Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7861 del 19/03/2021

Cassazione civile sez. II, 19/03/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 19/03/2021), n.7861

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26521/2016 R.G. proposto da:

PROMEDIL S.A.S. DI D.I.L. E C., in persona del

legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti

Giulio Bernini, e Lorenza Furgiuele, con domicilio eletto in Roma,

Via degli Scipioni n. 268/A, presso l’avv. Gianluca Caporossi;

– ricorrente –

contro

SCACCOMATTO S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’avv. Guido Puliti, con domicilio in

Firenze, via Duca D’Aosta n. 17.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1288/2016,

depositata in data 28.7.2016.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 13.1.2021 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Scaccomatto s.r.l. ha convenuto in giudizio, dinanzi al tribunale di Firenze, la Promedil e i soci D.I.L. e V.G., assumendo di aver stipulato con la società convenuta un contratto di appalto per la realizzazione di un immobile ubicato in (OMISSIS), per un prezzo a corpo di Lire 35.000,000.

Ha altresì esposto che l’appaltatrice aveva abbandonato il cantiere senza completare i lavori, chiedendo comunque il pagamento del saldo; che, per completare le opere era stato necessario incaricare altra impresa.

Ha chiesto di dichiarare la risoluzione del contratto, con ordine di restituzione degli acconti versati e vittoria di spese di causa.

La Promedil sia è costituita in giudizio, instando per il rigetto della domanda e la condanna dell’attrice al pagamento del saldo del corrispettivo dell’appalto, deducendo di aver percepito solo l’acconto di Lire 19.000.000.

Esaurita la trattazione, il Tribunale ha respinto la domanda principale, ha accolto la riconvenzionale e ha condannato la Scaccomatto s.r.l. al pagamento di Euro 11.753,59 a titolo di prezzo, oltre accessori, con aggravio di spese legali.

Su appello della società soccombente, la Corte territoriale di Firenze ha riformato parzialmente la prima decisione, dichiarando infondata anche la domanda di pagamento proposta dall’appaltatrice.

Respinta nuovamente la richiesta di risoluzione del contratto, data la ritenuta insussistenza di un grave inadempimento della Promedil, la sentenza ha ritenuto carente anche la prova che l’opera fosse stata ultimata dall’appaltatrice, precisando che la semplice presa in consegna del manufatto non poteva valere come accettazione tacita agli effetti dell’art. 1665 c.c.. Ha perciò ordinato la restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado, regolando le spese.

Per la cassazione della sentenza la Promedil s.a.s. ha proposto ricorso in sette motivi, illustrati con memoria.

La Scaccomatto s.r.l. resiste con controricorso e con memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 1665 c.c., commi 3, 4 e 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamentando che la presa in consegna delle opere senza riserve o eccezioni valeva come accettazione tacita, dando diritto al pagamento del saldo del prezzo, e ciò anche perchè la Scaccomatto s.r.l. era stata vanamente sollecitata ad effettuare il collaudo senza provvedervi e senza addurre alcuna giustificazione.

Il secondo motivo denuncia nuovamente la violazione dell’art. 1665 c.c., commi 3, 4 e 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo la ricorrente, essendo in discussione la violazione dell’obbligo contrattuale di ultimare i lavori, le disposizioni degli artt. 1665 c.c. e segg., non erano neppure applicabili, per cui la mancata accettazione dell’opera non ostava all’accoglimento della domanda di pagamento.

I due motivi, che, per la loro stretta connessione, vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.

L’inadempimento ascritto all’appaltatrice non consisteva nell’imperfetta realizzazione dei manufatti a causa della presenza di vizi o difetti, ma nell’anticipato abbandono dei cantieri e nel mancato completamento dell’appalto. In tale situazione, neppure l’eventuale accettazione della costruzione, per quanto incompleta, poteva impedire alla committente di richiedere il risarcimento del danno o la risoluzione del contratto o comunque eccepire l’inadempimento (Cass. 972/1981; Cass. 466/1983).

