Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7863 del 19/03/2021

Cassazione civile sez. II, 19/03/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 19/03/2021), n.7863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22820/2016 proposto da:

B.D., A.G., B.G., B.F.,

elettivamente domiciliati in ROMA, V. COLLAZIA 2-F, presso lo studio

dell’avvocato FEDERICO CANALINI, che li rappresenta e difende,

unitamente all’avvocato CESARE BONA, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

BR.LU., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato GIORGIO

GIACOBONE, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2464/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie della contoricorrente.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione notificato il 30-1-1997 B.G., B.L. e B.F. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Voghera Br.Lu. e, premesso che il (OMISSIS) era deceduto il proprio dante causa, B.G., esponevano che con testamento olografo del 5-9-1995 il “de cuius”, revocando implicitamente il precedente testamento dell’11-4-1993, aveva disposto delle sue sostanze nel seguente modo: “Lascio in eredità a mia nipote Lu. Lire 120.000.000 la rimanenza dei soldi e beni immobili ai miei nipoti G., L. e F.”; chiedevano pertanto la condanna della convenuta alla restituzione di tutte le somme di denaro, titoli di stato ed obbligazioni dalla medesima indebitamente trattenuti o prelevati dai conti correnti di deposito indicati ed intestati al “de cuius” ed ammontanti a circa Lire 450.000.000. Costituendosi in giudizio la convenuta chiedeva il rigetto della domanda, rilevando la data apocrifa del testamento del 5-9-1995, ed evidenziando di avere a sua volta pubblicato un precedente testamento in data 11-4-1993 con cui B.G. aveva disposto delle sue sostanze nel seguente modo: “lascio in eredità a mia nipote Br.Lu…. tutte le mie disponibilità liquide e i titoli, n. 2 loculi nella cappella di famiglia, i beni immobili ai figli di B.U.. Quanto sopra dopo la mia morte”.

Il Tribunale adito con sentenza del 9-7-1999 rigettava la domanda attrice, non essendo stata accertata l’integrale autenticità del testamento del 5-9-1995, e condannava gli attori al pagamento delle spese di lite.

Proposto gravame da parte di B.G., B.L. e B.F., cui resisteva la Br., la Corte di Appello di Milano con sentenza del 20-10-2005 ha rigettato l’impugnazione condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado.

Per la cassazione di tale sentenza B.G., B.L. e B.F. hanno proposto un ricorso affidato a tre motivi cui la Br. ha resistito con controricorso.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23443 del 19 dicembre 2012, ha accolto il terzo motivo, rigettato il primo e, dichiarato assorbito il secondo, ha cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinviando ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano.

In motivazione così argomentava, quanto al motivo accolto: “Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, premesso che la procedura di verificazione del testamento suddetto in secondo grado aveva consentito di accertare che l’intera scheda testamentaria era di provenienza del “de cuius”, e che pertanto sia il testo che la firma e la data della scheda testamentaria erano riconducibili a B.M.G., rilevano che la sentenza impugnata ha confermato la decisione di primo grado basandosi su di un convincimento che non trova fondamento negli atti di causa; infatti il Tribunale, aveva ritenuto apocrifo il testamento del 5-9-1995 in netto contrasto con le risultanze istruttorie.

La censura è fondata.

La Corte territoriale ha premesso che la questione oggetto dei motivi di appello concerneva l’autenticità della data apposta sulla scheda testamentaria del 5-9-1995, esclusa dal giudice di primo grado in base alle risultanze della CTU espletata, avendo rilevato che detto testamento, in relazione alle sue caratteristiche grafiche, risaliva ad epoca certamente anteriore al periodo di tempo di redazione del testamento olografo dell’1-4-1993.

