Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7856 del 20/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7856 Anno 2016
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: BIELLI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Michele CASABURI,

residente a Cisterna di Latina (LT), via Tivera n. 20,

elettivamente domiciliato in Roma, via F. Siacci n. 4, presso lo studio
dell’avvocato Alessandro Voglino, che lo rappresenta e difende giusta
procura speciale a margine del ricorso,

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore pro tempore, domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello
Stato, che la rappresenta e difende

controricorrente

avverso la sentenza n. 449/40/09 della Commissione tributaria

Data pubblicazione: 20/04/2016

regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, depositata il 30 giugno
2009, non notificata;
udita la relazione della causa svolta

nella pubblica udienza del 16

no~bLe 2015 dal consigliere dottor Stefano biellì;

l’accoglimento del ricorso;
udito, per l’Agenzia controricorrente, l’avvocato dello Stato Mario
Capolupo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.m., nella persona del sostituto Procuratore generale dottor
Riccardo Fuzio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Ritenuto in fatto
1.— Con sentenza n. 449/40/09, depositata il 30 giugno 2009 e non notificata, la
Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina (hinc: «CTR»), rigettava
l’appello proposto dal contribuente Michele CASABURI nei confronti dell’Agenzia delle entrate,
avverso la sentenza n. 349/08/2006 della Commissione tributaria provinciale di Latina (hinc:
«CTP»), con compensazione delle spese di lite per «giusti motivi».
Il giudice di appello premetteva che: a) a séguito di una verifica fiscale compiuta dalla
Guardia di finanza di Cisterna di Latina nei confronti del CASABURI (titolare di una ditta
individuale svolgente attività di commercio all’ingrosso ed al minuto di prodotti di abbigliamento e
biancheria) era risultato un conto aziendale di complessive lire 499.984.800, denominato
«finanziamenti personali», delle quali solo lire 106.884.800 erano state documentalmente
giustificate, a séguito di specifica richiesta di chiarimenti; b) l’Agenzia delle entrate, in base al
processo verbale di constatazione redatto a séguito della verifica (hinc: «pvc»), aveva ripreso a
tassazione — ai fini dell’IRPEF, dell’IRAP e dell’IVA del 1999 — il (non giustificato) residuo di lire
393.100.000 ed il conseguente avviso di accertamento era stato impugnato dal contribuente davanti
alla CTP, che aveva rigettato il ricorso; c) il medesimo contribuente aveva interposto appello
avverso tale sentenza deducendo (per quanto qui interessa) sia che il conto aziendale aveva solo
«natura patrimoniale» e funzione di mera «memoria e […J di controllo per l’andamento finanziario
dell’azienda», sia che la verifica non aveva rilevato manchevolezze formali o sostanziali (data la
quadratura delle rimanenze), sia che, comunque, l’Agenzia aveva erroneamente considerato detti

udito, per il ricorrente, l’avvocato Alessandro Vaglino, che ha chiesto

importi non come maggiori ricavi (dai quali dovevano essere detratti i costi), ma come maggiore
reddito netto; d) secondo l’appellata, invece, le somme versate sul conto aziendale costituivano non
risparmi personali o prestiti in contanti da parte di familiari (come sostenuto dal CASABURI), ma il
provento di vendite non contabilizzate.
Su queste premesse, la CTR, rigettando l’appello, rilevava (sempre per quanto qui interessa)
che: a) era legittima e ragionevole la presunzione (iuris tantum) secondo cui le somme confluite sul
conto aziendale costituivano proventi non dichiarati; b) il contribuente non aveva fornito (neppure

dimostrato (come pure avrebbe in astratto potuto) il suo assunto (peraltro in sé non attendibile, data
la rilevante entità degli importi) che le somme derivavano da risparmi personali e da prestiti in
contanti da parte di familiari; c) i ricavi cosi presunti, in quanto stabilizzati in un conto aziendale,
dovevano ritenersi la patrimonializzazione del reddito netto conseguito e, pertanto, da essi non
andavano detratti costi, oltretutto non dimostrati.
2.— Avverso la sentenza di appello, il contribuente, dichiarando un valore di circa E
«350.000,00», ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi e notificato il 24 — 25
febbraio 2010.
3.—L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso notificato il 10 aprile 2010.

