Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7867 del 28/03/2017

Cassazione civile, sez. III, 28/03/2017, (ud. 12/10/2016, dep.28/03/2017),  n. 7867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21379-2013 proposto da:

F.R., (OMISSIS), domiciliata in ROMA, VIA CALABRIA 56,

presso lo studio dell’avvocato LUCA PELLICELLI che la rappresenta e

difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.F., G.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

BOEZIO 92, presso lo studio dell’avvocato ANDREA PETRILLO, che li

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

G.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3316/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 15/5/2012 la Corte d’Appello di Roma, rigettato quello in via incidentale spiegato dalla sig. F.R., in accoglimento del gravame interposto dal sig. G.F. (in proprio e quale erede della sig. L.M.) ed altri e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Viterbo 7/11/2005 ha: a) condannato la prima a corrispondere a questi ultimi somma di denaro a titolo di valore dell’immobile acquistato con atto di compravendita del (OMISSIS) dichiarato nullo per mancata acquisizione della concessione edilizia; b) dichiarato non dovuta la restituzione della somma percepita dai venditori in parziale pagamento dell’immobile e non ancora oggetto di restituzione in esecuzione di quanto disposto nella sentenza impugnata di primo grado.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la F. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.

Resistono con controricorso i sigg. F. e G.P., quali eredi della sig. L.M., e il primo anche in proprio.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2033, 2037, 2038, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente applicato l’art. 2038 c.c., che essendo norma eccezionale derogatoria dell’art. 2033 c.c. non può essere applicata analogicamente al di là della prevista ipotesi di alienazione della cosa ricevuta indebitamente, laddove nella specie non vi è stata alienazione, tale non potendo ritenersi l’avvenuta espropriazione dell’immobile de quo.

Lamenta che nella specie “risultano… errate le premesse… a fondamento della… applicabilità dell’art. 2038 c.c.” dalla corte di merito ravvisate nel non essere “più giuridicamente praticabile l’obbligo restitutorio… in seguito alla declaratoria di nullità del contratto, costituito specificamente dalla retrocessione del bene agli originari venditori”, atteso che nella specie “la proprietà del bene immobile, seppur risultante gravata da un diritto reale di garanzia, costituito dall’ipoteca accesa… a garanzia del mutuo contratto,… ben poteva essere retrocessa in favore degli originari venditori a fronte della restituzione del prezzo di acquisto ricevuto”, e il “mutato stato giuridico del bene avrebbe casomai potuto legittimare una azione di risarcimento danni nei confronti della F.”.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto che fosse in mala fede, giacchè “l’atto di compravendita poi risultato nullo è stato comunque oggetto di rogito notarile”, avendo altresì effettuato “il pagamento, seppur parziale del prezzo di acquisto”.

Con il 2^ motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta non esservi “mai stata alcuna domanda volta al conseguimento dell’intera somma relativa al valore della cosa, per effetto dell’applicazione della norma dell’art. 2038 c.c., nel caso delineato dalla Corte di Appello di Roma”.

Con il 3^ motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 345 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che “l’accoglimento della pretesa volta ad ottenere la condanna della F. al pagamento del valore dell’immobile oggetto della compravendita comporti l’introduzione di una domanda nuova in appello”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Atteso che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo, rilevando ai fini della relativa giuridica esistenza e conseguente ammissibilità, con assunzione di pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza del merito che in caso di mancanza dei medesimi rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso, va anzitutto posto in rilievo che essi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto di citazione notificato il 26-1-2001″, alla sentenza di 1^ grado, all’atto di appello, all’appello incidentale) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte strettamente d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso -apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Vale in proposito richiamare pronunzie di legittimità ove risulta in particolare sottolineato come il principio (valido oltre che per il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 10, n. 5, anche per il vizio di violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 10, n. 3) di autosufficienza del ricorso per cassazione, normativamente recepito all’art. 366 c.p.c., comma 10, n. 6, vada invero osservato anche in ipotesi di non contestazione ad opera della controparte, quando cioè si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum in quanto non contestata (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Nè può assumere in contrario rilievo la circostanza che come nella specie la S.C. sia in talune ipotesi giudice anche “del fatto”.

Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il requisito prescritto all’art. 366 c.p.c., comma 3 deve essere infatti dal ricorrente comunque rispettato nella redazione del ricorso per cassazione, come da questa Corte ripetutamente affermato proprio con particolare riferimento all’ipotesi dell’error in procedendo ex art. 112 c.p.c. ((cfr. Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978). E al riguardo non può invero altresì sottacersi che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’omesso esame di una domanda e la pronunzia su domanda non proposta, nel tradursi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sono deducibili con ricorso per cassazione esclusivamente quale error in procedendo ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (cfr. Cass., Sez. Un., 16/10/2008, n. 25246; Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 5/12/2002, n. 17307; Cass., 23/5/2001, n. 7049) (nullità della sentenza e del procedimento) (v. Cass., Sez. un., 14/1/1992, n. 369; Cass., 25/9/1996, n. 8468), e non anche – come dall’odierna ricorrente viceversa prospettato – sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (v. in particolare Cass., 4/6/2007, n. 12952; Cass., 22/11/2006, n. 24856; Cass., 26/1/2006, n. 1701)), giacchè pur divenendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934).

