Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 786 del 19/01/2021

Cassazione civile sez. un., 19/01/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 19/01/2021), n.786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Presidente di Sez. –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28000/2019 proposto da:

ENALPINA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Due Macelli 66, presso lo

studio dell’avvocato Alessandro Boso Caretta, (Studio DLA Piper),

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Germana

Cassar, Manfredi Bettoni, e Franco Mellaia;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CHIES D’ALPAGO, COMUNE DI TAMBRE D’ALPAGO, in persona dei

rispettivi sindaci pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma,

Via di Monte Fiore 22, presso lo studio dell’avvocato Stefano

Gattamelata, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Enrico Gaz;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 132/2019 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 16/05/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2020 dal Presidente Dott. Luigi Giovanni Lombardo;

Udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Uditi gli avvocati Manfredi Bettoni, e Renzo Cuonzo, per delega

dell’avvocato Stefano Gattamelata.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La società Enalpina s.r.l., titolare di una concessione di derivazione d’acqua per uso idroelettrico dal torrente (OMISSIS), convenne in giudizio, innanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Venezia, i Comuni di Tambre d’Alpago e di Chies d’Alpago, chiedendo accertarsi i diritti e gli obblighi nascenti dalla concessione di derivazione rilasciatale dal Genio civile di Belluno e dichiararsi la invalidità delle clausole relative ai corrispettivi contenute nella convenzione stipulata con i suddetti enti territoriali.

Nella resistenza dei Comuni convenuti, il Tribunale regionale dichiarò il difetto di interesse della società attrice con riferimento alle domande relative alla concessione di derivazione e dichiarò la propria incompetenza per le altre domande.

2. – Avverso tale sentenza propose appello la società Enalpina s.r.l. e il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche dichiarò l’impugnazione inammissibile, ritenendola tardiva.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso la società Enalpina s.r.l. sulla base di un unico articolato motivo.

Hanno resistito con controricorso i Comuni di Tambre d’Alpago e di Chies d’Alpago.

In prossimità dell’udienza, entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico complesso motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere il T.S.A.P. ritenuto che il termine di trenta giorni per la proposizione dell’appello, previsto dal R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 189 (“Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici”), fosse decorso dal momento della integrale notificazione della sentenza di primo grado effettuata a mezzo p.e.c., a cura della cancelleria, il 30/5/2018 (giorno stesso della sua pubblicazione), con conseguente tardività dell’appello notificato il 9/10/2018. Secondo la ricorrente, il R.D. n. 1775 del 1933, art. 183, configurerebbe un procedimento notifica-torio della sentenza a struttura bifasica; in forza di tale disciplina processuale speciale, prevalente sulla normativa processuale ordinaria, la prima notifica farebbe insorgere soltanto l’onere della parte di provvedere alla registrazione della sentenza (ai sensi dell’art. 183, comma 3), senza determinare l’inizio del decorso del termine breve per impugnare (ai sensi del combinato disposto dell’art. 189, in relazione al R.D. n. 1775 del 1933, art. 183, comma 4); tale conclusione troverebbe conforto nel fatto che il cancelliere, nell’eseguire la notificazione a mezzo p.e.c., ha utilizzato una locuzione – “notifica ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 183, comma 2” – che avrebbe rafforzato nella parte il convincimento che non si trattasse di notifica eseguita ai sensi dell’art. 183, comma 4, T.U. citato.

Le censure sono infondate.

Va premesso che il R.D. n. 1775 del 1933, art. 189, comma 1, stabilisce che “L’appello avverso le sentenze definitive dei Tribunali delle acque pubbliche è proposto nel termine di trenta giorni dalla notificazione del dispositivo ai sensi dell’art. 183”; l’art. 183 stabilisce a sua volta, al comma 3, che della sentenza “Il cancelliere annota in apposito registro il deposito ed entro tre giorni da tale deposito trasmette la sentenza con gli atti all’ufficio del registro e ne dà avviso alle parti perchè provvedano alla registrazione” e, al comma 4, che “Restituiti la sentenza e gli atti dall’ufficio del registro, il cancelliere entro cinque giorni ne esegue la notificazione alle parti, mediante consegna di copia integrale del dispositivo, nella forma stabilita per la notificazione degli atti di citazione”.

Con la sentenza 30 marzo 2010, n. 7607, queste Sezioni Unite, chiamate a stabilire se la notifica della copia integrale del dispositivo della sentenza comporti comunque, indipendentemente dalla sua registrazione, la decorrenza del termine breve per impugnare la decisione del Tribunale Superiore delle acque pubbliche con ricorso per cassazione, hanno già evidenziato la necessità di tener conto del quadro normativo nel quale fu adottato il T.U. sulle acque del 1933 e, in particolare, del fatto che esso fu emanato nella vigenza della legge di registro di cui al R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269.

Il R.D. n. 3269 del 1923, art. 68, prevedeva che tutte le sentenze erano soggette a registrazione, che il cancelliere era tenuto ad inviare l’originale della sentenza all’ufficio del registro per la registrazione e che, solo dopo la registrazione della sentenza e la sua restituzione da parte di detto ufficio, il cancelliere poteva rilasciarne copia agli interessati. Ne conseguiva che, finchè la sentenza non fosse stata restituita al cancelliere, le parti non avevano la possibilità di prenderne cognizione e, quindi, di valutare la opportunità di impugnarla. In siffatta situazione, l’eventuale notifica della copia integrale del dispositivo della sentenza da parte del cancelliere, prima che questa fosse stata restituita dall’ufficio del registro, non avrebbe potuto determinare la decorrenza del termine (breve) di impugnazione, perchè la mancanza di registrazione impediva alle parti di ottenere copia della sentenza.

