Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7871 del 16/04/2020

Cassazione civile sez. I, 16/04/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 16/04/2020), n.7871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3117/2019 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI TORRENOVA

n. 165, presso lo studio dell’avvocato MARIANGELA PETRILLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROSARIA GRASSI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2170/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 22/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.G., in persona del sostituto Dott. IGNAZIO PATRONE, il

quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, D.M., cittadino del (OMISSIS) di religione musulmana, impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona con il quale era stata rigettata la sua richiesta volta ad ottenere, in via principale, lo status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria ed in ulteriore subordine il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno dell’istanza il ricorrente deduceva di essere fuggito dal Gambia quando ancora non aveva compiuto diciotto anni, non volendo cedere alle pressioni del padre che lo voleva costringere a svolgere attività politica nel partito (OMISSIS) nel quale lo stesso militava.

Con ordinanza del 18.6.2017 il Tribunale di L’Aquila rigettava l’opposizione ritenendo insussistenti i presupposti per la concessione di una delle misure di protezione invocate dal richiedente.

Avverso tale decisione interponeva appello l’odierno ricorrente, affidandosi a due motivi di gravame, con i quali censurava in particolare la mancata concessione della protezione sussidiaria e della tutela umanitaria.

Il Ministero dell’Interno non si costituiva in seconde cure. La Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza oggi impugnata, n. 2170/2018, respingeva l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto D.M. affidandosi ad un unico motivo.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda di protezione umanitaria formulata in subordine dal richiedente. La condizione interna del Gambia, in particolare, avrebbe dovuto essere considerata ancora incerta, con conseguente sussistenza della denunciata vulnerabilità del D.. Inoltre il giudice di merito avrebbe omesso di attivare i propri poteri istruttori acquisendo notizie aggiornate sullo stato del Gambia. Infine, la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria con altre decisioni, della stessa Corte di Appello e del Tribunale di L’Aquila, le quali invece avrebbero riconosciuto la sussistenza dei requisiti per la concessione della protezione umanitaria in favore di altri cittadini gambiani, sulla scorta di una diversa considerazione della situazione interna del Paese di provenienza.

La censura, nelle sue varie articolazioni, è infondata.

Dalla sentenza impugnata (cfr. pagg. 2 e seguenti) risulta infatti che la Corte di Appello ha condotto una accurata disamina dell’evoluzione della situazione interna del Gambia, dando atto della condizione di grave violazione dei diritti umani esistente sotto la lunga dittatura di Y.J. e della fine di quel periodo per effetto delle elezioni di fine 2016, all’esito delle quali – dopo un iniziale rifiuto del dittatore Y.J. di cedere il potere – si era insediato il nuovo presidente A.B., democraticamente eletto, il quale aveva intrapreso un positivo percorso di stabilizzazione del Paese. In particolare, il nuovo presidente aveva avviato una serie di iniziative, tra cui la liberazione di detenuti politici, l’apertura di una inchiesta sulle sparizioni forzate verificatesi durante la precedente dittatura, l’avvio di relazioni internazionali che avevano assicurato al Gambia un notevole flusso di finanziamenti. A fronte di questa ricostruzione della situazione interna del Paese di provenienza del richiedente la protezione, la Corte di Appello è pervenuta alla conclusione di escludere tanto la sussistenza dei requisiti per la concessione della protezione sussidiaria, che l’esistenza della vulnerabilità in caso di rientro in Patria. Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, la Corte aquilana ha valorizzato (cfr. pag. 6 della sentenza) il fatto che il partito nel quale il padre del D. militava (l'(OMISSIS)) si era affermato, proprio con le elezioni di fine 2016, come la prima forza politica della nazione: il che, evidentemente, esclude – secondo il ragionamento della Corte territoriale – che il richiedente possa essere esposto a rischi per la sua incolumità personale, in caso di rientro in Gambia, per effetto della militanza, sua o di suo padre, nella predetta formazione politica.

Infine, nessun rilievo può avere la circostanza che in altre pronunce la stessa Corte di Appello, ovvero altri uffici giudiziari, abbiano riconosciuto la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria in favore di diversi cittadini gambiani: stante la natura individualizzata della condizione di vulnerabilità richiesta per la concessione della misura di cui anzidetto, non è infatti possibile estendere automaticamente le considerazioni relative alla peculiare situazione personale di un soggetto a quella di altro individuo. La tutela umanitaria infatti, a differenza di quella sussidiaria, non si fonda soltanto sulla valutazione della situazione di rischio derivante da una violenza generalizzata nel Paese di origine del richiedente, ma piuttosto sulla considerazione complessiva del contesto in cui il migrante si trova, sia nel Paese di accoglienza, che in quello di provenienza, al fine di verificare se lo stesso sia, o possa essere, esposto a rischi di ingiustificata compressione dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio. Ne deriva che la possibilità di paragonare due o più diverse storie postula l’identità, o quantomeno la forte somiglianza, tra gli elementi di fatto narrati dai richiedenti la protezione umanitaria: solo in presenza di narrazioni identiche o quasi, infatti, potrebbe divenire rilevante il fatto che lo stesso giudice di merito abbia concluso in modo diametralmente opposto, alcune volte riconoscendo, altre invece negando, la sussistenza dei presupposti della tutela umanitaria invocata dai richiedenti la protezione. Nel caso specifico, tuttavia, il ricorrente non ha allegato che la condizione soggettiva degli altri migranti provenienti dal Gambia ai quali è stata riconosciuta la protezione umanitaria fosse analoga alla sua, limitandosi ad un generico richiamo di quei precedenti, i quali tuttavia, come tali, non rilevano a suo favore per i motivi sin qui esposti.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorrente è stato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, non sussistono i presupposti per il versamento, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, salvo revoca del beneficio.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2020

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