Con particolare riferimento al 1 motivo, va ulteriormente osservato che (diversamente da quanto dall’odierna ricorrente sostenuto nei propri scritti difensivi) all’art. 2038 c.p.c. deve riconoscersi applicazione generale, non limitata alla sola ipotesi di “alienazione della res” frutto di “libero accordo tra 1’accipiens ed il terzo”, al termine alienazione deve senz’altro attribuirsi significato ampio e comprensivo.

Atteso che, non risultando dal legislatore utilizzato in un’accezione tecnica, precisa e costante, è generalmente inteso in particolare nel senso di disposizione, come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo un tanto non depone peraltro per l’esclusione della riconducibilità ad esso di altre ipotesi (per l’applicabilità dell’art. 2038 c.c. anche in tema espropriazione per pubblica utilità cfr. Cass., 17/4/1993, n. 4553).

A tale stregua, alla nozione ampia e comprensiva di alienazione non può e non deve considerarsi invero estranea la fattispecie della vendita forzata.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in accordo con la migliore dottrina civilistica, pur verificandosi indipendentemente dalla volontà del precedente proprietario e ricollegandosi ad un provvedimento del giudice (dell’esecuzione o del giudice delegato al fallimento), anche l’acquisto per trasferimento coattivo costituisce infatti ipotesi di acquisto non già originario bensì derivativo (che viene solitamente scandito nel duplice aspetto di acquisto traslativo e di acquisto costitutivo, a seconda che in correlazione con la contemporanea perdita da parte del precedente titolare l’acquisto del diritto avvenga in capo al nuovo nella sua integrità ovvero quest’ultimo acquisti un nuovo diritto, formalmente e per contenuto diverso da quello da cui esso stesso deriva e che ne costituisce il fondamento (es., diritto di usufrutto rispetto al diritto di proprietà), presupponendo l’anteriore appartenenza del diritto o di una più ampia posizione giuridica in capo al precedente titolare e traducendosi nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato o del fallito (cfr. Cass., 25/07/2003, n. 11563; Cass., 9/11/1982, n. 5888).

Peraltro, i diritti dei terzi sull’immobile assoggettato alla espropriazione forzata immobiliare sono ex art. 2919 c.c. opponibili nei confronti dell’aggiudicatario solamente nei limiti in cui possono essere fatti valere nei confronti del creditore procedente o dei creditori intervenuti, e pertanto solo se risultanti da atto negoziale trascritto prima della trascrizione del pignoramento (v. Cass., 28/1/1995, n. 1048), realizzandosi anche mediante l’opposizione all’esecuzione forzata ex art. 615 c.p.c. per fare in tale giudizio accertare che il bene stesso non apparteneva (o non apparteneva del tutto) al soggetto che ha subito l’espropriazione ma, in forza di titolo opponibile al creditore pignorante e agli intervenuti, apparteneva per intero o pro quota all’opponente, conseguendone, in caso di esito positivo, il difetto, in capo all’aggiudicatario del bene, del potere di procedere all’esecuzione (v. Cass., 12/1/2011, n. 517).

A tale stregua, qualora, nel corso del giudizio promosso contro il proprietario di un immobile il bene venga espropriato in esito ad esecuzione forzata, la sentenza che definisce quel giudizio deve ritenersi opponibile all’aggiudicatario ai sensi dell’art. 111 c.p.c., comma 4, in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, salva l’eventuale operatività delle limitazioni previste agli artt. 2915 e 2919 c.c. (v. Cass., 5/4/1977, n. 1299).

Al di fuori di tali ipotesi, una volta che l’acquisto dell’immobile pignorato sia stato dal terzo compiuto in conformità alle regole che disciplinano lo svolgimento della procedura espropriativa il suo acquisto rimane fermo (salvo che sia dimostrata la collusione del terzo col creditore procedente).

Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare, la vendita forzata produce infatti un trasferimento per atto tra vivi, operante sul piano del diritto sostanziale, sotto molti aspetti (pur con le note differenze di regime) assimilabile alla compravendita negoziale (art. 2919 c.c.), in base alla quale il terzo acquirente o assegnatario del bene pignorato, che è soggetto estraneo al rapporto intercorrente tra il preteso creditore e l’esecutato, deriva il suo diritto da una sequela di atti, nell’ambito di un procedimento giudiziale che una volta conclusosi (conformemente alle regole di quel procedimento) con l’emissione del decreto di trasferimento, produce effetti non retrattabili in capo al terzo acquirente (o assegnatario).

