Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7880 del 28/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/03/2017, (ud. 09/01/2017, dep.28/03/2017),  n. 7880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16385/2014 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI

CARRACCI, 1, presso lo studio dell’avvocato TEODORO COSTA, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.V.P., nella qualità di Custode Giudiziario dei beni

della procedura esecutiva immobiliare presso il Tribunale di Taranto

n. 176/86 RGE, elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA BORGHESE 3,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PESCE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE SEMERARO, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– controricorrente –

e contro

L.A., CUSTODIA GIUDIZIALE RGES (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 120/2014 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI

TARANTO, depositata il 24/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/01/2017 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SEMERARO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto perchè

improcedibile o inammissibilità.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.M. proponeva opposizione all’atto di precetto di rilascio del fondo che il custode giudiziario della procedura esecutiva immobiliare n. (OMISSIS) R.G.Es., pendente innanzi al Tribunale di Taranto, gli aveva notificato, ai sensi dell’art. 605 c.p.c..

L’opponente deduceva che il terreno sottoposto a pignoramento costituiva oggetto di un contratto di affitto di fondo rustico registrato in data (OMISSIS), prorogato fino al 10 novembre 2012, in virtù di sentenza del Tribunale di Taranto n. 1914/2001 (confermata in grado di appello e cassazione) e rinnovato tacitamente fino al 10 novembre 2027 per mancata formalizzazione della disdetta, a norma della L. n. 203 del 1982, art. 4.

Nel giudizio interveniva volontariamente il debitore esecutato L.A., succeduto a L.R. nella proprietà del fondo, aderendo alle ragioni dell’opponente.

Il Tribunale di Taranto, sezione agraria, con sentenza del 23 luglio 2013 dichiarava inammissibile l’intervento e le domande formulate da L.A.; dichiarava inammissibile la domanda di accertamento dell’avvenuta rinnovazione del contratto agrario formulata da L.M.; rigettava l’opposizione e le ulteriori domande formulate da quest’ultimo; condannava l’opponente e l’interveniente al pagamento, in solido tra loro, delle spese processuali in favore del custode giudiziario.

Avverso questa decisione L.M. proponeva appello, rigettato dalla Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 24 marzo 2014.

L.M. ricorre per cassazione, allegando sei motivi. Resiste con controricorso il custode giudiziario.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

Il L. ha omesso di impugnare una delle due autonome rationes decidendi che sorreggono la decisione d’appello.

In particolare, la corte d’appello ha rilevato, in via preliminare, che l’impugnazione doveva essere dichiarata inammissibile in quanto l’appellante non aveva rispettato i canoni formali posti dall’art. 342 c.p.c., “essendosi perlopiù abbandonato a richiami della sentenza (di primo grado) ed alla rappresentazione delle proprie prospettive interpretative”. Più in dettaglio, la corte territoriale ha osservato, che “l’appello non può consistere nella totale proposizione delle istanze e degli argomenti sviluppati in primo grado, in violazione della natura devolutiva del gravame, dovendo essere invero finalizzato alla censura di punti specifici della sentenza ed alla prospettazione della diversa soluzione da adottare”.

In via subordinata, la corte d’appello si è fatta altresì carico di esaminare nel merito le doglianze già ritenute inammissibili, accertando che le stesse erano altresì destituite di fondamento.

Il ricorso per cassazione del L. interessa solo questa seconda parte della sentenza, censurata, come s’è detto, con ben sei motivi,in nessuno dei quali peròrivolto nei confronti della ratio decidendi principale. In particolare, il L. ha dedotto:

– la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., concernente la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato;

– la violazione e falsa applicazione dell’art. 560 c.p.c. e art. 171 disp. att. c.p.c. e carenza di legittimazione all’esecuzione in capo al custode giudiziario;

– la violazione del principio del ne bis in idem, essendo già intervenute tra le parti statuizioni costituenti cosa giudicata e, quindi, irrevocabili;

– violazione per omissione dell’art. 112 c.p.c., nonchè degli artt. 222 e 221 c.p.c., in merito alla querela depositata in data 16/11/2012 e reiterata il 18/02/2013;

– violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 46, non riferibile al caso di rinnovo del contratto di affitto per omessa formalizzazione di disdetta L. n. 203 del 1982, ex art. 4, da parte del custode giudiziario.

Nessuno dei motivi di censura, pertanto, riguarda il rilievo preliminare d’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c..

Invero, il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata. Si caratterizza, invece, come un rimedio impugnatorio a critica vincolata e a cognizione perimetrata nell’ambito dei vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi (Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; da ultimo Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Vertendosi in materia agraria, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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