Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7876 del 20/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7876 Anno 2016
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: MARULLI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 17773-2010 proposto da:
ING. BANK NV in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO
LUCISANO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato RAFFAELLO LUPI giusta delega in calce;
– ricorrente –

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contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempere, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 20/04/2016

- controricorrente

avverso la sentenza n. 76/2009 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata il 18/05/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/01/2016 dal Consigliere Dott. MARCO

uditi per il ricorrente gli Avvocati LUCISANO e LUPI
che hanno chiesto raccoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato CAPOLUPO che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI CUOMO che ha concluso per
raccoglimento del ricorso.

MARULLI;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’ING Bank N.V. ricorre per cassazione avverso la sentenza con la quale la
CTR Lombardia, riformando la decisione di primo grado, ha ritenuto legittimo
il recupero a tassazione operato dall’Agenzia delle Entrate, in relazione a
contribuente nell’anno 2002, del differenziale tra gli interessi passivi
corrisposti alla clientela e gli interessi attivi da essa riscossi a seguito
dell’acquisto dei titoli.
Nella specie la CTR, premesso che “le vendite a fermo allo scoperto sono state
effettuate nell’aspettativa del calo del prezzo dei titoli”, consistendo perciò “in
operazioni di gioco (al ribasso)” aventi “natura prettamente aleatoria”, ha
creduto di poter affermare che “siccome l’esercizio del gioco sui titoli non è tra
quelli a cui è diretta l’attività bancaria, le spese e le perdite connesse a detto
gioco non sono inerenti all’impresa”. Peraltro, ha aggiunto, la loro deducibilità
può aver luogo in quanto generatori di proventi, ma, siccome la contribuente
non ha fornito la prova su di lei gravante della sussistenza e dell’ammontare
dei proventi derivanti dalle dette operazioni, “gli interessi passivi correlati al
suddetto gioco non possono essere considerati inerenti alla produzione del
reddito”.
Il mezzo qui azionato dalla parte si vale di tre motivi di gravame a cui ha fatto
seguire pure memoria ex art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso l’erario.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1 Con il primo motivo di ricorso ING Bank eccepisce ex artt. 360, comma
primo, n. 3 e n. 5, c.p.c. errore di diritto nell’applicazione dell’art. 10 Dig.
385/96 e vizio di insufficiente e contradditoria motivazione in capo al
pronunciamento impugnato, che ha “del tutto inopinatamente considerato
come una attività di gioco o di scommessa sul rialzo o il ribasso dei titoli
l’attività esercitata dalla banca nel caso di specie e di conseguenza l’ha esclusa
dal novero delle attività bancarie”, sebbene si tratti “di una normale attività

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talune operazioni di pronti contro termine concluse allo scoperto dalla

bancaria costituita dalla vendita a pronti contro termine con la peculiarità dello
sfasamento temporale tra la data in cui verranno computati alla controparte gli
interessi attivi e quella in cui è stato possibile effettuare materialmente
l’acquisto dei titoli”.
comma primo, n. 3, c.p.c. errore di diritto nell’applicazione dell’art. 13 alg.
87/92, in allora vigente, in cui è incorsa la CTR disconoscendo in palese
contrasto con la noma richiamata “gli interessi riconosciuti alla controparte a
decorrere dai giorni di stipula dei contratti di cessione dei titoli” ed
“affermando un esito del tutto ipotetico e di fatto erroneo, dei tentativi di
acquistare i titoli da consegnare con alcuni giorni di ritardo, in modo da
profittare di oscillazioni sul prezzo dei titoli”.
2.3. Violazione e falsa applicazione di legge in relazioni agli art. 75 Tuir in
allora vigente e vizio di contraddittoria ed insufficiente motivazione, per gli
effetti dell’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 5, c.p.c. la ING formula con il
terzo motivo di ricorso osservando, sul rilievo che anche le attività speculative
debbano essere considerate inerenti all’attività bancaria, che non è dato
comprendere “le ragioni che abbiano indotto la CTR ad escludere che le
operazioni di gioco sui titoli rientrino nell’attività bancaria e a considerare i
costi ad esse relativi indeducibili in quanto non inerenti”, e ciò sulla base del
solo disposto dell’art. 10 TUB senza considerare che le banche vengono
annoverate a pieno titolo anche nel TUF quali operatori del settore finanziario
pienamente abilitati al compimento di operazioni aventi ad oggetto la
negoziazioni di “titoli, strumenti finanziari a termine e opzioni”, di modo che
escludendo la deducibilità della descritta componente, la sentenza finisce per
dare “un’interpretazione aberrante” dei fatti di causa, fornendo
un’interpretazione giuridica dell’attività bancaria “a dir poco stravagante” ed
ignara “della normalità della prassi bancaria”.
3.1. Ancorché ogni valutazione nel merito delle singole doglianze debba
restare impregiudicata, la Corte non può tuttavia non rilevare preliminarmente