Considerato in diritto
1.— Con il primo motivo del ricorso, corredato da quesito di diritto, il contribuente
denuncia — in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. — la violazione o falsa
applicazione degli artt. 32 , comma 1, numeri 2 e 7, e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, 51, comma 2,
numeri 2 e 7, e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, 2700, 2727 e 2729 cod. civ.; il tutto in ragione
dell’«omesso rilievo della denunciata illegittimità dell’impugnato avviso di accertamento perché
adottato in carenza dei necessari presupposti e riscontri probatori di legge». Secondo il ricorrente, la
CTR, nel fondare la sua decisione «esclusivamente sulla presunzione» — consentita solo per le
risultanze bancarie regolarmente acquisite — che le somme contabilizzate nel conto patrimoniale
(denominato “finanziamenti personali”) costituivano provento di vendite, ha violato le sopra
evocate norme. In tal modo infatti — prosegue il ricorrente — il giudice di appello ha arbitrariamente
equiparato il conto patrimoniale aziendale ad un conto corrente bancario, facendo uso di una unica e
labile presunzione, priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in quanto basata su fatti
privi di certezza e concretezza, traendo conclusioni in violazione del divieto del praesumptum de
praesumpto e, soprattutto, senza considerare che l’appostazione contabile aveva la sola funzione di
far chiarezza nei rapporti economico-finanziari (per memoria e per controllo) tra la ditta individuale
ed il suo titolare, tanto piú che i verificatori avevano accertato la riconciliazione tra l’inventario

con mezzi di prova atipici) la prova contraria a detta presunzione e, in particolare, non aveva

analitico delle rimanenze e la contabilità (regolarmente tenuta). Formula il seguente quesito di
diritto: «se […] incorra nella prospettata violazione [..] la sentenza tributaria che manchi di
decretare l’illegittimità o comunque l’erroneità e infondatezza dell’avviso di accertamento recante
la determinazione in aumento di pretesi maggiori ricavi e valori imponibili basata esclusivamente
sulla presunzione che le somme conferite dal titolare a finanziamento personale della propria
omonima impresa individuale, regolarmente contabilizzate nell’apposito conto di natura

finanziamenti personali, costituiscano il provento di vendite realizzate nell’attività d’impresa, non
fatturate e non contabilizzate».
1.1.— Il primo motivo del ricorso è inammissibile per diverse ed autonome ragioni. In
primo luogo, nel quesito non è effettuata la necessaria comparazione tra la regula iuris applicabile e
quella (in tesi errata) applicata. In secondo luogo, il quesito è astratto e non ha piena corrispondenza
con il motivo, perché il quesito si basa esclusivamente sulla asserzion*stratta inidoneità di una
presunzione di ricavi basata sul predetto conto patrimoniale inserito nella contabilità aziendale,
mentre il motivo afferma l’inesistenza di requisiti di precisione concordanza ed univocità, allegando
una diversa funzione asseritamente svolta dal conto e la violazione del divieto di presunzioni a
catena, In terzo luogo, la censura si risolve in una richiesta di rivalutazione degli elementi di prova,
non in una denuncia di violazione di legge: la base della presunzione è costituita dal fatto
dell’esistenza del conto aziendale e dalla mancata giustificazione della provenienza delle somme in
esso indicate e la idoneità probatoria di tale fatto (ritenuta dal giudice) discendt dalla valutazione
delle circostanze e non da una errata interpretazione della legge o sussunzione in essa. In quarto
luogo, la circostanza che la presunzione sia unica è irrilevante, essendo necessaria e sufficiente la

sua adeguatezza probatoria (basta una, se adeguata). In quo luogo, poiché la presunzione è stata
ritenuta idonea dalla CTR (non rileva la circostanza che si è in presenza di un conto aziendale e non
di un dc bancario), il ricorrente doveva eventualmente censurare l’idoneità motivazionale di tale
valutazione della CTR. In .T.tyìto luogo, resta oscura la censura di violazione del divieto del
praesumptum de praesumpto (non viene chiarito in cosa consista l’asserita “catena di presunzioni”,

venendo in rilievo, nella specie, solo un unitario procedimento inferenziale, costituito da una serie
di passaggi logici) e comunque non sussiste nel nostro ordinamento il divieto invocato dalla parte
ricorrente (tra le molte, vedi Cass., n. 983, n. 1289 e n. 18915 del 2015, le quali evidenziano che il
fatto noto costitutivo della premessa inferenziale può ben identificarsi in presunzioni — anche non
legali — purché “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ.). In seàtkluogo, il
motivo non è autosufficiente, non essendo indicati e dettagliatamente riportati o riassunti i singoli
elementi documentali posti a base della censura.

