Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7862 del 19/03/2021

Cassazione civile sez. II, 19/03/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 19/03/2021), n.7862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28265/2016 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI DONNA

OLIMPIA 186, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO NENNA, che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCO DI SARDEGNA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PARENTI, che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4503/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie della ricorrente.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 17089/2010 il Tribunale di Roma rigettava la domanda con la quale C.T. e C.S. avevano proposto azione di reintegra della loro quota di legittima, vantata sulla successione della madre M.I., nei confronti degli eredi dell’erede testamentario S.S. e del Banco di Sardegna, presso cui la de cuius aveva un conto corrente cointestato con lo S..

Avverso tale sentenza hanno proposto appello le attrici, cui resisteva la Banca convenuta, e la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 4503 del 14/7/2016 ha rigettato l’appello.

Nella motivazione ricordava che la de cuius, con testamento olografo, aveva attribuito l’usufrutto generale sui beni relitti al convivente S.S. e che nella denuncia di successione erano state indicate anche delle somme giacenti su di un conto corrente acceso presso la Banca di Sardegna, conto del quale la defunta era cointestataria con il convivente. Si lamentava in citazione che la banca avesse permesso all’altro cointestatario di prelevare l’intero importo depositato, pregiudicando quindi il diritto delle attrici alla loro quota successoria, sicchè doveva reputarsi che l’azione avanzata nei confronti della banca avesse natura contrattuale, per inadempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di deposito bancario.

La Corte rilevava che nelle more le attrici avevano transatto la controversia con gli aventi causa dello S., e tale circostanza rompeva in modo definitivo ogni possibile collegamento di responsabilità tra la banca e la parte erede dello S., nei confronti solamente del quale le appellanti avrebbero potuto far valere la tutela dei loro diritti ereditari. Tuttavia, le appellanti insistevano nell’accoglimento della domanda verso la banca, domanda che però doveva esser dichiarata prescritta.

Infatti, mentre il Tribunale aveva considerato che la documentazione versata in atti fornisse la prova dell’interruzione della prescrizione, viceversa in atti non si rinvenivano documenti aventi tale attitudine.

Le appellanti richiamavano alcuni atti processuali del giudizio di primo grado senza però riportarne il contenuto, non rinvenendosi il fascicolo di primo grado. Inoltre, la nota dell’avv. Gagliardi, che per conto delle attrici chiedeva gli estratti conto, non aveva un contenuto univoco tale da giustificare l’evento interruttivo, non contenendo la chiara ed inequivocabile volontà della parte di ottenere il riconoscimento del proprio diritto.

Ancora, alcuni dei fatti narrati dalle attrici, suscettibili di avere rilevanza nei rapporti con la banca, risalivano al (OMISSIS) ed al (OMISSIS) e poi si riscontrava solo una successiva missiva dell’11 maggio 2001, allorchè era già maturata la prescrizione decennale, il che comportava la fondatezza della dedotta eccezione.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso C.S. sulla base di due motivi, illustrati da memorie.

Il Banco di Sardegna S.p.A. resiste con controricorso.

2. I due motivi, ma illustrati in maniera unitaria, denunciano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Si ricorda che presso la banca era stato acceso un conto cointestato tra la de cuius ed il convivente, e che quest’ultimo, dopo la morte della de cuius, aveva prelevato l’intera giacenza, senza che la banca si opponesse a tale comportamento.

Si ricorda che la banca era consapevole del decesso della M. e che, nonostante tale conoscenza, aveva permesso che l’usufruttuario ponesse in essere una condotta illegittima, divenendo quindi concorrente dello stesso.

Quanto all’eccezione di prescrizione, si deduce che vi sarebbero varie missive che attesterebbero l’interruzione della prescrizione, con la conseguenza che la sentenza impugnata non ha risposto adeguatamente alle difese della ricorrente. Oltre ad essere erronea l’affermazione secondo cui a seguito della transazione intervenuta con gli eredi dello S., sarebbe venuto meno il collegamento con la pretesa vantata verso la banca, si assume però la contraddittorietà della motivazione della Corte distrettuale, che pur dando atto dell’assenza del fascicolo di primo grado, fanno però riferimento a documentazione che era ivi contenuta.

Inoltre, non si è tenuto conto che il fascicolo ricostruito era stato depositato telematicamente.

Infine, si deduce che vi sarebbe contraddittorietà della motivazione nella parte in cui le appellanti sono state condannate al rimborso delle spese di lite, statuizione questa che, unitamente al resto della motivazione, denota l’assenza di terzietà ed imparzialità del giudice di appello.

3. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono inammissibili.

