Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7857 del 20/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7857 Anno 2016
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: BIELLI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
s.r.l. TADDEO COSTRUZIONI,

con sede a Vitulazio, viale Kennedy n. 53, in

persona del legale rappresentante Giovanni Taddeo, residente a Vitulazio,
elettivamente domiciliato in Roma via Dardanelli n, 46, presso lo studio
dell’avvocato Maurizio Spinella, e rappresentato e difeso dall’avvocato
vincenzo Natale, giusta procura speciale a margine del ricorso, nonché,
«in aggiunta», dall’avvocato Luigi Adinolfi, giusta procura a margine
della memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.;

– rlcorrente Contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore

pro teppore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura
generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 20/04/2016

- controricorrente avverso la sentenza n. 65/29/12 della Commissione tributaria regionale
della Campania, depositata il 29 febbraio 2012, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16

udito, per la ricorrente, l’avvocato Luigi Adinolfi, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito, per l’Agenzia controricorrente,l’avvocato dello Stato Mario
Capolupo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore generale dottor
Riccardo Fuzio, che ha concluso per il rigetto del ricorso per quanto di
ragione.

Ritenuto in fatto
1.— Con sentenza n. 65/29/12, depositata il 29 febbraio 2012 e non notificata, la
Commissione tributaria regionale della Campania (hinc: «CTR») accoglieva l’appello proposto
dall’Agenzia delle entrate nei confronti della contribuente s.r.l. TADDEO COSTRUZIONI avverso
la sentenza n. 571/10/2010 della Commissione tributaria provinciale di Caserta (hinc: «CTP») e, in
riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava legittimo l’accertamento per cui era causa,
condannando la contribuente al pagamento, a favore dell’Agenzia, delle spese di lite, liquidate in
complessivi € 2.818,88.
Il giudice di appello premetteva che: a) l’Agenzia delle entrate, sulla scorta di un processo
verbale redatto il 10 giugno 2008 (hinc: «pvc»), aveva emesso un avviso di accertamento con cui, ai
fini dell’IVA, dell’IRAP e dell’IRES dell’anno d’imposta 2005, aveva recuperato a tassazione, in
base al valore normale di € 796.183,50, l’imponibile non dichiarato di € 306.300,00 (rispetto al
valore dichiarato di E 489.884,00) derivante dall’alienazione in quell’anno di 14 cespiti immobiliari
siti in Vitulazio e Bellona, corrispondenti a sette immobili (cinque appartamenti; due esercizi
commerciali; sette pertinenze); b) l’avviso era motivato in base allo scostamento dei prezzi
dichiarati rispetto a quelli desumibili dall’Osservatorio del mercato immobiliare (hinc: «OMI»),
nonché in base alla circostanza che lo stesso giorno dell’acquisto di uno degli immobili, in data «17

novembre 2015 dal consigliere dottor Stefano Bielli;

marzo 2005», gli acquirenti Orsola Caimano e Fiorentino Marangone avevano registrato presso il
notaro De Luise (n. rep, 2023) un mutuo di € 155.000,00 con ipoteca sul medesimo immobile per €
232.500,00 (cioè per valori nettamente superiori al prezzo di acquisto); c) la CTP aveva accolto il
ricorso proposto dalla società avverso l’avviso; d) l’Agenzia aveva appellato la sentenza, deducendo
che l’accertamento era basato su una pluralità di presunzioni semplici, rilevanti (in quanto gravi,
precise e concordanti) ai sensi dell’art. 39, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 600 del 1973; e)