patrimoniale a tal fine acceso nel piano della contabilità aziendale con la denominazione di conto

2.—Con il secondo motivo del ricorso, corredato da un “momento di sintesi”, il contribuente
denuncia — in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. — la motivazione
insufficiente della sentenza «in relazione ai fatti controversi e decisivi […] riguardanti la denunciata
insussistenza di elementi idonei a supportare l’unica presunzione posta a base dell’accertamento e
l’allegata provenienza delle somme conferite dal contribuente a finanziamento della sua impresa
personale». Secondo il ricorrente, la CTR, incorrendo in una evidente petizione di principio, non ha

dimostrare la legittimità e ragionevolezza dell’«unica illazione presuntiva» posta a fondamento
della decisione (e cioè la riconduzione del “conto finanziamenti personali” a proventi di vendite non
contabilizzate) né ha confutato singolarmente «tutte le deduzioni formulate sul punto dal
contribuente» (in particolare, non ha evidenziato le ragioni della non verosimiglianza della
provenienza di tali somme da risparmi personali e da prestiti da parte di familiari).

2.1.— Il secondo motivo del ricorso è inammissibile, anche qui per diverse ed autonome
ragioni. In primo luogo, nel cosiddetto quesito motivazionale non sono indicati i fatti contrastanti
con la ricostruzione operata in sentenza, ma argomentazioni già prese in considerazione dalla CTR
e motivatamente ritenute non idonee ad inficiare la pretesa tributaria (dato il riscontrato difetto di
prova della provenienza delle somme da prestiti o risparmi). In secondo luogo, la censura non è
idonea ad evidenziare un vizio motivazionale, ma prospetta solo una diversa valutazione degli
elementi di prova: come si è sopra sottolineato 44 Wsgskatotieoti~tori# la base della presunzione è
costituita dal fatto dell’esistenza del conto aziendale e dalla mancata giustificazione della
provenienza delle somme in esso indicate, restando irrilevante la mancanza di altri elementi a carico
(ove non contrastata da rilevanti elementi a favore). In terzo luogo il giudice, nella sua decisione
non è obbligato a confutare rix tutte le singole argomentazioni della parte, essendo sufficiente che dia
conto di un non arbitrario o illogico percorso motivazionale, idoneo a rendere adeguata una
complessiva valutazione dei fatti (ex plurimis, Cass. n. 2751 e n. 5964 del 2001).

3.—Con il terzo motivo del ricorso, corredato da quesito di diritto, il contribuente denuncia
— in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. — la violazione o falsa applicazione
degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, 5 e 25 del d.lgs. n. 446 del 1997, 54 del d.P.R. n. 633 del
1972, 53 e 97 Cost., in relazione all’«omesso rilievo della denunciata illegittimità dell’avviso di
accertamento impugnato per la mancata deduzione dei costi sostenuti dall’impresa in dipendenza
dei presunti maggiori ricavi e valori imponibili accertati». Secondo il ricorrente, la determinazione
induttiva dei ricavi, come nella specie, esige invece (secondo quanto denunciato anche nel quesito
di diritto) la considerazione dell’incidenza percentuale dei costi relativi a tali maggiori ricavi,
componenti e volume d’affari presuntivamente accertati».

indicato (come denunciato anche nella sintesi apposta in calce al motivo) gli elementi idonei a

3.1.— Il terzo motivo del ricorso è inammissibile, per diverse ed indipendenti ragioni. In
primo luogo, il motivo non è pertinente alla rafia decidendi: la CTR ha ritenuto fondata la
presunzione dell’appostazione di un reddito netto, motivata con un duplice rilievo: a) in linea
principale, perché gli importi ripresi a tassazione, in quanto stabilizzati in un conto aziendale,
debbono ritenersi integrare la patrimonializzazione del reddito netto conseguito (e, quindi, al netto
dei costi); b) in linea ulteriore e subordinata, perché tali costi, comunque, non sono dimostrati (art.

