Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7874 del 16/04/2020

Cassazione civile sez. I, 16/04/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 16/04/2020), n.7874

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5419/2019 proposto da:

I.R., rappresentato e difeso dall’avvocato CARLA MANNETTI, e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2257/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 03/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.G., in persona del sostituto Dott. IGNAZIO PATRONE, il

quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso del D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 19, I.R., cittadino del (OMISSIS), impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona con il quale era stata rigettata la sua richiesta volta ad ottenere, in via principale, lo status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria ed in ulteriore subordine il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno dell’istanza il ricorrente deduceva di essere fuggito dal Bangladesh a causa della grave condizione di indigenza nella quale viveva la sua famiglia ed in ragione della generale situazione di insicurezza e violenza generalizzata esistente nel predetto Paese di origine. Invocava quindi in via principale il riconoscimento della tutela sussidiaria ed in subordine di quella umanitaria.

Avverso l’ordinanza di rigetto emessa dal Tribunale di L’Aquila il ricorrente proponeva appello, censurando il provvedimento di primo grado limitatamente alla mancata concessione della protezione sussidiaria ed umanitaria, nonchè denunziandone l’eccesso di motivazione per avere il Tribunale pronunciato anche sullo status di rifugiato, pur in assenza di domanda sul punto.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 2557/2018, la Corte di Appello di L’Aquila respingeva l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto I.R. affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’Interno ha depositato memoria di costituzione per la partecipazione all’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. da 2 a 6 e art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda di protezione sussidiaria, ritenendo che il richiedente avesse deciso di abbandonare il Bangladesh per motivazioni esclusivamente economiche.

La censura è infondata.

La condizione generale del Paese di provenienza del richiedente la protezione, rilevante non soltanto nell’ambito della valutazione della sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, ma anche ai fini del riconoscimento della tutela umanitaria, è infatti stata apprezzata adeguatamente dalla Corte territoriale.

La decisione impugnata dà atto che le fonti privilegiate consultate dal giudice di merito (informazioni generali sul Bangladesh pubblicate sul sito dell’E.A.S.O. e rapporti Amnesty International 2015-2016 e 2016-2017) confermano l’esistenza, in Bangladesh, di “… pratiche diffuse di violazione dei diritti umani (tra cui arresti arbitrari, sparizioni forzate, uccisioni illegali, torture ed altri maltrattamenti) in danno degli attivisti di partiti dell’opposizione e di dissidenti, in un quadro di forte compressione anche della libertà di espressione e di pressante controllo degli organi di informazione indipendenti. Nel paese è ancora praticata la pena di morte, molte persone (198 nell’anno 2015 ed alcune decine nell’anno 2016) sono state condannate a morte ed alcuni condannati sono stati giustiziati. Diffusi sono inoltre la tortura ed altri maltrattamenti in custodia. Quanto alla situazione di insicurezza derivante da disordini ed attentati, negli ultimi anni vi sono stati nelle città del Bangladesh vittime e feriti durante attacchi con bombe molotov diretti contro autobus con passeggeri ed altri mezzi di trasporto, nel contesto di campagne contro il governo condotte dal partito nazionalista del Bangladesh ((OMISSIS)) nei mesi di (OMISSIS); aggressioni ai danni di cittadini stranieri da parte di assalitori non identificati… attacchi mirati (in parte attribuibili a gruppi che sostengono di agire in nome dell’Islam) rivolti contro cittadini stranieri, attivisti politici, persone omosessuali e minoranze religiose… azioni che hanno provocato una dura reazione antiterrorismo delle forze di sicurezza interne, tanto che almeno 45 sospetti terroristi hanno perso la vita in sparatorie…” (cfr. pag.3 e 4 della sentenza impugnata).

Da tali elementi la Corte di Appello ha tratto la conclusione che “Si tratta, dunque, di una situazione che espone a rischio concreto ed effettivo l’incolumità e le libertà di determinate categorie di persone (oppositori politici, giornalisti, blogger, studenti, operatori umanitari e stranieri in genere), a nessuna delle quali appartiene l’odierno appellante e che, ove anche vi si ravvisi un conflitto armato, non ha, almeno sino ad oggi, determinato un grado di violenza indiscriminata tale… da mettere a repentaglio la vita o la persona di chiunque si trovi attualmente nel territorio del Bangladesh” (cfr. ancora pag. 4 della sentenza di appello). In tal modo la Corte abruzzese ha valutato i due profili di rischio evidenziati dalle fonti consultate, ed in particolare quello specificamente riferito a determinate categorie soggettive e quello generale esistente nel Paese, ed ha ritenuto il primo irrilevante a fronte della non appartenenza del richiedente la protezione ad una delle categorie a rischio, ed il secondo inidoneo a raggiungere il livello previsto ai fini del riconoscimento della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Detta duplice valutazione, che si sostanzia in un giudizio di merito e non è inficiata da illogicità manifeste o da irriducibili contrasti logici, è sottratta al sindacato di questa Corte.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte aquilana avrebbe erroneamente negato anche la sussistenza dei presupposti per la concessione della tutela umanitaria, senza peraltro tener conto della situazione interna della Libia, Paese nel quale il richiedente aveva vissuto e lavorato per oltre due anni prima di imbarcarsi per l’Italia.

La censura è infondata.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, prevede che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi per cui questi sono transitati…”. La locuzione “ove occorra” implica che la valutazione della condizione del Paese di transito sia necessaria ogni qualvolta il richiedente dimostri, o anche soltanto alleghi, un radicamento in quel Paese ovvero una permanenza temporalmente idonea a costituire la presunzione di esistenza di un collegamento tra lo straniero e il predetto Paese di transito. Occorre tuttavia che il richiedente, nell’ambito del suo dovere generale di circostanziare per quanto possibile l’istanza di protezione internazionale, indichi in modo preciso i motivi per cui il Paese di transito dev’essere considerato ai fini della concessione della tutela invocata, o valorizzando il suo radicamento in detto Paese, o comunque l’ampiezza del periodo di tempo ivi trascorso e le esperienze di vita vissute, o ancora indicando le violenze cui sia stato colà esposto e le conseguenze negative che da esse abbia ricevuto. Detto principio si ricava, a contrario, da Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018, Rv. 651868, secondo la quale “Nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione”.

Va pertanto ribadito il principio per cui “… non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13096 del 15/05/2019, Rv. 653885; nella specie, si trattava di ripetute violenze sessuali subite da una cittadina nigeriana nella sua biennale permanenza in Libia).

Poichè nel caso di specie il ricorrente si è limitato ad indicare in modo generico una sua permanenza in Libia per un certo periodo di tempo, il giudice di merito non era tenuto ad apprezzare anche la situazione concreta esistente nel Paese di transito, poichè il richiedente la protezione non aveva allegato di aver subito torture o maltrattamenti in quel territorio, nè l’esistenza di un collegamento tra la sua storia personale ed il predetto Paese.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Nulla per le spese, a fronte della mancata notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato in questo giudizio di legittimità.

Poichè il ricorrente è stato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, non sussistono i presupposti per il versamento, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, salvo revoca del beneficio.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2020

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