Più in generale, in caso di omesso completamento dell’opera, e qualora questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme, non può farsi applicazione delle norme in tema di garanzia per vizi e difformità delle opere di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c., che richiedono necessariamente il totale compimento dell’opera (Cass. 11950/1990), ma, in applicazione della disciplina generale (Cass. 6931/2007), il committente può rifiutare l’adempimento parziale (art. 1181 c.c.) oppure accettarlo secondo la sua convenienza e, anche se la parziale esecuzione del contratto sia tale da giustificarne la risoluzione, può trattenere la parte di manufatto realizzata e provvedere direttamente al suo completamento, essendo, poi, legittimato a chiedere in via giudiziale che il prezzo sia proporzionalmente diminuito e, in caso di colpa dell’appaltatore, anche il risarcimento del danno (Cass. 3786/2010; Cass. 2573/1983).

Adattando tali principi al caso di specie, risulta evidente che l’errore denunciato – sebbene sussistente -. è irrilevante, non potendo condurre ad una soluzione diversa da quella adottata dalla Corte di merito.

Difatti, a prescindere dalla possibilità di ritenere l’opera tacitamente accettata dall’impresa committente, permaneva la facoltà di far valere l’inadempimento dell’appaltatrice a causa dell’esecuzione solo parziale del contratto: la mancata ultimazione dei lavori giustificava comunque il rigetto della domanda di pagamento del saldo, come appunto stabilito dalla sentenza impugnata.

2. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si espone che, avendo il c.t.u. accertato che i lavori erano stati ultimati (ad eccezione dell’impianto di riscaldamento e adduzione del gas), non poteva porsi a carico della ricorrente l’onere di dimostrare di aver condotto a completamento il manufatto, specie considerando che la pronuncia aveva anche stabilito che non era possibile accertare quali lavori fossero stati eseguiti da terzi.

Il motivo è infondato.

Se, da un lato, la committente aveva chiesto di risolvere il contratto, contestando alla Promedil di aver abbandonato il cantiere senza ultimare i lavori, quest’ultima aveva – a sua volta – chiesto in via riconvenzionale il pagamento del residuo prezzo dell’appalto, sostenendo – in replica alle tesi difensive dell’attrice – di aver puntualmente adempiuto tutti gli obblighi contrattuali.

In tale situazione, per ottenere il pagamento dell’importo residuo, l’appaltatrice era tenuta a dimostrare di aver adempiuto la propria obbligazione e di aver eseguito l’opera conformemente al contratto, in ossequio ad un criterio di riparto dell’onere della prova che è applicabile anche all’appalto (Cass. 936/2010; Cass. 98/2019) e che trova conferma nell’insegnamento delle Sezioni unite, secondo cui il creditore che agisca per la risoluzione, per il risarcimento o per l’adempimento del contratto deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell’inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto a dover dar prova dell’avvenuto adempimento.

Uguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile se il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (o richieda la risoluzione), risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti,, poichè il debitore eccipiente può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento, competendo al creditore dimostrare di aver adempiuto (Cass. s.u. 13533/2001).

Nel caso concreto va quindi precisato che) mentre la Scaccomatto, nel richiedere la risoluzione del contratto, non era affatto tenuta a dar prova di quali opere fossero state realizzate da terzi (come infondatamente – ha sostenuto la Corte di merito), potendosi limitare ad allegare l’inadempimento, competeva – invece – alla Promedil dimostrare di aver integralmente eseguito i lavori e ciò sia per paralizzare l’azione di risoluzione, sia per ottenere il pagamento del residuo prezzo, avendo la Corte di merito posto in evidenza che il consulente non era stato in condizione di stabilire chi avesse ultimato il manufatto (cfr. sentenza, pag. 8).

3. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, asserendo che erano stati acquisiti al processo elementi univoci e concordanti per ritenere ampiamente dimostrato l’esatto adempimento del contratto da parte della ricorrente (il versamento di un acconto di Lire 19.000.000, l’effettuazione di lavori extracontrattuali, la presa in consegna delle opere da parte della committente), tutte circostanze munite di valenza presuntiva che il giudice avrebbe dovuto valutare e riconoscere il diritto dell’appaltatrice ai pagamento del saldo.

Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale, non negando che la costruzione fosse stata ultimata, ha ritenuto – sulla scorta delle risultanze della c.t.u. – di non poter stabilire fosse stata la Promedil completare l’opera, pervenendo ad un giudizio di prevalenza delle conclusioni del consulente, che escludeva l’utilità di far ricorso al ragionamento presuntivo.