Vitulazio, era stata obbligata a vendere le unità abitative ad un prezzo massimo di € 561,01 al mq.;
e.2.) non era stato instaurato un «consapevole contraddittorio»; e.3.) i calcoli dei verificatori erano
scarsamente trasparenti; e.4.) mancavano presunzioni gravi, precise e concordanti; e.5.) pertanto il
procedimento accertativo aveva violato i limiti posti dagli artt. 24, comma 4, lettera f), e comma 5
della legge n. 88 del 2009, 39, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 600 del 1973, 7 della legge n. 212
del 2000, 3 della legge n, 241 del 1990.
Su queste premesse, la CTR, nell’accogliere l’appello, dichiarava che: a) dal pvc e dalle
integrazioni ad esso apportate dall’Agenzia delle entrate erano emerse presunzioni semplici che, nel
loro integrato complesso, ai sensi del comma 265 dell’art. 1 della legge n. 444 del 2007, potevano
essere utilizzate quale presupposto per l’accertamento induttivo ai sensi degli artt. 39, comma 2, del
d.P.R. n. 600 del 1973 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972; b) in particolare, era risultato che: b.1.) il
medesimo giorno del «18 marzo 2005», da un lato, era stato registrato il contratto di vendita di uno
degli appartamenti oggetto di accertamento per un corrispettivo dichiarato di € 72.000,00 e,
dall’altro, lo stesso acquirente — in relazione al medesimo immobile — aveva iscritto un mutuo di €
155.000,00 con accensione di ipoteca «per il valore di» € 232.500,00; b.2.) la circostanza
confermava il rilevato scostamento dei valori dichiarati rispetto ai valori normali desumibili
dall’OMI; c) la «concreta applicazione» della convenzione con il Comune di Vitulazio, recante un
limite massimo al prezzo di vendita, era stata «dimostrata dai fatti inesistente».
2.—Avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione
affidato a cinque motivi (ciascuno di essi, in realtà, composto da motivi diversi), notificato
all’Agenzia delle entrate il 23 — 25 maggio 2012 ed illustrato con memoria presentata ai sensi
dell’art. 378 cod. proc. civ.
3.—La predetta Agenzia resiste con controricorso notificato alla ricorrente il 28 giugno
2012.

Considerato in diritto
1.— Con quello che indica come primo motivo del ricorso, la società ricorrente prospetta
cumulativamente diverse censure, deducendo, senza un ordine logico preciso, che: a) la CTR era

l’appellata aveva replicato che: e.1.) in base ad una convenzione stipulata con il Comune di

incorsa in una omessa pronuncia; b) la stessa CTR era incorsa anche in una ultrapetizione; c)
l’Agenzia delle entrate, in violazione dell’art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, aveva prodotto solo in
appello («oltre i termini di legge», cioè «non [.. .] tempestivamente in primo grado») il contratto di
mutuo menzionato e considerato nell’avviso di accertamento, pur potendo tale documento essere
prodotto e richiamato tempestivamente; cl) il motivo di appello dell’Agenzia, basato sul fatto che il
mutuo stipulato per uno degli immobili era circostanza significativa anche per gli altri immobili, era

grado (in quanto l’ufficio tributario, con l’impugnato avviso, aveva inteso riferirsi, nell’àmbito dei
14 cespiti, composti da beni principali e pertinenze, per dodici di essi esclusivamente ai valori
desumibili dall’OMI e, per gli altri due, alla differenza tra l’importo del mutuo ed il corrispettivo
dichiarato) e pertanto la CTR, procedendo al suo esame, aveva violato gli artt. 112, 115, 116 e 345
cod. proc. civ.; e) la CTR, non, avendo esaminato la circostanza che l’avviso era stato concepito ed
emesso nella vigenza delle norme che attribuivano efficacia di presunzione legale ai valori OMI ed
ai valori indicati nei contratti di mutuo, aveva omesso «ogni pronuncia su un punto decisivo della
controversia riguardante questa fase interlocutoria di successione di leggi»; f) la stessa sentenza di
appello aveva poi omesso «ogni riferimento […1 sull’applicazione della legge comunitaria e sul
riconoscimento che i valori OMI costituiscono presunzioni semplici che diventano qualificate solo
se assistite da altri elementi»; g) la CTR non si era pronunciata «sulle argomentazioni e difese
evidenziate dal contribuente», tanto da integrare «un difetto di attività del giudice […]» con
«violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 112 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c. nr. 3 e 5)». Il
complesso “motivo” è preceduto dal titolo «violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c.,
345 e 346 c.p.c.; violazione ed errata applicazione degli artt. 112 — 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 32
Dlgs. nr. 546/92; omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art.
360 c.p.c. nr. 3 e 5»
1.1.— Il primo “motivo’: di ricorso è inammissibile.

1.1.1.— Per una migliore comprensione dei termini della controversia è opportuno premettere
brevi cenni sul quadro normativo in cui si inserisce la fattispecie oggetto del giudizio.