Il giudice di appello ha quindi rilevato che la CTU grafologica disposta nel giudizio di secondo grado aveva confermato la sostanziale difformità di tono energetico tra i due testamenti, ipotizzando o il fatto che il testatore dopo il 1993, all’età di 82 anni, avesse recuperato le forze con notevole miglioramento della movimentazione gestoria e della vigoria nel tracciato, oppure che la redazione del testamento del 5-9-1995 fosse stata effettuata in periodo di tempo antecedente al 1993, quando le sue condizioni di salute potevano essere migliori. La sentenza impugnata ha infine ritenuto che le risultanze in ordine al difforme tono gestuale, più deteriore nel testamento datato 1993 e più vigoroso in quello datato 1995, convalidavano l’assunto del primo giudice sulla anteriorità della scheda apparentemente datata 1995 rispetto a quella del 1993; nè d’altra parte era stata fornita una prova, peraltro improbabile, circa un miglioramento delle condizioni generali di B.G. nel periodo intercorrente dal 1993 al 1995. Orbene tale convincimento risulta il frutto di un percorso argomentativo illogico e contraddittorio, posto che l’evidenziato e condiviso esito della CTU grafologica espletata nel secondo grado di giudizio in ordine alla sicura riferibilità del testamento olografo del 5-9-1995 nei suoi elementi costitutivi, ovvero contenuto, data e sottoscrizione, al testatore, mal si concilia con la ritenuta redazione di esso in epoca anteriore al testamento olografo dell’11-4-1993; infatti se la data di esso deve ritenersi veridica, come affermato dalla Corte territoriale sulla scorta degli accertamenti di carattere tecnico disposti, in assenza d’altra parte della prova della sua non verità nei limiti previsti dall’art. 602 c.c., comma 3, resta incomprensibile su un piano logico concludere che, in evidente contrasto con tale elemento, il testamento in oggetto fosse stato in realtà redatto in epoca antecedente alla scheda testamentaria dell’11-4-1993; invero la rilevate considerazioni in ordine alle caratteristiche del tratto grafico del testamento per cui è causa che hanno indotto il giudicante a ritenerlo redatto prima del testamento dell’11-4-1993 non sono di per sè sufficienti, in assenza di ulteriori o comunque non chiariti elementi di giudizio, a superare quantomeno la presunzione, derivante dalla relativa data di esso, riguardo all’epoca effettiva della sua redazione; nè inoltre la sentenza impugnata si è data carico di illustrare le ragioni per le quali il testatore, nel redigere il testamento in questione in epoca antecedente a quello dell’11-4-1993, vi aveva apposto la data del 5-9-1995; pertanto in sede di rinvio occorrerà procedere ad una nuovo esame di tale punto decisivo della controversia”.

Riassunto il giudizio, la Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 2464 del 17 giugno 2016 ha rigettato l’appello a suo tempo proposto dai B., condannandoli anche al rimborso delle spese di lite.

Dopo aver dato atto che a seguito della cassazione, la causa era stata riportata nello stato in cui era immediatamente prima dell’emissione della decisione cassata, potendosi quindi fare utilizzo delle emergenze probatorie fino a quel momento raccolte, ricordava come il punto focale fosse rappresentato dall’accertamento della non genuinità totale o parziale della scheda testamentaria che vedeva come beneficiari i B..

A tal fine occorreva sottolineare che la Br. avesse effettivamente proposto domanda di accertamento della invalidità dell’olografo recante una data successiva, e ciò in conformità di quanto affermato dal recente intervento delle Sezioni Unite.

Poste tali premesse, il giudice di rinvio riteneva che le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado confermassero la falsità del testamento recante la data del 5/9/1995.

La consulenza aveva effettivamente confermato come il testamento recante una data successiva si connotava per una fluenza della grafia e per una maggiore sicurezza della dinamica grafica che facevano propendere per una sua redazione in epoca anteriore, alla luce del progressivo deterioramento delle condizioni psico-fisiche del testatore.

Inoltre, emergeva in maniera decisiva la distonia del tratto grafico che contraddistingue la data da quello che connota le altre componenti numeriche, sicuramente attribuibili al de cuius.

Tale elemento non era stato invece valorizzato dall’ausiliario d’ufficio nominato nel giudizio di appello.

Quindi, dopo avere riportato alcuni passaggi della consulenza tecnica disposta in prime cure, rilevava che tutte le affermazioni ivi contenute deponevano per la non riferibilità della data all’epoca cui farebbe pensare la grafia riscontrata nella scheda contestata.

Nè tale conclusione era in contrasto con il successivo accertamento tecnico, in quanto la seconda perizia non permetteva di riferire con articolazione e precisione alla mano del de cuius anche la data apposta nella scheda invocata dai B., emergendo, anzi, degli elementi che confortavano la tesi circa la riconducibilità della stessa scheda, nelle parti sicuramente autografe, ad una data anteriore alla scheda invece favorevole alla Br..

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso B.G., B.F., A.G. e B.D., questi ultimi due quali eredi di B. Luigi, sulla base di due motivi.

Br.Lu. resiste con controricorso illustrato da memorie.

2. Il primo motivo di ricorso, articolato in due punti, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 384 e 394 c.p.c., nonchè dell’art. 602 c.c., comma 2.

Si deduce che la Corte d’Appello non si sarebbe conformata al principio di diritto affermato dalla Cassazione in occasione della decisione sulla sentenza d’appello.