In altri termini, salva l’ipotesi di vizi propri dell’atto di trasferimento o della sequenza di atti che necessariamente lo precedono e che ad esso ineriscono (nel qual caso opera la speciale disciplina delineata all’art. 2929 c.c.), il terzo acquista bene in quanto, estraneo al rapporto intercorrente tra il preteso creditore e l’esecutato, deriva il suo diritto dal decreto di trasferimento che, nel momento in cui interviene, si configura come un atto perfettamente legittimo e regolare (v. Cass., Sez. Un., 28/11/2012, n. 21110).

Orbene, nella specie è rimasto nel giudizio di merito accertato che, stipulato un contratto di compravendita nullo in quanto avente ad oggetto immobile ricadente “in zona vincolata dal punto di vista paesaggistico”, l’odierna ricorrente ha “costituito sull’immobile un’ipoteca legale a favore della (allora) Banca Commerciale Italiana a garanzia della erogazione di un mutuo per 80.000.000 ma, una volta conseguita questa liquidità, non ha provveduto in alcun modo a pagare le rate del mutuo” ottenuto ai fini della relativa stipulazione.

A tale stregua, nel porre in rilievo come correttamente già il giudice di prime cure abbia ravvisato “la consapevolezza, da parte della F., della nullità del contratto attesa la irregolarità urbanistica dell’immobile, mai sanato”, la corte di merito ha ritenuto avere la medesima “agito in mala fede, stipulando il contratto di compravendita nella consapevolezza della sua nullità ma prendendo spunto da esso per ottenere un mutuo mai restituito”, a tale stregua facendo “sì che l’obbligo di retrocedere il bene (sia pure mai entrato nella sua materiale disponibilità) divenisse giuridicamente impossibile a seguito della alienazione dell’immobile che si era verificata nell’ambito ed in conseguenza della procedura esecutiva”, stante la “vendita forzata dell’immobile originariamente compravenduto” intervenuta “nel corso del giudizio di appello”.

Posto in rilievo che gli allora appellanti ed odierni controricorrenti “in sede di precisazione delle conclusioni, abbandonando la coltivazione della originaria domanda avanzata in via riconvenzionale in primo grado, chiedevano che la F. fosse condannata alla restituzione, in loro favore, di quanto già versato a costei in adempimento della pronuncia di primo grado ovvero, in via subordinata, al risarcimento, nei loro confronti, dei danni derivanti dal doloso comportamento della controparte ed in particolare a quelli legati alla vendita forzata del bene”, in applicazione della disciplina di cui al combinato disposto di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, e L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 58, secondo cui “la nullità degli atti inter vivos che abbiano ad oggetto diritti reali su beni immobili urbanisticamente irregolari, non riguarda… gli atti di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia”; e sottolineando per altro verso il principio in base al quale “il trasferimento della proprietà dell’immobile nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare ovvero di una procedura ad evidenza pubblica… esclude ogni possibile rilevanza, ai fini dell’efficacia e della validità dell’acquisto operato dall’aggiudicatario del bene, dei vizi gravanti sul manufatto”, la corte di merito, ritenuta “l’obbligazione restitutoria gravante sulla F.” ormai non più “giuridicamente praticabile” in natura, ha di conseguenza correttamente condannato l’odierna ricorrente “a corrispondere al tradens” il valore della “cosa acquisita”.

Atteso che la disciplina dell’indebito trova applicazione nei casi di nullità (v. Cass., 12/5/2014, n. 10250; Cass., 15/7/2011, n. 15669; Cass., 13/4/2005, n. 7651), annullabilità (v. Cass., 10/7/2008, n. 18886; Cass., 12/12/2003, n. 19052; Cass., 1/8/2001, n. 10498) risoluzione e rescissione (v. Cass., 10/7/2008, n. 18886; Cass., 15/10/2007, n. 21587; Cass., 15/1/2007, n. 738; Cass., 1/8/2001, n. 10498) del contratto, ma anche di alienazione, deterioramento e perimento della cosa, allorquando la restituzione della cosa è divenuta impossibile per perimento o per altra causa (nella specie, vendita forzata) l’accipiens di mala fede è infatti ex art. 2037 c.c., art. 2038 c.c., comma 2 tenuto a corrisponderne il valore all’adempiente.

Correttamente la corte di merito ha dunque ritenuto nella specie divenuta impossibile (non “giuridicamente praticabile”) la restituzione in natura dell’immobile de quo acquistato dal creditore ipotecario all’esito della legittima emissione del decreto di trasferimento e di conseguenza ravvisato l’accipiens di mala fede (odierna ricorrente) tenuta a corrisponderne il valore agli originari venditori (odierni controricorrenti).

Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni della ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore dei sigg. F. e G.P. – quali eredi della sig. L.M. – e il primo anche in proprio, seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorari, oltre ad accessori come per legge in favore dei sigg. F. e G.P. – quali eredi della sig. L.M. – e il primo anche in proprio, oltre a spese generali ed accessori come per legge in favore del controricorrente Comune di Trento.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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