L’art. 62 sexies (rubricato come «Attività di accertamento nei riguardi di contribuenti

obbligati alla tenuta delle scritture contabili), comma 3, del decreto-legge n. 331 del 1993,

convertito, con modificazioni, dalla legge n. 427 del 1993, nel testo in vigore dal 25 aprile 2001,
stabilisce che: «3. Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e successive modificazioni, e 54 del decreto
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni, possono essere
fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati

nuovo rispetto sia al pvc, sia all’avviso di accertamento, sia alle difese svolte dalle parti in primo

e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica
attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del presente decreto.».
L’art. 35, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006 (cosiddetto “decreto Visco Bersani”), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006 (decreto in vigore dal 4 luglio
2006; tuttavia, al comma 2 dell’art. 35 risultano apportate modifiche di carattere formale dalla legge
di conversione, entrata in vigore il 12 agosto 2006), aveva inserito nell’art. 54, terzo comma, del

ad oggetto beni immobili e relative pertinenze, la prova [.. .] s’intende integrata anche se l’esistenza
delle operazioni imponibili o l’inesattezza delle indicazioni di cui al secondo comma sono desunte
sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi dell’articolo 14 del presente
decreto». Lo stesso art. 35, con il comma 3, del citato del decreto-legge n. 223 del 2006 (decreto
in vigore dal 4 luglio 2006; tuttavia, al comma 3 dell’art. 35 risultano apportate modifiche di
carattere formale dalla legge di conversione, entrata in vigore il 12 agosto 2006), aveva inoltre
inserito nell’art. 39, primo comma, lettera d), del d.P.R. n. 600 del 1973 (ai fini delle imposte sui
redditi), una disposizione analoga alla precedente ed in base alla quale «Per le cessioni aventi ad
oggetto beni immobili, ovvero la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento sui
medesimi beni, la prova […I si intende integrata anche se l’infedeltà dei ricavi viene desunta sulla
base del valore normale dei predetti beni determinato ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del testo
unico delle imposte sui redditi». Tali norme introducevano, perciò, presunzioni legali relative che
consentivano all’ente impositore di rettificare la dichiarazione del contribuente sulla base del solo
scostamento tra il corrispettivo dichiarato per le cessioni di beni immobili (e relative pertinenze) e il
valore normale degli stessi, determinato (in forza dell’art. 1, comma 307, della legge n. 296 del
2006 — legge finanziaria 2007 — e del provvedimento direttoriale del 27 luglio 2007, emesso in
attuazione di tale legge e con il quale erano indicati i criteri utili per la determinazione del valore
normale dei fabbricati ai sensi dell’articolo 14 del decreto n. 633 del 1972 e dell’articolo 9, comma
3, del testo unico delle imposte sui redditi), secondo i valori OMI ed i coefficienti di merito relativi
alle caratteristiche dell’immobile, integrati dalle altre informazioni in possesso degli uffici tributari.
Tali nuove disposizioni erano state originariamente ritenute, dall’amministrazione
finanziaria, di natura “procedimentale” e, quindi, applicabili anche ad accertamenti relativi ad anni
d’imposta precedenti al 4 luglio 2006 (data di entrata in vigore del suddetto decreto “Visco Bersani”). L’art. 1, comma 265, della legge n. 244 del 2007, in vigore dal 10 gennaio 2008, aveva
però stabilito che le indicate presunzioni legali (basate sul valore normale) si applicavano soltanto
per gli atti formati a decorrere dal 4 luglio 2006, mentre, per gli atti formati anteriormente,
valevano, «agli effetti tributari, come presunzioni semplici» («265. In deroga all’articolo l, comma

d.P.R. n. 633 del 1972 (ai fini dell’IVA) una disposizione in base alla quale «per le cessioni aventi

2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, per gli atti formati anteriormente al 4 luglio 2006 deve
intendersi che le presunzioni di cui all’articolo 35, commi 2, 3 e 23 bis, del decreto- legge 4 luglio

2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, valgano, agli effetti
tributari, come presunzioni semplici.»).
Successivamente la Commissione europea, con riferimento alla procedura di infrazione n.
2007/4575, aveva espresso il parere che tale disciplina nazionale italiana, per quanto riguardava