In particolare, non poteva escludere dalla propria valutazione gli esiti della consulenza disposta in grado di appello, avendo nella sostanza eluso gli accertamenti che erano stati devoluti alla stessa Corte quale giudice del rinvio. Inoltre, la sentenza d’appello sarebbe nella sostanza sovrapponibile a quella di rinvio, senza fornire spiegazione circa il fatto che il testamento favorevole ai ricorrenti, pur essendo stato reputato autentico, doveva però retrodatarsi ad un’epoca anteriore a quella di redazione del testamento di cui era beneficiaria la controricorrente.

Il secondo punto del motivo lamenta il fatto che il giudice del rinvio abbia ritenuto che la Br. avesse avanzato una domanda di accertamento negativo della validità del testamento, conformemente a quanto ritenuto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 12307/2015, laddove la stessa si era limitata solo a disconoscere il testamento di data successiva.

In ogni caso non poteva reputarsi che avesse assolto all’onere che le incombeva di dimostrare la non veridicità della data.

Il motivo deve essere rigettato.

Questa Corte ha anche di recente ribadito che (Cass. S.U. n. 18303/2020) in caso di ricorso per cassazione avverso la pronuncia del giudice di rinvio per violazione della precedente statuizione di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice, poteri che, nell’ipotesi di rinvio per vizio di motivazione, si estendono non solo alla libera valutazione dei fatti già accertati, ma anche alla indagine su altri fatti, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi già censurati del provvedimento impugnato e con la preclusione rispetto ai fatti che il principio di diritto eventualmente enunciato presuppone come pacifici o accertati definitivamente.

Infatti, la giurisprudenza ha chiarito che (Cass. n. 448/2020) i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua “potestas iudicandi”, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonchè la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (conf. Cass. n. 22989/2018). Inoltre, è stato precisato che (Cass. n. 2652/2018) nel caso in cui la sentenza rescindente abbia indicato i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione, ciò non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento. In quest’ultima ipotesi, poi, il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati.

Poste tali premesse, si rileva che la precedente decisione di questa Corte, che ha cassato la sentenza d’appello, aveva rilevato come contraddittoria, nel ragionamento del giudice di appello, la circostanza che, pur essendosi ritenuti attribuibili al testatore il contenuto, la data e la sottoscrizione del testamento olografo recante la data del 5/9/1995, si era però ritenuto che la data fosse inveritiera, e che il testamento fosse stato in realtà redatto in epoca anteriore alla scheda utilizzata dalla Br., senza però chiarire le ragioni per le quali sarebbe stata apposta una data successiva, sebbene il testatore avesse compilato la scheda in epoca anteriore.

Trattasi all’evidenza di un accoglimento del motivo di ricorso denunciante un vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione, e che, alla luce dei precedenti sopra richiamati, lascia il giudice del rinvio libero di riesaminare integralmente il merito della vicenda, ponendosi nella medesima situazione nella quale si sarebbe potuto porre ab origine il giudice di merito chiamato a decidere sull’appello.

La decisione oggi impugnata non può ritenersi che abbia violato i limiti, come visto estremamente ampi, derivanti dalla cassazione per vizio di motivazione e, nel rinnovare il giudizio sul gravame a suo tempo proposto, è pervenuta alla conferma della soluzione del Tribunale, ma sulla base di una motivazione che risulta immune dalle contraddittorietà ed illogicità invece riscontrate dal primo intervento di questa Corte.

Sebbene in alcune parti sembri che il giudice del rinvio abbia reiterato l’argomento secondo cui il tratto grafico presente nella scheda in contestazione deporrebbe per una datazione anteriore a quella della diversa scheda a favore della controricorrente, conclusione questa che esporrebbe la sentenza al medesimo profilo di invalidità che ha travolto la prima decisione della Corte distrettuale, ritiene il Collegio che la motivazione nel complesso denoti in realtà il concreto accertamento della invalidità della scheda per l’apocrifia accertata della data.

Depone a favore di tale conclusione quanto riportato in motivazione nel primo periodo della pagina 8, laddove, nel riportarsi alle conclusioni raggiunte dal CTU nominato dinanzi al Tribunale, si sottolinea la “distonia” del tratto grafico che contraddistingue la data del 5/9/1995 rispetto a quello che consta da altre componenti numeriche presenti nella stessa scheda, e sicuramente attribuibili al de cuius.

Tale aspetto è stato appunto ritenuto decisivo dal giudice del rinvio, rimarcandosi come un analogo approfondimento non fosse stato svolto dal consulente nominato in appello, elemento questo che portava a preferire come base di valutazione, l’elaborato peritale redatto in prime cure.

Conforta ancora tale assunto il richiamo da parte del giudice del rinvio al punto 7) della perizia d’ufficio redatta in prime cure (cfr. pag. 10 della sentenza gravata), che evidenzia le divergenze tra le modalità di formazione dei numeri di cui alla data del testamento contestato, rispetto alle identiche cifre numeriche presenti nelle scritture di comparazione, e sicuramente riferibili alla mano del de cuius.

