’accordo sindacale del
25/9/97 ed i successivi accordi attuativi in relazione al limite
temporale cui sarebbero subordinate le assunzioni a termine (secondo
motivo).
Violazione dell’art. 1206 cod. civ., e segg., artt. 2094, 2099 e 2697
cod. civ., in quanto il giudice di merito avrebbe contravvenuto ai
principi di diritto secondo cui dalla nullità del termine non consegue la
prosecuzione dell’obbligo retributivo del datore di lavoro, in mancanza
della prestazione lavorativa, e che la richiesta di reintegrazione
nel posto di lavoro non implica di per sé un’offerta della prestazione ai
fini della messa in mora del datore di lavoro. Lamenta anche la
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26/11/94 e dell’accordo integrativo 25/9/97, nonché degli accordi

mancata considerazione dell’ aliunde percoturn e della relative richieste
probatorie (terzo motivo).
Il motivo è integrato dalla deduzione dello jus superveniens
rappresentato dalla legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 e in
particolare dalla previsione, con efficacia retroattiva, del pagamento di

al contratto a termine (quarto motivo).
I primi due motivi sono manifestamente infondati in forza della
giurisprudenza di questa Corte, la quale ritiene che la legge 28 febbraio
1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la
possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste
dalla legge 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, nonché dal D.L. 29 gennaio
1983, n. 17, art. 8 bis, conv. dalla legge 15 marzo 1983, n. 79 – nuove
ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro,
configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i
quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure
di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge
(v. Cass. Sez. Un. 2 marzo 2006, n. 4588). Dato che in forza di tale
delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi
di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del
25/9/97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici
che, con riferimento al distinto accordo attuativo, sottoscritto in pari
data ed al successivo accordo attuativo del 16/1/98, ha ritenuto che
con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la
sussistenza fino al 31/1/98 (e poi in base al secondo accordo attuativo,
fino al 30/4/98), della situazione di fatto integrante le esigente
eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Consegue che
per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva
procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale
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un’indennità omnicomprensiva in caso di illegittimo ricorso

straordinario con contratto tempo e che l’esistenza di dette esigenze
costituisse presupposto essenziale della pattuizione negoziale; da ciò
deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati
dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. In
altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto

stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla
possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente
al 31/1/98 e successivamente al 30/4/98, l’indicazione di tale causale
nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto
scada in data non successiva al 30/4/98 (v., exp/utimis, Cass. 23 agosto
2006, n. 18378).
La giurisprudenza di questa Corte ha, altresì, ritenuto corretta, nella
ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di
merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18/1/01 in quanto stipulato
dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il
diritto del soggetto si era già perfezionato. Ammesso che le parti
avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi
precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni
a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25/9/97 (scaduto
in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque
conforme alla regula 1.1117. S dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già
perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il
potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica
(previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la
disciplina nel d.lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la
stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della
durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004, n.
5141).
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originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente

Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al
di fuori del limite temporale del 30/4/98 sono illegittimi in quanto non
rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito dalla legge 28
febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva
che consente la deroga alla legge n. 230 del 1962. Essendo nella specie

20/3/2000-30/6/2000, i due motivi debbono essere rigettati.
Quanto alle ulteriori doglianze, va rilevato che la necessità di
applicazione dello jus superveniens costituito dalla legge 4 novembre
2010, n. 183 è assorbente rispetto alle censure di cui al terzo motivo (ai
fini della cui ammissibilità, peraltro, rileva, a prescindere dalla sua
fondatezza, la censura come sopra riassunta).
E’ stato da questa Corte ritenuto che tale disciplina, costituente
nuova regolazione del rapporto controverso, sia applicabile ai giudizi
pendenti in grado di legittimità, a condizione che la Corte sia al
riguardo investita da un valido e pertinente motivo di impugnazione (v.
Cass. 28 gennaio 2011, n. 2112; id. 31/1/2012, n. 140; 2 marzo 2012,
n. 3305; 26 luglio 2012, n. 13351), in ragione della natura del controllo
di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso
(cfr. Cass. 8 maggio 2006, n. 10547 e 27 febbraio 2004, n. 4070). Tale
condizione è realizzata nel caso di specie.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento
dell’ultimo motivo di ricorso con conseguente cassazione, con rinvio
(nell’impossibilità di provvedere in questa sede alle valutazioni di fatto
richieste dall’applicazione della norma sopravvenuta), anche per le
spese di questo giudizio, ad altro giudice, il tutto con ordinanza, ai
sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5”.
2 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le
considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto
Ric. 2011 n. 18818 sez. ML – ud. 18-02-2014
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il contratto stipulato per “esigenze eccezionali ecc….” per il periodo

