Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7859 del 16/04/2020

Cassazione civile sez. I, 16/04/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 16/04/2020), n.7859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13379/2018 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della

Corte Suprema di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato

Marco Fattori, giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il

27/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/11/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 838/2018 depositato il 27-03-2018 il Tribunale di Trieste, ha respinto il ricorso di M.S., cittadino del (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè abitava in un villaggio al confine con l’India che era a rischio di bombardamenti e da cui doveva spostarsi ogni volta che vi erano bombardamenti. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan e del Punjab, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione di legge, errata applicazione della norma: D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e succ. modifiche; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e succ. modifiche – mancato riconoscimento della protezione sussidiaria”. Censura la valutazione di non credibilità del suo racconto, non effettuata dal Tribunale in base ai parametri normativi, richiamando la giurisprudenza di questa Corte e pronunce di merito. Rileva che erroneamente il Tribunale ha considerato inattendibile la sua provenienza da una zona di confine tra Pakistan e India e ha ricondotto la sua fuga a mere ragioni economiche. Ritiene di aver fornito una versione circostanziata della sua vicenda personale, mentre il Tribunale aveva omesso di esercitare i propri doveri istruttori ufficiosi, in ordine alla capacità delle Autorità statali di fornire adeguata protezione e all’indagine della situazione di sicurezza nella regione del Kashmir e in tutte quelle a confine con l’India, connotate da gravi tensioni internazionali e conflitti tra gruppi paramilitari e terroristici.

2. Con il secondo motivo lamenta “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione di legge, errata applicazione della norma: D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 – violazione del principio di non refoulement – mancata concessione della protezione umanitaria”. Richiama diffusamente giurisprudenza di merito e di legittimità in ordine ai requisiti della protezione umanitaria e deduce che la sua situazione è connotata da molteplici profili di vulnerabilità, in rapporto alla criticità del contesto di provenienza e alla sua personale esperienza di violenza. Richiama il rapporto Unicef del marzo 2016 e siti internet da cui risulta un quadro di sicurezza complessivo molto precario dell’area del Punjab, pur essendo quest’ultima la regione tra le più industrializzate del Pakistan.

3. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

3.1. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità ed alla situazione generale del Paese di origine, difforme da quella accertata nel giudizio di merito.

Il Tribunale ha ampiamente e dettagliatamente argomentato sull’inattendibilità del racconto del richiedente (pag. n. 3 decreto), che è stato analizzato in osservanza dei parametri normativi, ed ha descritto la situazione del Punjab con indicazione delle fonti di conoscenza, escludendo, motivatamente, la sussistenza di situazione rilevante ai fini della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Anche la valutazione sulla situazione del Paese di origine del richiedente si risolve in un apprezzamento di fatto, censurabile in sede di legittimità nei termini precisati dal questa Corte (Cass. n. 30105/2018).

3.2. Circa il diniego della protezione umanitaria, il ricorrente si limita richiamare diffusamente la normativa di riferimento e pronunce di merito e di legittimità, senza specificare elementi individualizzanti a sostegno della asserita sua vulnerabilità (Cass. n. 9304/2018), che è stata esclusa, con idonea motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), dal Tribunale in base alle allegazioni del richiedente e ai fatti accertati.

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese di lite del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2020

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