Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7867 del 19/03/2021
Cassazione civile sez. II, 19/03/2021, (ud. 14/01/2021, dep. 19/03/2021), n.7867
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24892/2019 proposto da:
M.A., ammesso al patrocinio a spese dello Stato e elettivamente
domiciliato in Roma, Viale Angelico 38, presso lo studio
dell’avvocato Roberto Maiorana, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Perugia, depositato il
22/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
14/01/2021 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.
Fatto
RILEVATO
che:
– il ricorrente cittadino del (OMISSIS) ha impugnato avanti al Tribunale di Perugia il diniego della protezione internazionale e di quella umanitaria decisa dalla competente commissione territoriale;
– a sostegno delle domande egli ha allegato di appartenere ad una famiglia di fede musulmana, di avere iniziato a frequentare insieme ai propri familiari la famiglia di un ragazzo di fede cristiana per la quale lavorava accudendo delle mucche; che gli abitanti del villaggio non vedevano di buon occhio tale frequentazione e, pertanto, lo avevano minacciato affinchè l’interrompesse ed avevano incendiato la sua abitazione; dichiarava di avere chiesto inutilmente la protezione del capo villaggio e di essersi trasferito con la famiglia ad (OMISSIS) dove le piogge avevano distrutto l’abitazione che aveva costruito; infine, aggiungeva che dopo la morte del nonno si erano trasferiti in campagna ove la madre aveva delle terre che aveva venduto per pagare il suo viaggio verso l’Italia;
– il Tribunale di Perugia, all’esito dell’udienza di comparizione delle parti, rigettava con il decreto qui impugnato le domande del richiedente asilo e compensava le spese di lite;
– la cassazione della decisione del tribunale è chiesta dal ricorrente sulla base di due motivi;
– nessuna attività difensiva è stata svolta dall’intimato Ministero
dell’Interno.
Diritto
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo si denuncia la mancata audizione del ricorrente del tribunale;
– la censura è inammissibile perchè non attinge la motivazione fornita in proposito dal tribunale, che ha ritenuto superfluo procedere ad una nuova audizione in mancanza di diverse ed ulteriori allegazioni da parte del richiedente asilo con riferimento alla sua storia personale;
– tale argomentazione è legittima come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità che ha osservato come nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (Cass. 21584/2020);
– con il secondo motivo si denuncia il mancato riconoscimento della protezione umanitaria per non avere il tribunale considerato le condizione di povertà del Bangladesh e l’inesistenza delle welfare, condizioni che se fossero state effettivamente valutate, avrebbero evidenziato l’incompatibilità fra la condizione del richiedente asilo in Italia e quella cui sarebbe costretto in caso di rimpatrio forzoso, attesa la difficoltà a reperire un lavoro ed a mantenere la famiglia;
– la censura è inammissibile perchè la sola generica condizione di povertà del paese di provenienza non è di per sè elemento che giustifichi il riconoscimento della protezione umanitaria, che, viceversa, si fonda su una specifica individuale condizione di vulnerabilità (cfr. Cass. 18443/2020; 20334/2020);
– peraltro, nel motivo non viene censurata la ratio decidendi su cui si fonda il rigetto e cioè l’insussistenza di una specifica condizione patologica asseritamente certificata dalla documentazione prodotta dal richiedente asilo;
– l’inammissibilità dei motivi comporta l’inammissibilità del ricorso;
– nulla va disposto sulle spese di lite atteso il mancato svolgimento di attività difensiva;
– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021