2006/112/CE, secondo cui la base imponibile IVA «comprende tutto ciò che costituisce il
corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte
dell’acquirente destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il
prezzo di tali operazioni».
In considerazione di tale parere, l’art. 24 (rubricato come «Adeguamento comunitario di
disposizioni tributarie»), commi 4, lettera f), e 5, della legge n. 88 del 2009 (Disposizioni per
l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee — Legge
comunitaria 2008), in vigore dal 29 luglio 2009, ha sostituito sia la lettera d) del primo comma 1
dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 (in tema di imposte sui redditi), sia il terzo comma dell’art. 54
del d.P.R. n. 633 del 1972 (in tema di IVA), eliminando le sopra riportate disposizioni introdotte
dall’art. 35 del decreto-legge n. 223 del 2006 e stabilendo la seguente disciplina: a) lettera d) del

primo comma 1 dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973: «Per i redditi d’impresa delle persone
fisiche l’ufficio procede alla rettifica: [.. .] d) se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli
elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture
contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della completezza,
esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e
documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti
dall’articolo 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è
desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e
concordanti.»; b) terzo comma dell’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972: «L’ufficio può tuttavia
procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente
qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella
dichiarazione, o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla
detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture di
cui ai numeri 2), 3) e 4) del secondo comma dell’articolo 51, dagli elenchi allegati alle dichiarazioni
di altri contribuenti o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti,
nonché da altri atti e documenti in suo possesso».

l’IVA sulle cessioni immobiliari, fosse incompatibile con l’art. 73 della Direttiva comunitaria

1.1.2.— L’inammissibilità del motivo discende da una pluralità di autonome ragioni.
In primo luogo, il motivo è inammissibile, perché è inestricabilmente cumulativo e
promiscuo e perché prospetta vari profili di censura non presentati in modo distinto. In secondo
luogo, il motivo è inammissibile perché formulato in modo confuso e generico (come risulta dal
sunto esposto al punto 1.), senza possibilità di individuare in modo certo gran parte delle censure. In
terzo luogo, il motivo è inammissibile, perché è privo di autosufficienza in relazione alle deduzioni

relativa alla produzione docuMentale in appello), sarebbe comunque palesemente infondata. In
proposito va ricordato che la produzione di documenti in appello è espressamente ammessa dall’art.
58 del d.lgs. n. 546 del 1992 e non è corretto distinguere, come fa il ricorrente nella memoria, tra
prova nuova inammissibile contenuta in un documento (che sarebbe inammissibile in appello) e
documento non costituente prova (che sarebbe inammissibile in appello). Inoltre il

thema

decidendum è fissato dall’avviso ed il contratto di mutuo è in esso menzionato. Quanto
all’argomentazione che la discrepanza prezzo dichiarato/mutuo e ipoteca per un immobile rende
verosimili i dati OMI per gli altri immobili (evidentemente la CTR ha accertato che v’era una
analoga entità della discrepanza per gli altri immobili e ha valutato i prezzi OMI topograficamente e
temporalmente vicini) non è rilievo estraneo all’accertamento impugnato, ma integra una mera
difesa dell’Agenzia nell’ambito dello stesso thema decidendum. Infine, contrariamente all’assunto
della parte ricorrente, l’omessa pronuncia può riguardare solo le domande, non anche le
argomentazioni difensive.

2.— Con quello che indica come secondo motivo del ricorso, la società ricorrente prospetta
cumulativamente diverse censure, deducendo, anche qui senza un ordine logico preciso, che: a) la
CTR aveva violato il principio secondo cui, per presumere ricavi superiori a quelli contabilizzati,
occorrono circostanze e prove gravi, precise e concordanti; b) la stessa CTR, senza adeguata
motivazione e con «errore di applicazione della norma», aveva ritenuto che rendevano legittimo
l’avviso di accertamento «concorrenti presunzioni semplici […] quelle costituite dal contratto di
mutuo stipulato nella medesima data dell’atto di trasferimento tra la società e l’acquirente, tra
quest’ultimo e l’istituto di credito per importi diversi»; c) all’epoca (2005) non era concesso
all’amministrazione finanziaria basare la propria pretesa tributaria sulla «sola constatazione di un
prezzo di vendita inferiore al valore normale dell’immobile ceduto ricavato peraltro da un contratto
di mutuo dove non vi era stata né coincidenza delle parti né assoluta partecipazione del venditore» e
ciò a prescindere dall’evoluzione legislativa in materia, che, dopo il decreto Bersani del 4 luglio
2006 (il quale aveva elevato a rango di presunzione legale la differenza tra valore normale del bene
e il corrispettivo dichiarato), la legge finanziaria del 2008 e la legge comunitaria n. 88 del 2008