del contribuente di mostrare l’esistenza ed inerenza di costi; onere, nella specie ritenuto non assolto.
In secondo luogo, va rilevato che, contrariamente a quanto sembra ritenere il ricorrente, non si è in
presenza di una determinazione del reddito induttiva, ma solo dell’applicazione del metodo
analitico-induttivo. Ciò comporta la valutazione dei costi solo se dimostrati esistenti ed inerenti
(prova che la CTR dichiara non essere stata fornita nella specie). In terzo luogo, è
inammissibilmente censurata la valutazione in fatto operata dalla CTR nella parte in cui esclude la
deducibilità di costi perché , il reddito è stato ritenuto appostato al netto (e perché, con
argomentazione ad abundantiam, i costi comunque non sono stati dimostrati dal contribuente, sul
quale incombeva il relativo onere),In altri termini, non viene in rilievo una erronea interpretazione o
applicazione di una norma e non si rientra nel perimetro della denunciata violazione o falsa
applicazione di legge.

4. Con il quarto motivo del ricorso, corredato da un “momento di sintesi”, il contribuente

denuncia — in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. — la motivazione
insufficiente della sentenza «in relazione al fatto controverso e decisivo […1 riguardante la
denunciata mancata considerazione dell’incidenza percentuale dei costi relativi ai presunti maggiori
ricavi e valori imponibili accertati». Secondo il ricorrente, la CTR non ha indicato le ragioni della
mancata considerazione dei costi relativi ai maggiori ricavi e, in particolare, non ha motivato il
rigetto «delle opposte deduzioni formulate sul punto dal contribuente».

4.1. Il quarto motivo del ricorso è inammissibile e comunque infondato.

Il “quesito motivazionale” è astratto (e, dunque, rende inammissibile il motivo), perché non
precisa quali siano i fatti integranti le «opposte deduzioni formulate sul punto dal contribuente» e
perché la «mancata considerazione dell’incidenza percentuale dei costi» (pacificamente non provati
dalla parte) non è un fatto.
Il motivo è comunque infondato, perché (come rilevato supra, nei punti 3.1. e 4.1.) la
mancata considerazione dei costi è motivata dalla CTR con un duplice rilievo: a) in linea principale,
perché gli importi ripresi a tassazione, in quanto stabilizzati in un conto aziendale, debbono ritenersi
la patrimonializzazione del reddito netto conseguito (e, quindi, al netto dei costi); b) in linea

109 TUIR). Appare evidente che la CTR ha ritenuto (correttamente) che fosse onere probatorio lék

subordinata, perché tali costi, comunque, non sono stati dimostrati dal contribuente, come sarebbe
stato suo onere. Dunque, il punto è pienamente motivato e (come ricordato) non debbono essere
confutate le singole argomentazioni della parte (non probatoriamente corroborate).
5.—Con il quinto motivo del ricorso, corredato da un quesito di diritto, il contribuente
censura — in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. — l’«omessa pronuncia sulla
denunciata carenza di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato», in riferimento all’art.

ribadito in appello) l’unicità ed inconsistenza della presunzione da cui muoveva l’impugnato
avviso, tale da renderlo del tutto immotivato, specie in considerazione della mancata indicazione
delle ragioni dell’inattendibilità della contabilità / e comunque illogicamente argomentato: su tale
punto la CTR non aveva pronunciato.

5.1.— Il quinto motivo del ricorso è infondato. Contrariamente a quanto affermato dal
ricorrente, la CTR si è pronunciata, anche se implicitamente, sul punto denunciato, perché: a) nelle
premesse riferisce che l’impugnato avviso è motivato con l’esistenza di un conto aziendale di
complessive lire 499.984.800, denominato «finanziamenti personali», delle quali solo lire
106.884.800 erano state documentalmente giustificate, a séguito di specifica richiesta di chiarimenti
da parte dei verificatori; b) successivamente, nel rilevare che la giustificazione fornita dal
contribuente circa le somme confluite nel conto (risparmi personali e prestiti in contanti da parte di
familiari) era priva di riscontri ed era inattendibile (data la notevole entità degli importi), conferma
l’esistenza e l’adeguatezza della motivazione dell’avviso. Ove poi il ricorrente, con il motivo in
esame, avesse voluto dedurre un vizio di motivazione della sentenza, la censura sarebbe stata
inammissibile, perché non riconducibile all’invocato art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
6.—Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente Agenzia delle
entrate le spese di lite, che si liquidano in €4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, il 16 novembre 2015.
Il consigliere estensore

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112 cod. proc. civ. Secondo il ricorrente, infatti, era stata denunciata sin dall’inizio (come poi

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