Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7864 del 20/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7864 Anno 2016
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: BRUSCHETTA ERNESTINO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso n. 15489/09 proposto da:
Fabiano Pubblicità di Fabiano Pierfrancesco S.a.s., in
persona del suo legale rappresentante

pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Germanico n. 24,
presso lo Studio dell’Avv. Giuseppe Seavuzzo che, anche
disgiuntamente con l’Avv. Luciana Rostelli, la
rappresenta e difende, giusta delega a margine del
ricorso;

– ricorrente contro
Comune di Roma, in persona del suo Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in Roma, Via del Tempio di
Giove n. 21, rappresentato e difeso dall’Avv. Fabrizio

Data pubblicazione: 20/04/2016

Avenati, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente

avverso la sentenza n. 88/14/08 della Commissione
Tributaria Regionale del Lazio, depositata il 6 maggio
2008;

udienza del 15 dicembre 2015 dal Consigliere Dott.
Ernestino Bruschetta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Giovanni Giacalone, che ha concluso per
l’inammissibilità o in subordine il rigetto del
ricorso.
Fatto

Con l’impugnata sentenza n. 88/14/08 depositata il 6
maggio 2008 la Commissione Tributaria Regionale del
Lazio, accolto l’appello del Comune di Roma, in riforma
della decisione n. 332/26/05 della Commissione
Tributaria Provinciale di Roma, respingeva il ricorso
proposto da Fabiano Pubblicità di Fabiano Pierfrancesco
S.a.s. avverso la cartella di pagamento n.
09720040107958022 TOSAP 1995 1996.
La CTR, dopo aver rigettato la preliminare eccezione di
<>, rigettava altresì l’ulteriore eccezione di
decadenza del Comune dal potere di riscossione,
dapprima stabilendo in fatto che i «prodromici>>
avvisi di accertamento <> e poi affermando in diritto che

dalla riscossione prevista dall’art. 17 d.p.r. 29
settembre 1973 n. 602 in quanto quest’ultimo era stato
«successivamente abrogato>>. La CTR aggiungeva,
infine, che «l’appello doveva rispettare l’indicazione
dei specifici motivi di impugnazione che costituiscono
i limiti della devoluzione e più precisamente l’oggetto
e l’ambito del riesame richiesti al giudice di secondo
grado>>.
Contro la sentenza della CTR, la contribuente proponeva
ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Il Comune resisteva con controricorso.
Diritto

1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente
censurava la sentenza denunciando in rubrica
«Violazione e falsa applicazione dell’art. 50 d.lgs.
267/00 e dell’art. 11 d.lgs. 546/92, così come
novellato dalla 1. 88/05 (d.l. 44/05) e dell’art. 75
c.p.c.>>, nella sostanza sostenendo che l’art. 11,
comma 3, d.lgs. n. 546 cit., come sostituito dall’art.
3 bis, coma 1, d.l. 31 marzo 2005 n. 44 conv. con mod.
in l. 31 maggio 2005 n. 88, applicabile <> ex art. 3 bis, coma l, d.l. n. 44 cit., doveva

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non poteva nel caso di specie applicarsi la decadenza

essere interpretato nel senso che il Comune poteva
stare in giudizio mediante il dirigente dell’Ufficio
Tributi soltanto nell’ipotesi in cui fosse stato il
contribuente a proporre appello e che comunque il
Comune non poteva stare in giudizio a mezzo del
responsabile dell’Ufficio Affissioni e Pubblicità. Il

rappresentanza processuale dell’Ente Locale nel rito
tributario spetti indistintamente a tutti i dirigenti
dell’ente medesimo ovvero unicamente agli organi di
rappresentanza espressamente contemplati dalla legge, e
ciò specificando se tale potere di rappresentanza possa
essere esercitato anche per proporre un’eventuale
impugnazione ovvero soltanto per resistere al gravame
proposto dal contribuente>>.
Il motivo è inammissibile perché, in violazione
dell’art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis,
è stato formulato senza alcun riferimento alla concreta
fattispecie pervenuta all’esame. E, cioè, omettendo
qualsiasi riferimento alle ragioni della decisione e
conseguentemente senza alcuna precisa critica alle
stesse. In effetti, chiedere alla Corte di stabilire
«Se la rappresentanza processuale dell’Ente Locale nel
rito tributario spetti indistintamente a tutti i
dirigenti dell’ente medesimo ovvero unicamente agli
organi di rappresentanza espressamente contemplati
dalla legge>>, si risolve in un interrogativo astratto
e circolare del tipo dica la Corte se la rappresentanza
processuale del Comune debba essere conforme alla legge

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quesito sottoposto era il seguente: «Se la