fatte nei gradi precedenti. Occorre aggiungere che la censura, ove è comprensibile (come quella

avevano ricondotto a mera presunzione semplice «l’accertamento di un prezzo inferiore a quello
considerato di mercato»; d) il semplice scostamento del prezzo dai valori OMI, anche se correlato
ad altro indizio quale il mutuo maggiore rispetto al prezzo di acquisto, non era sufficiente ad
integrare una presunzione grave precisa e concordante ai sensi dell’ art. 39 del d.P.R. n. 600 del
1973, in mancanza di altri elementi (come la contabilità; i costi d’impresa contabilizzati; la
«ricostruzione comparativa degli importi mutuati dagli acquirenti rispetto ai costi finali dei mutui
contratti»; e simili).

comma 2 DPR nr. 600/1973 e dell’art. 1 comma 265 della legge nr. 244/2007 e success. modifiche;
carente ed insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360
c.p.c. nr. 3 e 5»
2.1.— Anche il secondo “motivo” di ricorso è inammissibile perché è inestricabilmente
cumulativo e promiscuo e perché prospetta vari profili di censura non presentati in modo distinto. In
secondo luogo, il motivo è inammissibile perché formulato in modo confuso e generico (come
risulta dal sunto esposto al punto 2.). V’è inoltre difetto di autosufficienza, mancando l’indicazione
dei luoghi processuali sui quali si fonda il ricorso. Si deve sottolineare che con il motivo non
vengono dedotti fatti contrastanti con la motivazione della sentenza, ma si chiede
(inammissibilmente) una nuova valutazione dei fatti. Oltre a ciò non viene esposta la violazione di
legge Occorre aggiungere che, comunque, per i passi intellegibili, il ricorso sarebbe anche
infondato, perché la CTR ha fondato il suo convincimento sul rilievo (ritenuto integrare una serie di
elementi gravi, precisi e concordanti) che la diversità tra l’importo mutuato per l’acquisto di uno
degli immobili e il valore indicato per l’ipoteca su di esso accesa giustificava l’attendibilità dei
valori normali desumibili dall’OMI non solo per l’immobile in questione, ma anche per tutti gli altri
immobili ceduti nel 2005 dalla contribuente). I dati 0M1, in realtà, sono stati trattati dalla CTR
come indizi e non come sostitutivi di valori di stima: l’indizio dello scostamento di valore è
considerato in unione con quello derivante dal valore ipotecato e dalla prossimità temporale (2005)
di tutte le vendite similari nella zona (con analogo scostamento di valore rispetto ai dati OMI)
3.— Con quello che indica come terzo motivo del ricorso, la società ricorrente prospetta
cumulativamente diverse censure, deducendo, senza un ordine logico preciso, le stesse
argomentazioni di cui al “motivo” precedente, aggiungendo che la decisione di appello aveva
violato, per le stesse ragioni, anche l’art. 116 cod. proc.civ. e lamentando che non erano state tenute
in alcun conto «le prove acquisite e quanto dedotto dalla difesa del contribuente» (come la

convenzione stipulata con il Comune di Vitulazio, con la quale la contribuente si era impegnata a
trasferire gli immobili «ad un prezzo fisso», tale da non discostarsi da quello concordato nell’atto di

