Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7858 del 19/03/2021

Cassazione civile sez. II, 19/03/2021, (ud. 02/10/2020, dep. 19/03/2021), n.7858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7242/2016 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliata in Roma, c.so Vittorio

Emanuele II 229, presso lo studio dell’avvocato Raffaele Bonfiglio,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Giovanni

Runggaldier;

– ricorrente –

contro

L.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 959/2015 della Corte d’appello di Brescia,

depositata il 15/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/10/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente contenzioso nasceva con atto di citazione notificato il 17/02/2005 dalla sig.ra A.G. con il quale, assumendo di essere nuda proprietaria di un immobile sito in (OMISSIS), conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo, il sig. L.M. lamentando che il medesimo nell’anno (OMISSIS), dopo aver demolito la preesistente veranda costituita da una struttura metallica poggiante sulla linea di mezzeria del muro di recinzione comune, aveva realizzato una nuova costruzione che, inglobando interamente il comune muro di confine violava la normativa dettata in materia di proprietà e di distanze dal confine, e deduceva anche l’illecita apposizione di un canale di gronda all’esterno del muretto, nonchè l’apertura sulla facciata esterna dello stesso di nuove vedute ad una distanza inferiore a quella minima consentita;

– l’attrice chiedeva pertanto all’adito tribunale di condannare il convenuto al ripristino dello stato dei luoghi, mediante arretramento del manufatto, della grondaia e delle vedute in conformità della distanza legale e/o abbattimento di quanto costruito in difformità di esso;

– si costituiva in giudizio il L. che negava l’occupazione di fondo altrui, assumendo che il muro perimetrale della veranda preesistente, poi demolita, risultava fin dal (OMISSIS) costruito a filo del muretto di confine e per tale motivo chiedeva, in via riconvenzionale, di accertare e dichiarare che la linea di confine fra le due proprietà si trova all’esterno del muro di recinzione e che risulta di sua proprietà esclusiva, in seguito all’acquisto per usucapione;

– il Tribunale di Bergamo accoglieva la domanda attorea volta alla demolizione del nuovo manufatto realizzato dal convenuto per la parte in cui non risultava posta ad una distanza minima dal confine di mt. 5,00 e per l’effetto condannava il L. ad arretrare il muro di sua proprietà;

– avverso tale sentenza veniva proposto appello dal L. il quale chiedeva accertarsi l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui aveva escluso che il confine della sua proprietà coincideva con la parete esterna del muretto sul quale era poggiata la struttura in profilati metallici della vecchia veranda;

– la corte d’appello accoglieva l’appello e in totale riforma della sentenza gravata accertava che la linea di confine fra le due proprietà si trova all’esterno del muro dell’immobile di proprietà del L., dichiarava l’intervenuta usucapione del diritto a mantenere sul confine il corpo di fabbrica ed il canale di gronda esistente a filo del muro esterno e la servitù di veduta come esistente;

– la corte territoriale motivava la decisione asserendo che era stato sufficientemente provato che fino agli anni ‘60 c’era un muretto di confine con una rete sovrastante e che quello stesso muro nel (OMISSIS) era stato alzato dal L. fino all’altezza di un metro per fare da basamento alla veranda; pertanto, secondo la corte bresciana risultava accertato che il convenuto fin dal (OMISSIS) e per oltre vent’anni in maniera palese, indisturbata e continuata ha posseduto il muretto sopraelevando il precedente manufatto e occupando in via esclusiva l’area corrispondente;

– quanto all’obbligo del convenuto di rispettare, nella realizzazione della nuova struttura, la distanza di cinque metri, il giudice dell’appello osservava che la costruzione esistente era stata realizzata lungo il medesimo perimetro e con la stessa volumetria e, quindi, non poteva essere considerata, ai fini dell’applicazione delle distanze, una nuova costruzione;

– la cassazione di detta sentenza viene chiesta dalla sig.ra A.G. sulla scorta di ricorso affidato a quattro motivi;

– non ha svolto attività difensiva l’intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 874 c.c. e dell’art. 1158 c.c.,in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– secondo la ricorrente, il giudice dell’appello non si è avveduto del fatto che è stato del tutto omesso il rispetto dell’obbligo sancito nell’art. 874 c.c.,sulla corretta distribuzione dei diritti di proprietà del muro di confine ed, inoltre, la pronuncia gravata avrebbe falsamente applicato la disciplina dell’usucapione di cui all’artr. 1158 c.c.;