(Cass. sez. III n. 4805 del 2013; Cass. sez. III n.
19737 del 2011).
2. Con il secondo motivo di ricorso la contribuente
censurava la sentenza denunciando in rubrica
«Violazione e falsa applicazione degli artt. 23, 32,
56 e 57 d.lgs. 546/92», in sintesi ribadendo

dal Comune e ciò in quanto le stesse erano state
sollevate davanti alla CTP soltanto con memoria
illustrativa. Il quesito sottoposto era il seguente:
«Se nel rito tributario la parte resistente possa
articolare successivamente alla propria costituzione in
giudizio di primo grado, avvenuta con comparsa generica
ed inconferente rispetto ai motivi proposti dal
contribuente, le proprie difese proponendo anche
eccezioni non rilevabili d’ufficio ovvero debbano tali
attività ritenersi precluse ai sensi del combinato
disposto degli artt. 23, 32, 56 e 57 d.lgs. 546/92,
nonché se possano essere oggetto di esame da parte del
giudicante i documenti oltre il termine dell’art. 32
d.lgs. 546/92».
Come in precedenza il motivo è inammissibile per essere
stato formulato, in violazione dell’art. 366 bis c.p.c.
applicabile

ratione temporis,

senza alcun riferimento

alla concreta fattispecie pervenuta all’esame. E, cioè,
omettendo qualsiasi riferimento alle ragioni della
decisione e quindi senza alcuna precisa critica alle
stesse. In effetti, chiedere alla Corte di affermare
che la proposizione delle eccezioni e la produzione dei

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l’inammissibilità delle eccezioni e domande formulate

nel

rispetto

delle

documenti

debbono

avvenire

preclusioni

ex lege,

senza nemmeno precisare di quali

eccezioni o documenti si tratti, si risolve in un
evidente interrogativo astratto. Inoltre la mancata
indicazione delle eccezioni e dei documenti di cui si
assume la tardività della proposizione e della

l, n. 6, c.p.c. e quindi un difetto di autosufficienza
(Cass. sez. III n. 8569 del 2013; Cass. sez. trib. n.
15138 del 2009).
3. Con il terzo motivo di ricorso la contribuente
censurava la sentenza denunciando in rubrica
«Violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 23
d.lgs. 546/92, nonché degli artt. 51, coma 3, d.lgs.
507/93 e 63, 67 e 68 d.p.r. 43/88 in combinato disposto
con l’art. 17 d.p.r. 602/37>>, lamentando che
erroneamente la CTR non avesse ritenuto il Comune
decaduto dal potere di riscossione «ai sensi del
combinato disposto dell’art. 51 d.lgs. 507/93 e
dell’art. 17, comma l, lett. c), articolo che
disciplinava in via generale i termini di decadenza per
l’iscrizione a ruolo>>. Il quesito sottoposto era il
seguente: <>. E questo
appunto perché, essendo il rapporto d’imposta esaurito,
non può ai sensi dell’art. 1, coma 171, l. n. 296 cit.

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con precisione quando fossero stati notificati

trovare

applicazione

nuova disciplina della

la

riscossione dei tributi locali e con ciò nemmeno può
trovare applicazione l’art. l, comma 163, 1. 296 cit.
Invece, in assenza di specificazione circa il tempo
della notifica degli avvisi e della cartella, non è
possibile stabilire se debba o no trovare applicazione

al d.p.r. n. 602 cit. nella versione emendata anche
transitoriamente a seguito della rammentata vicenda
normativa successiva a Corte cost. n. 280 cit.
Disciplina quella della riscossione ex d.p.r. n. 602
cit. che, come è stato ricordato, era quella
applicabile prima della riforma della riscossione dei
tributi locali introdotta con la 1. 296 cit. Le omesse
indicazioni circa la notifica dei «prodromici>> avvisi
di accertamento e dell’impugnata cartella danno così
luogo ad un difetto di autosufficienza, quindi ad una
violazione dell’art. 366, coma l, n. 6, c.p.c., la
quale comporta l’inammissibilità del motivo (Cass. sez.
VI n. 4220 del 2012; Cass. sez. III n. 12970 del 2011).
4. Con il quarto motivo di ricorso la contribuente
censurava la sentenza denunciando in rubrica
«Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5, 7,
8, 9, 14, 15, 16 e 38 e ss. d.lgs. n. 507/93 in
relazione agli artt. 3 e 53 Cost.», deducendo a
riguardo «l’assoluta non debenza delle somme pretese»
e questo perché non poteva applicarsi la TOSAP quando
per gli spazi utilizzati era stata pagata l’imposta
sulla pubblicità». Il quesito sottoposto era il

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la disciplina della decadenza dalla riscossione di cui

seguente: <>. Cosicché, cioè per tale motivo,
la contribuente avrebbe dovuto censurare la CTR per il
vizio di omessa pronuncia e quindi per violazione
dell’art. 112 c.p.c. e perciò per violazione della
legge processuale ai sensi dell’art. 360, coma 1, n.
4, c.p.c. E altresì, obbligatoriamente, avrebbe dovuto

tributario>> in parola fossero state
«specificatamente>> riproposte in appello e pertanto
non implicitamente rinunciate secondo la previsione di
cui all’art. 56 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Ciò
che comporta un preliminare difetto di autosufficienza
del motivo e la conseguente sua inammissibilità (Cass.
sez. trib. n. 9108 del 2012; Cass. sez. I n. 1755 del
2006).
7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la contribuente a
rimborsare al Comune di Roma le spese processuali,
queste liquidate in complessivi E 2.000,00 a titolo di
compenso, oltre a spese forfetarie e accessori di
legge.
Così deciso in Roma,
giorno 15 dicembre 2015

nella camera di consiglio del

preventivamente dimostrare che le eccezioni di «merito

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