Il complesso “motivo” è preceduto dal titolo «violazione e falsa applicazione dell’art. 39,

vendita e documentato con estratto conto bancario e con bonifico»).
Il complesso “motivo” è preceduto dal titolo «violazione ed errata applicazione dell’art. 39
DPR nr. 1973/600, comma secondo, e dell’art. 54, comma 2, del dpr 633/1972, dell’art. 2729 e
2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. nr. 3 e 5; omessa motivazione su un punto fondamentale
della controversia».
3.1.— Il terzo “motivo” di ricorso (che riproduce sostanzialmente le stesse censure del
precedente “motivo”) è inammissibile per ragioni analoghe a quelle di cui al secondo motivo: è

viene riportato il testo della convenzione; non sono precisate le deduzioni e le prove addotte; non è
riassunta o riprodotta la documentazione contabile e bancaria); non indica i fatti da cui risulterebbe
applicata la convenzione, nonostante che la CTR abbia rilevato in punto di fatto che, almeno nel
caso del mutuo, ne è provata la non applicazione; non precisa alcunché in ordine agli immobili siti
nel Comune di Bellona (per il quale non si deduce che sia stata stipulata alcuna convenzione);
richiede, in sostanza, una nuova valutazione dei fatti; non precisa in cosa consista la violazione di
legge.
4.— Con quello che indica come quarto motivo del ricorso, la società ricorrente prospetta
cumulativamente diverse censure, deducendo, senza un ordine logico preciso, che: a) l’ufficio
tributario non aveva precedentemente contestato la regolarità ed attendibilità delle scritture contabili
e non aveva addotto ulteriori elementi di prova di ricavi occultati, «come i prezzi praticati in altre
compravendite fra privati nella stessa zona e nello stesso periodo»; b) il contratto di mutuo,
stipulato tra parti diverse, non era opponibile alla società contribuente; c) le quotazioni OMI erano
approssimative e costituivano elementi non integranti presunzione qualificata; d) il sistema OMI era
abrogato; e) su tali punti non era intervenuta alcuna pronuncia della CTR; e) il criterio adottato dalla
CTR non era compreso tra quelli di cui all’art. 72 della Direttiva 2006/112/CE, la quale «non
prevede la individuazione di alcuna soglia minima»; 0 il giudice di appello non aveva emesso
alcuna pronuncia sul punto, «ampiamente sollevato dalla difesa della società ricorrente», circa la
portata del comma 2 dell’art. 35 del decreto-legge n. 223 del 2006, il quale consente la rettifica solo
ai fini dell’IVA e non anche ai fini delle imposte dirette.
Il complesso “motivo” è preceduto dal titolo «Omessa pronuncia ed errata interpretazione
dell’art. 24, comma 4, lett. f) e 5 della legge 07/07/2009, n. 88 (legge comunitaria 2008) e dell’art.
54 del DPR. nr. 633/72 e dell’art. 39 DPR 600/73, nonché dell’art. 35, commi 2, 3 e 23-bis del DL
2006/223, Violazione ed errata applicazione delle suddette norme e dell’art. 112, 115 e 116 c.p.c.»
4.1.— Il quarto “motfro” di ricorso è, al pari degli altri, inammissibile, perché: è
inestricabilmente cumulativo; è confuso nell’esposizione; non è autosufficiente (in particolare, con

inestricabilmente cumulativo; è confuso nell’esposizione; non è autosufficiente (in particolare: non

riferimento alle precedenti deduzioni ed impugnazioni); è lacunoso (vengono indicate come violate
varie disposizioni di legge in ordine delle quali non viene illustrata la violazione); con esso non
vengono dedotti fatti contrastanti con la motivazione della CTR; richiede (inammissibilmente) una
nuova valutazione dei fatti; è contraddittorio (nella parte in cui, da un lato, lamenta la mancata
considerazione dei «prezzi praticati in altre compravendite fra privati nella stessa zona e nello stesso
periodo»; e dall’altro, nel medesimo ricorso, dà per pacifico che l’ufficio tributario ha preso in
considerazione i prezzi OMI ed i coefficienti del provvedimento direttoriale in relazione, come deve