Se è vero che le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale è lecito attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della decisione, tuttavia la scelta di fare ricorso alle presunzioni, di individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge sfugge al sindacato di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La mancata applicazione di un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare è deducibile come vizio della sentenza solo ai sensi e nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cioè come omesso esame di un fatto secondario (dedotto come giustificativo dell’inferenza di un fatto ignoto principale), purchè decisivo e sempre che il giudice non abbia motivato alcunchè al riguardo (Cass. 17720/2018), mentre la dedotta violazione degli artt. 2727 e segg., può configurarsi solo ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (C:ass. 3541/2020; Cass. 29635/2018; Cass. 19485/2017), tutte ipotesi non riscontrabili nel caso in esame.

4. Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, contestando la palese contraddittorietà della motivazione nel punto in cui, da un lato, ha negato l’inadempimento della Promedil, respingendo la domanda di risoluzione, e contestualmente, ha ritenuto infondata anche la domanda di pagamento del saldo per carenza di prova dell’esecuzione dei lavori, finendo prima per negare e poi per ammettere che l’appaltatrice avesse dato regolare esecuzione al contratto.

La censura è infondata.

Secondo il giudice distrettuale, il mancato raggiungimento della prova di quali lavori avesse eseguito l’appaltatrice impediva di valutare non la sussistenza, ma la gravità dell’inadempimento, e perciò di accertare un presupposto indispensabile per risolvere il contratto (cfr., sentenza pag. 8).

Non sussiste, pertanto, una insuperabile contraddittorietà della motivazione tale da trasmodare in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 8053/2014), per il fatto che la medesima circostanza oggettiva (l’inadempimento della Promedil) sia stata ammessa e – al contempo – negata: la sentenza ha ritenuto sussistente l’inadempimento, negando che fosse possibile risolvere il contratto, data la mancanza di elementi oggettivi che consentissero di apprezzarne la rilevanza alla stregua dei criteri fissati dall’art. 1455 c.c..

5. Il sesto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza disposto la restituzione dell’importo riconosciuto dal tribunale a titolo di saldo del prezzo, senza effettuare alcuna verifica sull’entità dei lavori effettivamente eseguiti, mostrando di presumere che la ricorrente avesse titolo a trattenere solfo l’acconto ricevuto, sì da imputare a terzi – senza alcuna motivazione – un’eventuale spettanza del saldo.

Il settimo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, lamentando che la pronuncia abbia ordinato la sola restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo, senza nulla disporre quanto al rimborso degli acconti percepiti dall’appaltatrice, mostrando di ritenere che l’importo degli acconti corrispondesse al valore delle opere realizzate dall’appaltatrice e che il saldo dovesse imputarsi alle altre imprese intervenute a completare l’esecuzione dell’appalto.

Entrambi i motivi, che per la loro stretta connessione vanno esaminati congiuntamente, non meritano di essere accolti.

La Corte ha esplicitamente preso posizione in merito all’esecuzione dei lavori, precisando che, sebbene – in base agli accertamenti del c.t.u. – l’opera risultasse ultimata, non era possibile stabilire quali di essi fossero stati compiuti dall’appaltatrice.

L’equazione che propone il ricorso tra la mancata condanna alla restituzione degli acconti e la prova che quest’ultima avesse realizzato lavori per un valore pari all’ammontare delle somme ricevute anticipatamente astrae – in realtà – dal reale contenuto della pronuncia, che ha invece inequivocabilmente affermato che non era possibile determinare in che misura (sotto il profilo quantitativo), l’opera fosse stata realizzata dalla ricorrente e che non sussistevano le condizioni per accogliere neppure in parte la pretesa di pagamento del residuo prezzo.

Per quanto la Corte territoriale nulla abbia detto circa il rimborso degli acconti, non è ammissibile farne discendere un’insuperabile contraddittorietà sul piano argomentativo, non tanto perchè la domanda di ripetizione proposta dalla committente era associata a quella di risoluzione del contratto, che è stata ugualmente respinta, ma soprattutto perchè il giudice distrettuale ha chiaramente evidenziato di non essere in condizione di quantificare le opere, esprimendo un convincimento che – sul piano logico – escludeva qualsiasi corrispondenza tra l’importo degli acconti stessi ed il valore delle opere eseguite dalla Promedil, restando escluso che l’aver omesso di statuire sulle somme già versate all’impresa ricorrente presupponesse un contrario accertamento in fatto.

Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5300,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese processuali, in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021

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