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2.2. Il secondo motivo del ricorso di parte lamenta a mente dell’art. 360,

che tutti i sopraestesi motivi — pur, come si vedrà, per ragioni proprie a
ciascuno già affetti da pregiudiziale inammissibilità — non esauriscono la
totalità delle rationes decidendi che hanno accompagnato il giudice territoriale
nell’adozione dell’impugnato pronunciamento e vanno perciò nel loro insieme
3.2. Per vero come fatto palese dalla motivazione stilata a conforto del
decisurn la sentenza si vale di un duplice convergente concorso di ragioni che

ne spiegano e ne giustificano concettualmente il deliberato sotto il profilo
logico-razionale.
Essa nella considerazione del pacifico quadro fattuale sottostante, ha infatti
per un verso ritenuto di dover puntualizzare che le operazioni scrutinate, per le
modalità di concreta esecuzione — in guisa delle quali la vendita era effettuata
alla scoperto, provvedendo la banca solo in un secondo momento ad acquistare
i titoli venduti e lucrando nelle more l’eventuale differenza di prezzo —
generino, come scritto “un gioco al ribasso”, ed, in ragione della natura
prettamente aleatoria che vengono per questo ad assumere, non rientrino nella
definizione dell’attività bancaria resa dall’art. 10 TUB, non potendo perciò
qualificarsi come operazioni inerenti ed escludendo dunque che le spese e gli
oneri ad essi connessi possono essere dedotti dal reddito di impresa di chi le
esercita. In pari tempo, però, approfondendo la riflessione originata dalla
considerazione che di essi potrebbe ammettersi la deducibilità qualora ne fosse
provata la conferenza con i proventi realizzati dalla banca, la CTR, all’esito di
una non sommaria disamina degli elementi di valutazione in tale veste offerti
dalla ricorrente, ha pure inteso rimarcare, in tal modo provvedendo la sentenza
di un ulteriore fondamento argomentativo, che la banca contribuente, pur
essendovi tenuta, non aveva fornito la prova che l’allegata componente
reddituale fosse riconducibile ad un’attività generatrice di proventi, escludendo
perciò di nuovo la deducibilità sul conclusivo rilievo che “gli interessi passivi
correlati al suddetto gioco non possono essere considerati inereriti la
produzione del reddito”.

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soggetti ad una comune declaratoria di analogo tenore.

3.3. Ciò detto, è di tutta evidenza che, soffermandosi segnatamente solo sul
profilo della decisione impugnata, che mette l’accento sul difetto di inerenza
dell’attività speculativa fonte della componente in contestazione rispetto
all’attività caratteristica, ma senza sollevare alcuna rimostranza rispetto al
componente ed i ricavi di periodo, la ricorrente abbia inteso confutare solo la
prima ratio decidendi enunciata dalla decisione, lasciando impregiudicata la
seconda. Il che induce a dare ingresso a quella nota giurisprudenza di questa
Corte — che ha riscosso pure l’avvallo anche delle SS.UU. (7931/13; 17662/13)
— secondo la quale quando una decisione di merito, impugnata in sede di
legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi ognuna delle
quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione
della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le
riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Con l’ovvia
conseguenza che, quand’anche il motivo — o come qui — i motivi di ricorso
investono solo una delle diverse rationes poste a fondamento della decisione,
la sua — o la loro ipotetica fondatezza — lascia impregiudicate le restanti che, se
idonee come qui a configurare un’autonoma fonte decisionale, consentono alla
sentenza di sopravvivere evitando di essere cassata.
4.1. Peraltro, come detto, ciascun motivo, singolarmente esaminato, si rileva
affetto da plurime ragioni di inammissibilità.
4.2.1.Segnatamente il primo ed il terzo si espongono ad un primo rilievo in
questa direzione avendo questa Corte reiteratamente affermato (398/15; 54/15;
8350/12) che “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la
mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti
riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3
e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima
questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di
diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve
decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di

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parallelo profilo del difetto di prova in ordine alla correlazione tra la detta

motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in
discussione”. E ciò perché, “l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni
concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito
della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le
d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o
quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo,
inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e
contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere
successivamente su di esse” (11943/11).
4.2.2. Del pari, nella stessa direzione, va ribadito che, ove poi, con riguardo ai
motivi c.d. “misti” — come sono nella specie il primo ed il terzo —, sia
consentita la formulazione in un unico mezzo d’impugnazione di due o più
questioni sussumibili sotto diverse categorie di vizi di legittimità, si è già
chiarito che, se come qui ogni attività di discernimento comporti un
inammissibile ufficio interpretativo, “tale modalità di formulazione risulta
irrispettosa del canone della specificità del motivo d’impugnazione” se,
appunto , nell’ambito della parte argomentativa del mezzo d’impugnazione non
risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio,
determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere
impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure
(SS.UU. 17931/13).
4.3. 11 secondo motivo a sua volta è inammissibile per difetto nella
formulazione del quesito.
Premesso, infatti, che alla specie si rende applicabile ratione temporis l’art.
366-bis c.p.c. — questa Corte ha reiteratamente affermato che allorché si
muova alla sentenza impugnata una censura di diritto, il relativo quesito con
cui si deve chiudere l’esposizione del motivo deve in particolare compendiare

“a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di
merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel

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singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi

giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe
dovuta applicare al caso di specie” (1013/15; 27539/14; 19769/08), in modo
tale da “consentire alla corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris
suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello
Nella specie il quesito che accompagna il motivo in esame — ed in guisa del
quale si chiede alla Corte “se i giudici di appello abbiano errato nel
disconoscere alla contribuente la deduzione degli interessi erog$ a terzi fin
dalla data di acquisto e a prescindere dell’effettiva disponibilità dei tioli stessi
all’epoca della stipulazione del contratto” — è manifestamente incongruo
perché tautologico, mancando di ogni indicazione utile a consentire l’esercizio
dell’ufficio nomofilattico e risolvendosi in buona sostanza in un interrogativo
puramente circolare.
5. 11 ricorso va dunque dichiarato inammissibile con conseguente condanna
alle spese della ricorrente.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in
favore della parte resistente delle spese del presente giudizio che liquida in
euro 45.000,00– oltre alle eventuali spese prenotate a debito e agli eventuali
accessori.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della V sezione civile il
26.1.2016
Il Cons. est.
D

Il Presidente
Dott. arto Piccininni

deciso dalla sentenza impugnata” (SS.UU. 26020/08).

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