aggiungere che la censura, nei punti in cui è comprensibile, sarebbe comunque palesemente
infondata. In proposito va osservato che la parte ricorrente confonde tra omessa pronuncia su una
domanda ed il rigetto implicito di un’ argomentazione. Inoltre, se è vero che il comma 2 dell’ art, 35
del decreto-legge n. 223 del 2006 consente la rettifica solo ai fini dell’IVA, è anche vero che il
comma 3 dello stesso art. 35 consente la rettifica ai fini delle imposte dirette.
5.— Con quello che indica come quinto motivo del ricorso, la società ricorrente prospetta
cumulativamente diverse censure, deducendo, senza un ordine logico preciso, che: a) la differenza
tra il corrispettivo dichiarato ed il maggiore importo del mutuo necessario per l’acquisto riguardava
un solo immobile e non consentiva di ribaltare sulla contribuente l’onere di provare l’effettività del
prezzo pattuito per tutti gli immobili; b) sulla relativa eccezione non v’era stata pronuncia della
CTR ed erano stati perciò violati gli ara. 112 e 115 cod. proc. civ.; e) il giudice non aveva
considerato che gli elementi indicati nella motivazione della sentenza di appello non integravano
presunzioni qualificate (il mutuo non era stato stipulato contestualmente all’acquisto immobiliare,
ma autonomamente e con atto separato, senza partecipazione della società venditrice, e poteva
essere stato acceso per una serie di esigenze ulteriori a quella dell’acquisto ; «era stato percepito in
modo errato e diverso rispetto alla sua consistenza il contenuto» della convenzione con il Comune
di Vitulazio); d) la CTR era incorsa in «errore in procedendo», perché aveva attribuito al mutuo
(certamente successivo alla compravendita, posto che ad esso accedeva la prestazione di una
garanzia ipotecaria sul medesimo bene immobile) un contenuto contrastante sia con l’atto di
compravendita tra la società venditrice e gli acquirenti coniugi Malangone, sia con il mutuo
stipulato tra tali coniugi e l’Istituto di credito mutuante; e) era erroneo supporre una corrispondenza
tra il valore del bene venduto e l’entità del mutuo stipulato dai Malangone.
Il complesso “motivo” è preceduto dal titolo «violazione ed errata applicazione degli artt.
2697 c.c., 2700 c.c.; dell’art. 39 lett. D) DPR 600/1973 e dell’art. 1, comma 265 1. 244/2007, in
relazione all’art. 112 c.p.c. e 360 nr. 3 e 5. Omessa, carente ed insufficiente motivazione su un
punto decisivo della controversia»

ritenersi, alle compravendite fra privati nella stessa zona e nello stesso periodo). Occorre

5.1.— Il quinto “motivo” di ricorso è anch’ esso inammissibile. Le ragioni di
inammissibilità sono analoghe a quelle indicate nei punti precedenti. Infatti, il motivo: è
inestricabilmente cumulativo; è confusamente formulato; non è autosufficiente (con riferimento alle
precedenti deduzioni ed impugnazioni e specialmente con riguardo al contenuto dei contratti
richiamati, ivi compresa l’ipoteca); non è pertinente in relazione alla effettiva rilevanza dell’ipoteca
(la quale, contrariamente a quanto sembra presumere la contribuente, incide nella valutazione della
CTR non tanto in relazione alle esigenze del mutuo, quanto soprattutto per la determinazione del

ordine delle quali non viene illustrata la violazione); non coglie la ratio decidendi, perché la
sentenza di appello si basa sul rilievo che la discrepanza prezzo dichiarato/mutuo e ipoteca per un
immobile rende verosimili i dati OMI per gli altri immobili (in tal modo deve ritenersi che la CTR
abbia valutato che v’era una analoga entità di scostarnento dei valori per gli altri immobili e che
abbia valutato i prezzi OMI per immobili e compravendite topograficamente e temporalmente
vicini); richiede (inammissibilmente) una nuova valutazione dei fatti; è contraddittorio (nella parte
in cui, come nel precedente “motivo” di ricorso, da un lato, lamenta la mancata considerazione dei
«prezzi praticati in altre compravendite fra privati nella stessa zona e nello stesso periodo»; e
dall’altro, nel medesimo ricorso, dà per pacifico che l’ufficio tributario ha preso in considerazione i
prezzi OMI ed i coefficienti del provvedimento direttoriale in relazione alle compravendite fra
privati da presumersi effettuate nella stessa zona e nello stesso periodo). Occorre aggiungere che la
censura, nei punti in cui è comprensibile, sarebbe comunque palesemente infondata. In proposito va
osservato che la parte ricorrente confonde tra omessa pronuncia su una domanda ed il rigetto
implicito di un’argomentazione.

6. Le spese di lite del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i motivi di ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla
controricorrente Agenzia delle entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in
complessivi € 6.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, il 16 novembre 2015.

valore del bene ipotecato); è lacunoso (vengono indicate come violate varie disposizioni di legge in

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