Il quadro normativo è radicalmente mutato con l’entrata in vigore del nuovo testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.

In particolare, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 66, stabilisce, al comma 1, che i soggetti indicati nell’art. 10, lett. b) e c) (tra i quali figurano i cancellieri) possono rilasciare originali, copie ed estratti degli atti soggetti a registrazione in termine fisso da loro formati o autenticati solo dopo che gli stessi siano stati registrati (indicando gli estremi della registrazione, compreso l’ammontare dell’imposta, con apposita attestazione da loro sottoscritta); ma aggiunge, al comma 2, che: “La disposizione di cui al comma 1 non si applica: a) agli originali, copie ed estratti di sentenze ed altri provvedimenti giurisdizionali o di atti formati dagli ufficiali giudiziari e dagli uscieri, che siano rilasciati per la prosecuzione del giudizio”.

Mentre, dunque, sulla base della legge di registro del 1923 tutte le sentenze andavano registrate ed era fatto divieto al cancelliere di rilasciarne copia prima della loro registrazione, attualmente, in forza della nuova disciplina, vi sono sentenze che vanno registrate (quelle indicate nella parte prima, art. 8 della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986) e sentenze che non vanno registrate e, anche per quelle che vanno registrate, il cancelliere è tenuto a rilasciarne copia prima della registrazione se ciò è necessario per la prosecuzione del giudizio.

La richiamata sentenza di queste Sezioni Unite ha, pertanto, concluso nel senso che, alla luce della evoluzione della normativa in tema di imposta di registro, si deve escludere che la preventiva registrazione della sentenza, prevista dall’art. 183 del T.U. sulle acque, costituisca “condizione essenziale” per la decorrenza del termine breve di impugnazione derivante dalla notifica della copia dell’estratto integrale della sentenza.

Da questa premessa le Sezioni Unite hanno dedotto che, in tema di impugnazione delle sentenze emesse dal Tribunale Superiore delle acque pubbliche in unico grado, una volta avvenuta la comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza, la successiva notifica della copia integrale del dispositivo fa comunque decorrere, indipendentemente dalla registrazione della sentenza, il termine breve di quarantacinque giorni per la proposizione del ricorso per cassazione, ai sensi del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 202, in quanto il compimento della registrazione rileva, ove dovuta, esclusivamente a fini fiscali (Cass., Sez. Un., n. 7607 del 30/03/2010). Anche con le pronunce successive queste Sezioni Unite hanno costantemente ribadito che il termine breve per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale regionale delle acque pubbliche decorre dalla notifica della copia integrale del dispositivo, senza dover attendere la registrazione della sentenza (Cass., Sez. Un., n. 10453 del 21/05/2015; Cass., Sez. Un., n. 29393 del 15/11/2018; Cass., Sez. Un., n. 8048 del 30/03/2018).

Il principio della non necessità della registrazione della sentenza, ai fini della decorrenza del termine per impugnare, è stato poi esteso da queste Sezioni Unite al termine breve per la proposizione dell’appello avverso le sentenze dei Tribunali regionali delle acque pubbliche; e si è affermato che il termine breve previsto dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 189, comma 1, per proporre impugnazione davanti al T.S.A.P. avverso le sentenze emesse dal Tribunale regionale delle acque pubbliche decorre dal rilascio a mezzo p.e.c. della copia integrale della sentenza, a seguito dell’avviso previsto dell’art. 183, comma 3 R.D. cit., atteso che la soppressione dell’obbligo di registrazione delle sentenze civili ha reso ormai irrazionale ed inutile la notificazione della copia integrale del dispositivo, originariamente prevista dal successivo comma 4 dello stesso articolo, a ciò non ostando quanto stabilito dall’art. 133 c.p.c., comma 2, u.p., stante il carattere speciale della disciplina contenuta negli artt. 183 e 189 del R.D. citato, che rende la stessa applicabile in luogo di quella ordinaria (Cass., Sez. Un., n. 5642 del 26/02/2019). Questo principio di diritto deve ritenersi ormai consolidato, essendo stato confermato da numerose successive pronunce (Cass., Sez. Un., n. 29083 del 11/11/2019; Cass., Sez. Un., n. 7840 del 15/04/2020; nonchè, non massimate: Cass., Sez. Un., n. 15900 del 13/06/2019; Cass., Sez. Un., n. 22573 del 10/09/2019; Cass., Sez. Un., n. 30801 del 26/11/2019 e Cass., Sez. Un., n. 2502 del 4/02/2020).

Le Sezioni Unite non possono che ribadire il principio più volte affermato, osservando che, a seguito delle modifiche legislative intervenute, il R.D. n. 1775 del 1993, art. 183, deve ritenersi parzialmente abrogato per implicito, dovendo ritenersi che il procedimento di comunicazione-notificazione della sentenza non ha più struttura bifasica e che la notificazione a mezzo p.e.c. alle parti, a cura del cancelliere, della copia integrale della sentenza del T.R.A.P. è senz’altro idonea a far decorrere il termine per appellare.

Non rileva il fatto che, nella specie, il cancelliere abbia erroneamente menzionato nell’avviso del R.D. n. 1775 del 1933, art. 183, comma 2: trattasi di un lapsus calami privo di rilevanza giuridica ed immediatamente rilevabile dalla parte, considerato che il detto comma 2 non prevede alcuna comunicazione, notificazione o avviso alle parti. Era pertanto evidente che l’avviso del cancelliere, accompagnato dalla notificazione del testo integrale della sentenza, fosse eseguito in adempimento delle prescrizioni dei commi successivi.

2. – Il ricorso va, pertanto, rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

3. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite. rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

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