Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7870 del 28/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/03/2017, (ud. 27/10/2016, dep.28/03/2017),  n. 7870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9829-2014 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

DARDANELLI 13, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE TANGARI,

rappresentato e difeso dall’avvocato PEPPINO MARIANO giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.A., P.D., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA TANGORRA 12, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

CATRICALA’, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO FULVIO

ATTISANI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 216/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 21/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato ERMINIA COZZA per delega;

udito l’Avvocato VINCENZO FULVIO ATTISANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21/2/2013 la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto il gravame interposto – in via principale – dal sig. S.R. e dichiarato inammissibile quello -in via incidentale – spiegato dai sigg. P.D. e F.A. in relazione alla pronunzia Trib. Crotone n. 611 del 2011, di risoluzione di contratto di locazione tra di essi intercorso avente ad oggetto due immobili destinati ad uso diverso da abitazione.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito lo Sghirrapi propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi. Resistono con controricorso il P. e la F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1321, 1322, 1362, 1578 c.c., art. 12 preleggi, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “erronea e contraddittoria” motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2 motivo denunzia “insufficiente e contraddittoria” motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso è sotto plurimi profili inammissibile.

Va anzitutto osservato che il ricorso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., gli artt. 4, 5 e 6 del contratto del (OMISSIS), l’art. 3 del contratto del (OMISSIS), l'”atto di sfratto per morosità del 14 luglio 2006″, la CTU) limitandosi a meramente riprodurli nel ricorso senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso -apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Va ulteriormente posto in rilievo che non risulta idoneamente censurata la ratio decidendi dell’impugnata sentenza in base alla quale, rigettata appellante secondo e separati, dell’odierno ricorrente ed allora tratterebbe di due contratti distinti distintamente individuati, con durata diversa e canone diverso e clausole diverse”, risulta dalla corte di merito affermato essere “sostanzialmente corretta ” l'”opera interpretativa compiuta dal giudice di prime cure nella misura in cui adombra un unitario rapporto contrattuale”, appalesandosi nella specie evidente trattarsi di “unico contratto a formazione progressiva”.

In tal senso la corte di merito indica deporre: a) “la stessa denominazione fornita dalle parti, atteso che il testo del secondo accordo, sottoscritto in data (OMISSIS), reca nella sua intestazione l’indicazione programmatica: “contratto di locazione di immobile urbano ad uso commerciale ad integrazione del contratto del (OMISSIS)””; b) la precisazione indicata all’art. 8 del contratto; c) il rilievo che “la causa dei due contratti, ancorchè formalmente distinti, appare unica: l’acquisizione in locazione di un ampio immobile destinato ad uso commerciale da parte dello Sghirrapi”.

A fronte delle suindicate statuizioni contenute nell’impugnata sentenza il ricorrente sostanzialmente si limita invero a ribadire inammissibilmente in termini di mera contrapposizione la propria tesi difensiva già sottoposta al giudice del gravame e da questi non accolta, nonchè a sostenere che ” la prova dell’esistenza dei due distinti contratti è in re ipsa, essendo costituita appunto dai contratti medesimi aventi ad oggetto due distinti immobili”.

Deve altresì osservarsi che il vizio di motivazione risulta inammissibilmente dedotto al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), giacchè alla stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso ratione termporis applicabile, il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche l’omesso esame di determinati elementi probatori, essendo sufficiente che come nella specie il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario dare conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312), il vizio di motivazione non conferendo al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio.

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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