Anche il punto 8 della perizia di primo grado, sebbene esponga anche il profilo relativo alla incompatibilità tra la data riportata e quella cui verosimilmente risale la redazione della scheda, avuto riguardo alle condizioni neurofisiologiche del testatore, conferma che il giudizio di autografia era espresso solo per il contenuto e la sottoscrizione, ma non esteso anche alla data. Analogamente il punto 10, nel collocare cronologicamente indietro nel tempo la grafia di cui alla scheda favorevole ai ricorrenti, non esprime altresì una valutazione di autografia anche per la data.

Una volta ricostruita in tali termini l’effettiva ratio della decisione di rinvio, ed emendata la stessa da qualche pur presente riferimento alla pretesa retrodatazione del testamento (sembrando alla Corte che tale riferimento sia da imputare piuttosto al fatto che, una volta esclusa l’esistenza di una valida data corrispondente a quella apparente, la scheda per il resto andrebbe fatta retroagire ad un’epoca anteriore a quella dell’altro testamento redatto dal de cuius), emerge che il giudice del rinvio, nei limiti assegnatigli dalla legge a seguito della cassazione con rinvio, e tenuto conto dei poteri derivanti dal tipo di vizio che ha condotto alla cassazione, abbia assolto al compito impostogli ed abbia proceduto ad una rivalutazione della vicenda, pervenendo alla conclusione della falsità della data (e quindi alla verosimile anteriorità della restante scheda), evitando in tal modo di incorrere nel medesimo vizio nel quale era incorsa la prima decisione della Corte distrettuale.

Nè appaiono fondate le deduzioni di cui al secondo punto del motivo in esame. Premesso, infatti, che l’accertamento dell’effettivo contenuto della domanda resta riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, può convenirsi sul fatto che una domanda di accertamento negativo dell’invalidità del testamento non richieda formule sacramentali e ben può quindi essere identificata nella contestazione della Br., quanto alla veridicità della data apposta alla scheda favorevole ai B., non solo quanto alla effettiva corrispondenza della stessa a quella di redazione ma anche in rapporto alla attribuibilità della grafia al testatore.

A tal fine deve ricordarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 27414/2018), nel testamento olografo l’omessa o incompleta indicazione della data ne comporta l’annullabilità, mentre l’apposizione di questa ad opera di terzi, se effettuata durante il confezionamento del documento, lo rende nullo perchè, in tal caso, viene meno l’autografia stessa dell’atto, senza che rilevi l’importanza dell’alterazione.

L’accertamento del giudice di rinvio circa la non autenticità della data rende quindi invalida la scheda, non potendosi peraltro invocare il restante contenuto della scheda, poichè sarebbe comunque priva di una valida data (con la conseguente annullabilità della stessa, anche nel caso in cui fosse dimostrata la non contestualità della sua apposizione rispetto al momento del confezionamento della scheda) mancando in ogni caso la prova della sua posteriorità rispetto a quella invocata dalla controricorrente.

Nè infine è meritevole di pregio la dedotta violazione delle regole in tema di onere della prova, posto che il giudice del rinvio, nell’affermare l’apocrifia della data, lungi dal risolvere la controversia sulla base della regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., ha invece statuito sulla base degli accertamenti compiuti dall’ausiliario d’ufficio in primo grado, ritenuto maggiormente attendibile, ed in grado quindi di dimostrare l’effettiva assenza di autenticità di tale elemento della scheda di ultima volontà.

3. Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in quanto il giudice del rinvio non avrebbe illustrato le ragioni per le quali perveniva al rigetto dell’appello, conformandosi alle indicazioni offerte dalla precedente decisione del giudice di legittimità.

Il motivo, che in parte ripropone alcune delle argomentazioni già sviluppate in occasione del primo motivo, non sembra avvedersi dell’effettivo contenuto della sentenza impugnata, che ha appunto rigettato la domanda dei B., non già sul presupposto della retrodatazione dell’intera scheda, sebbene tutta autentica, ma invece, ed in ciò divergendo dalla prima decisione della Corte d’Appello, rilevando la non autografia della data.

Il motivo, oltre a non confrontarsi con il tenore della sentenza impugnata, omette tuttavia di identificare quale sarebbe il fatto storico del quale sarebbe stata omessa la disamina in sede di rinvio, ma si sostanzia nella non consentita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie, specialmente nella parte in cui contesta che siano state sposate le conclusioni del primo CTU.

4. Il ricorso deve quindi essere rigettato, dovendosi regolare le spese in base al principio della soccombenza.

5. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge, se dovuti;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021

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