– con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– ad avviso della ricorrente, la corte d’appello avrebbe, nel considerare che il manufatto edificato nel (OMISSIS)non poteva essere considerato una nuova costruzione, erroneamente escluso l’applicazione dell’art. 873 c.c..;

– con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 900 e 905 c.c.” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– secondo la ricorrente, la corte ha errato nel ritenere accertata l’intervenuta usucapione della servitù di veduta poichè le finestre a battenti con davanzale esistenti nella struttura del (OMISSIS) non potevano identificarsi quali vedute e doveva perciò ritenersi violata la normativa relativa alla distanza per l’apertura di vedute dirette ai sensi dell’art. 905 c.c.;

– con il quarto motivo si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 889 c.c., comma 2 ed art. 1158 c.c.;

– secondo la ricorrente, appurato che non si è configurata alcuna usucapione in riferimento alla porzione di fabbricato eretto, ricorrerebbe la violazione dell’art. 889 c.c., comma 2, poichè, sebbene i canali di gronda rientrano nella categoria degli sporti, qualora si controverta della violazione delle distanze tra un canale di gronda e la linea di confine, troverebbe applicazione tale ultima disposizione;

– così enunciate le censure sollevate dalla ricorrente, osserva il collegio che il primo motivo è fondato;

– questa Corte ha chiarito che la comunione forzosa del muro divisorio posto sul confine si atteggia come proprietà pro indiviso della totalità del muro e del suolo su cui esso è eretto; non è invece configurabile un diritto di proprietà esclusiva di ciascuno dei proprietari dei fondi confinanti sul muro e sul suolo fino alla mezzeria, come se il confine tra le due proprietà coincidesse con la mezzeria del muro stesso (Cfr. Cass. 3393/1988; id. 26941/2016);

– l’uso del muro comune è poi soggetto alla disciplina dell’art. 1102 c.c., sicchè ciascun confinante può servirsi della cosa comune purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca all’altro partecipante di farne parimenti uso secondo il suo diritto;

– il mutamento del titolo, ai sensi dell’art. 1102 c.c., deve concretarsi in atti integranti un comportamento durevole, tale da manifestare un possesso esclusivo con animo domini, incompatibile con il permanere del possesso altrui sulla stessa cosa, e non soltanto in atti di gestione della cosa comune, consentiti al singolo compartecipe, ovvero in atti tollerati dagli altri (ex art. 1141 c.c.) (cfr. Cass. Sez. 2, n. 9906/2006; id., Sez. 2, n. 12775/2008);

– ne consegue che il comproprietario che deduce l’usucapione della cosa comune deve fornire la prova di averla sottratta per il periodo utile all’usucapione e cioè deve dimostrare una condotta univocamente diretta a rivelare che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso;

– in tale prospettiva l’affermazione della corte territoriale secondo la quale la sopraelevazione del muretto di confine sovrastato da rete metallica realizzata dal comproprietario L. nel (OMISSIS) e costituente la base di appoggio della veranda allora collocata sulla metà del preesistente muretto, costituirebbe espressione di un uso esclusivo del bene comune, rilevante ai fini del decorso del termine per l’uscapione, non è rispettosa del principio sancito dall’art. 1102 c.c., che presidia anche la comunione forzosa del muro di confine;

– l’uso realizzato da L. con la sopraelevazione e l’appoggio della veranda eseguito nel (OMISSIS) non era, cioè, tale da escludere analogo uso da parte del confinante e, pertanto, non costituiva uso esclusivo ai sensi dell’art. 1102 c.c., ma (solo) un uso più intenso, non determinando perciò alcuna irreversibile incisione del diritto comune;

– in altri termini, la sopraelevazione e l’appoggio della veranda lungo la linea di mezzeria del muro non configure, atteso il disposto dell’art. 1102 c.c., comma 2, un uso esclusivo, volto a negare quello dell’altro partecipante ed apprezzabile ai fini del decorso del termine ventennale per l’usucapione del diritto esclusivo del muro in questione;

– l’accoglimento del primo motivo di ricorso, è assorbente rispetto alle altre doglianze sollevate dalla ricorrente (cfr. Cass. 28663/2013);

– la sentenza impugnata va, dunque, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, affinchè riesamini le domande formulate dalle parti alla stregua del seguente principio di diritto “la sopraelevazione ad un metro del muro divisorio di confine al fine di appoggiare lungo la linea di mezzeria la struttura di una veranda non configura un uso esclusivo del muro idoneo di per sè a mutare il titolo del possesso ai sensi dell’art. 1102 c.c., ai fini dell’usucapione della quota dell’altro comproprietario”;

– la Corte d’appello di Brescia provvederà altresì alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021

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