Rileva in primo luogo il Collegio che, pur avendo la sentenza impugnata fondato la propria decisione sul rilievo della prescrizione, eccepita dalla convenuta e riproposta in appello, la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che (Cass. n. 15231/2002) nel caso in cui il deposito bancario sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere, sino alla estinzione del rapporto, operazioni, attive e passive, anche disgiuntamente, si realizza una solidarietà dal lato attivo dell’obbligazione che sopravvive alla morte di uno dei contitolari, sicchè il contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo la morte dell’altro, l’adempimento dell’intero saldo del libretto di deposito a risparmio, e l’adempimento così conseguito libera la banca verso gli eredi dell’altro contitolare (conf. Cass. n. 12385/2014).

Emerge quindi in maniera evidente, come la domanda proposta risulterebbe in ogni caso infondata nel merito, essendo uno specifico obbligo della banca, scaturente dalla disciplina del contratto bancario, quello di permettere al singolo cointestatario, anche dopo la morte dell’altro titolare del rapporto, di poter pienamente disporre delle somme depositate, ferma restando la necessità di dover verificare la correttezza di tale attività nell’ambito dei rapporti interni tra colui che abbia prelevato e gli eredi del cointestatario deceduto (rapporti che, come correttamente ricordato dalla Corte d’Appello, sono stati oggetto di definizione in via transattiva).

In disparte tale profilo, e ribadito che la sentenza impugnata ha fondato la sua decisione di rigetto della domanda attorea sul profilo preliminare della prescrizione, il motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia una violazione di legge, mancando la stessa indicazione della norma sostanziale o processuale che sarebbe stata violata dal giudice di merito, e soprattutto essendo carente la stessa individuazione dell’error ascrivibile al giudice di appello.

La Corte distrettuale, ragionevolmente avvalendosi proprio della documentazione presente nel fascicolo ricostruito (il richiamo ad alcune missive testimonia, infatti, che i giudici di appello hanno avuto modo di esaminare gli atti che la stessa ricorrente aveva inserito nel fascicolo oggetto di ricostruzione), ha però rilevato che mancavano, a differenza di quanto genericamente assunto dal Tribunale, atti effettivamente idonei a determinare l’effetto interruttivo della prescrizione.

A fronte di tale affermazione, la ricorrente assume in maniera del tutto generica, ed in violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che in realtà i documenti presenti nella propria produzione comproverebbero l’avvenuta interruzione della prescrizione, manca però ogni specifica indicazione dei documenti ai quali si intende annettere tale efficacia e dove essi siano effettivamente reperibili, anche all’interno del fascicolo oggetto di ricostruzione a cura della ricorrente, così che, ove anche volesse opinarsi nel senso che i giudici di appello non abbiano esaminato e valutato tutta la documentazione contenuta nel fascicolo della ricorrente, ai fini dell’ammissibilità del motivo era specifico onere della stessa ricorrente quello di indicare quale documento decisivo non sarebbe stato esaminato, trascrivendone, ancorchè per sintesi, il contenuto.

Inoltre, senza avvedersi della ratio individuata dal giudice di appello, che ha ritenuto che, ai fini interruttivi della prescrizione, è necessario che l’atto manifesti la volontà precisa della parte di far valere il proprio diritto nei confronti del destinatario della messa in mora, la ricorrente si limita a richiamare, sempre in maniera del tutto generica, l’esistenza di atti che erano volti a far ricostruire l’asse ereditario, senza adeguatamente contrastare l’affermazione del giudice di appello secondo cui la sola richiesta di conoscere la situazione bancaria della de cuius non equivale a sollevare contestazioni circa la legittimità della condotta della banca, e quindi a porre in essere un valido atto interruttivo, omettendo quindi di mettere in evidenza il carattere decisivo del fatto di cui sarebbe stata omessa la disamina.

Risulta del pari inammissibile la denuncia del vizio di motivazione, posto che, come già segnalato, manca la puntuale individuazione del fatto di cui sarebbe stata omessa la disamina da parte del giudice di appello, non essendo più dato, a fronte della riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, limitarsi a denunciare la assunta contraddittorietà della motivazione, ove la stessa non assuma invece caratteri di anomalia in contrasto con il requisito del minimo costituzionale della motivazione (cfr. Cass. S.U. n. 8054/2014), caratteri che nella specie non si riscontrano.

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, dovendosi regolare le spese in base al principio della soccombenza.

Non ricorrono tuttavia i presupposti per l’accoglimento della richiesta della controricorrente di cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive, quanto al riferimento ad una possibile sottrazione del fascicolo di parte, trattandosi di espressioni che non pongono come certo tale evento, ma in termini solo probabilistici, e senza che peraltro ne risulti univocamente attribuita la paternità alla controparte, non rinvenendosi quindi nelle stesse un passionale e scomposto intento dispregiativo e non emergendo perciò un intento offensivo nei confronti della controparte, conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive (cfr. Cass. n. 10288/2009).

5. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.500,00,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge, se dovuti;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021

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