condivisibili, siccome coerenti con l’ormai consolidata giurisprudenza
di legittimità in materia.
Quanto ai rilievi della controricorrente di cui alla memoria
depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., va innanzitutto rilevato
che dalla stessa sentenza impugnata si evince che la questione del

società appellante alla Corte di merito, il che, invero, è sufficiente per
richiedere, in sede di legittimità l’applicazione delljus supeveniens
costituito dalla legge n. 183 del 2010 (entrata in vigore successivamente
alla pronuncia), in relazione ad un motivo di ricorso che abbia, come
nella specie, investito le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità
del termine.
Si osserva, poi, che, come già precisato da questa Corte (v. Cass. 29
febbraio 2012, n. 3056), l’indennità in esame “configura, alla luce
dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte Costituzionale con
sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale ex lege a carico del datore
di lavoro che ha apposto il termine nullo, ed è liquidata dal giudice, nei
limiti e con i criteri fissati dal citato art. 32 (che richiama i criteri
indicati nell’art. 8 1. 604/1966), a prescindere dall’intervenuta
costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno
effettivamente subito dal lavoratore, trattandosi di indennità foOfi’uata
e onnicomprensiva per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo
cosiddetto intermedio (dalla scadenza del termine alla sentenza di
conversione del rapporto)”.
In senso conforme a quanto già affermato dalla Corte
costituzionale e da questa Corte di legittimità è stata poi emanata la
legge n. 92 del 28/6/2012 (in G.U. n. 153 del 3/7/2012), che all’art. 1
comma 13, con chiara norma di interpretazione autentica, ha così
disposto: “La disposizione di cui al comma 5 dell’art. 32 della legge 4
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quantum del risarcimento del danno era stata ritualmente devoluta dalla

novembre 2010, n. 183, si interpreta nel senso che l’indennità ivi
prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese
le conseguenze retributive e contributive relative al periodo 6
compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del
provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione

La controricorrente, prendendo spunto dalla recente sentenza della
Corte di Giustizia Europea (causa C-361/12 – Carratù) ha posto la
questione della disapplicazione dell’art. 32 (come autenticamente
interpretato) per contrarietà alla Direttiva CE n. 70/99 (clausola 4
punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e clausola
8 punto 1) in quanto si tratterebbe di norma capace di determinare una
drastica riduzione (rispetto alla normativa previgente) dell’indennità
risarcitoria nei casi di conversione del rapporto laddove la lettura
combinata delle indicate clausole legittimerebbe, per i lavoratori che si
trovino in situazioni comparabili, solo la possibilità di introdurre
disposizioni più favorevoli.
La questione non è fondata.
Si osserva, al riguardo, che la Corte di Giustizia nella sentenza
citata ha innanzitutto precisato che la scelta dello Stato italiano di
prevedere, per l’ipotesi dei contratto a termine illegittimo, un regime
risarcitoti° diverso e meno favorevole rispetto a quello applicato in
caso di licenziamento illegittimo, non contrasta con il diritto
comunitario.
Inoltre, con l’art. 32, il legislatore non ha stabilito una
parametrazione del risarcimento in misura diversa ed inferiore rispetto
ad analoga parametrazione del sistema previgente, tale da consentire
un raffronto teorico ai fini di una valutazione in termini di drastica
riduzione. Prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, infatti, in
Ric. 2011 n. 18818 sez. ML – ud. 18-02-2014
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del rapporto di lavoro”.

relazione alla scadenza del contratto a termine operavano le sanzioni
tipiche previste dall’ordinamento che si ricollegano all’applicazione
delle regole generali civilistiche collegate alla nullità della clausola
appositiva del termine, alla conversione del rapporto

ex tunc in

rapporto a tempo indeterminato ed alla mora del datore di lavoro.

danno effettivo ed i cui limiti sono stati parametrati dal legislatore tra
un minimo ed un massimo (tenendo conto del vantaggio per il
lavoratore derivante dal mantenimento della regola di «conversione»),
non è, dunque, automaticamente ovvero necessariamente meno
favorevole rispetto ad un sistema in cui la liquidazione del risarcimento
andava effettuata caso per caso dal giudice anche mediante il ricorso a
presunzioni semplici sull’ akunde perceptum e percipiendum.
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod.
proc. civ. per la definizione camerale del processo.
3 – Va, pertanto, accolto l’ultimo motivo di ricorso mentre gli altri
vanno rigettati; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo
accolto, con rinvio (nell’impossibilità di provvedere in questa sede alle
valutazioni di fatto richieste dall’applicazione della norma
sopravvenuta), anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di
appello di Roma, in diversa composizione, che valuterà, alla luce dei
criteri dettati dalla legge 183/2010, quale debba essere la misura
dell’indennità da liquidarsi.

P.Q.M.
La Corte accoglie l’ultimo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa
la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche
per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di
Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 febbraio 2014.

L’introduzione di una indennità comunque dovuta a prescindere da un

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