Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7863 del 16/04/2020

Cassazione civile sez. I, 16/04/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 16/04/2020), n.7863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19594/18 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in Roma via dei

Portoghesi, 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

J.E.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 5388/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, J.E., cittadina (OMISSIS), impugnava dinanzi il Tribunale di Milano il provvedimento emesso in data 08.03.2016 con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, respingeva la richiesta di riconoscimento di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria.

La richiedente esponeva di essere originaria dell’Edo State e di essere emigrata per seguire il proprio fidanzato O.S.: era giunta dapprima in Libia, ove aveva subito violenze, e da ultimo in Italia.

Con ordinanza del 28.11.2016 il Tribunale di Milano respingeva integralmente il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento dell’invocata protezione.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 5362/2017, in parziale riforma delle statuizioni di prime cure, respingeva la domanda di riconoscimento della protezione internazionale e sussidiaria, ritenendone insussistenti i presupposti, ma accoglieva la domanda di protezione umanitaria.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo il Ministero dell’Interno.

L’intimata non ha svolto nel presente giudizio attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 8 Cedu, art. 2 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale riconosciuto la protezione umanitaria, ritenendo sussistente una condizione di vulnerabilità meritevole di tutela alla luce del positivo percorso di integrazione in Italia della richiedente.

Il motivo è fondato.

La Corte territoriale, ha riconosciuto la misura della protezione umanitaria ritenendo sussistente una condizione di vulnerabilità della richiedente, in forza del fatto che la stessa aveva intrapreso un percorso di integrazione, svolgendo regolare attività lavorativa, come documentalmente provato sulla base delle buste paga prodotte, da valutarsi in relazione al lungo e doloroso percorso migratorio ed alla situazione comunque “delicata” nel paese di origine, ritenendo che la perdita improvvisa del lavoro al fine di dover rimpatriare, cagionerebbe alla richiedente un danno psico-fisico, per la mancanza di alternative nel Paese di Origine.

Tale statuizione non è conforme a diritto.

Ed invero, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 17072/2018).

D’altro canto occorre evidenziare l’assenza di qualsivoglia valutazione comparativa tra la posizione della richiedente con riferimento al proprio Paese di origine, essendosi la Corte territoriale unicamente limitata a porre in evidenza il lungo e doloroso percorso migratorio della richiedente e la situazione “delicata” nel paese di origine, desumendo unicamente da tali generici elementi la sussistenza di una situazione di vulnerabilità.

Si osserva in contrario che, come questa Corte ha già affermato, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 4455/2018).

Ed ancora, questa Corte ha statuito che la protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (Cass. 3681/2019).

Il ricorso va dunque accolto e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2020

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