Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7851 del 20/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7851 Anno 2016
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: DI IASI CAMILLA

SENTENZA

sul ricorso 27167-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

GARRONE GIORGIO;
– intimato
Nonché da:
GARRONE GIORGIO,elettivamente domiciliato in ROMA
PIAZZA CAVOUR

presso

la Cancelleria della Corte di

Data pubblicazione: 20/04/2016

Cassazione,

rappresentato e difeso dall’Avvocato

FABIO PACE con studio in MILANO CORSO DI PORTA ROMANA
89/B (avviso postale), giusta delega a margine;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

intimato

avverso la sentenza n. 56/2008 della COMM.TRIB.REC.
di TORINO, depositata il 18/12/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/11/2015 dal Consigliere Dott. CAMILLA
DI IASI;
udito per il centroricorrente l’Avvocato PACE FABIO,
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso principale, il rigetto di
quello incidentale.

AGENZIA DELLE ENTRATE;

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

R.G.N. 2716r7/09

L’Agenzia delle Entrate ricorre nei confronti di Giorgio Garrone (ex dirigente Enel,
che resiste con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale condizionato
successivamente illustrato da memoria), per la cassazione della sentenza indicata in
epigrafe con la quale la C.T.R. del Piemonte ha confermato (con esclusione della sola
rivalutazione) la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dal
Garrone avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso di ritenute di
acconto Irpef operate dall’Enel, quale sostituto di imposta, sull’importo erogatogli
nell’anno 2001 a titolo di capitalizzazione della pensione integrativa prevista
dall’accordo collettivo Enel/Fndai del 16 aprile 1986, riconoscendo l’applicabilità
nella specie dell’aliquota del 12,50% sulle prestazioni di che trattasi.
Considerato in diritto
Col primo dei due motivi di ricorso, deducendo violazione di legge, l’Agenzia
ricorrente rileva che il regime fiscale di cui all’art. 42, comma 4, TUIR e L. n. 482 del
1985, art. 6 è applicabile esclusivamente alle prestazioni erogate in dipendenza da
contratti di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, mentre le altre prestazioni
sono soggette all’applicazione del regime di tassazione di cui agli art. 16, lett. a) e 17
TUIR, restando irrilevante al riguardo l’adozione da parte del fondo di un modello
gestionale di tipo assicurativo e conseguentemente sostiene che l’erogazione de qua,
non essendo stata corrisposta in dipendenza di un contratto di assicurazione sulla vita
o di capitalizzazione -in mancanza dei requisiti oggettivi e di legittimazione dei
suddetti contratti- dovrebbe essere assoggettabile nella sua interezza a tassazione
separata.
Col secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente principale
sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe insufficiente con
riguardo al fatto decisivo e controverso della dipendenza della erogazione de qua da
contratti di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione.
I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente per l’evidente connessione logica,
sono solo parzialmente fondati. Sulla questione oggetto della presente controversia si
sono pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze nn. 13642 e 13643
del 2011 (cui sono seguite numerosissime conformi a sezioni semplici) ed il Collegio
intende uniformarsi a tale autorevole ed ormai consolidato orientamento in difetto
valide ragioni per discostarsene ed in considerazione della sovrapponibilità della
fattispecie in esame a quelle considerate nei precedenti citati.
Preliminare è la distinzione tra la situazione di coloro che siano iscritti a forme
pensionistiche complementari prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993
(come nel caso di specie) e coloro che risultino iscritti a forme analoghe in epoca
successiva all’entrata in vigore del predetto provvedimento legislativo, atteso che solo

Considerato in fatto

ai secondi sarebbe applicabile il trattamento tributario stabilito dal predetto D.Lgs. n.
124, art. 13, comma 9, il quale assoggetta le prestazioni in forma di capitale a
tassazione separata ai sensi del TUIR, e ciò all’esito della norma interpretativa di cui
al D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 1, comma 5 (convertito con modificazioni con
L. 28 febbraio 1997, n. 30) il quale prevede che “La disposizione contenuta nel
D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 13, comma 9, e quella contenuta nel testo unico
delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42,
comma 4, ultimo periodo, introdotta dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. Il, comma 3,
(a norma del quale la disposizione prevista dall’art. 42, comma 4 “non si applica in
ogni caso alle prestazioni erogate in forma di capitale ai sensi del D.Lgs. 21 aprile
1993, n. 124, e successive modificazioni ed integrazioni”), devono intendersi riferite
esclusivamente ai destinatari iscritti alle forme pensionistiche complementari
successivamente alla data di entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 124 del 1993″.
Ad una situazione definita “binaria”, con la distinzione tra “vecchi iscritti” e “nuovi
iscritti” a forme pensionistiche complementari, pose fine il D.Lgs. 18 febbraio 2000,
n. 47, art. 12, comma 1 – come modificato dal D.Lgs. 12 aprile 2001, n. 168, art. 9,
comma I, lett. a)-, a norma del quale, “per i soggetti che risultano iscritti a forme
pensionistiche complementari alla data da cui ha effetto il presente decreto, le
disposizioni introdotte dall’art. 10 (relativamente al “trattamento tributario delle
prestazioni pensionistiche erogate ai sensi del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124″) si
applicano alle prestazioni riferibili agli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio
2001. Per i medesimi soggetti, relativamente alle prestazioni maturate fino a tale data,
continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente”. Ed anche qui si ripete
l’osservazione per cui il D.Lgs. n. 47 del 2000, all’art. 3 ebbe ad abrogare, tra l’altro, il
D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13, comma 9, (disposizione poi del tutto espunta, come
l’intero decreto legislativo, dal D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, art. 23, a decorrere
dal I gennaio2007).
Le Sezioni Unite hanno dato atto della differenza principale tra le due forme di
risparmio, finanziario e previdenziale, risultando che nel primo caso l’investimento
concerne una somma già patrimonio del soggetto, mentre nel secondo caso concerne
una somma che origina direttamente da redditi di lavoro, con correlazione tra
investimento e redditi di lavoro implicante, per il regime tributario delle prestazioni
erogate dai Fondi pensione, una tendenziale corrispondenza allo schema di tassazione
“cui sono soggetti i redditi da cui l’investimento trova alimento”.
E tuttavia, una scelta netta per una tassazione analoga a quella applicata sui redditi di
lavoro fu operata solo col D.Lgs. n. 124 del 1993, in particolare con l’art. 13, comma
9, introdotto dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 11, ma con riserva di applicazione
alle sole prestazioni erogate in forma capitale a favore di soggetti iscritti ad enti di
previdenza complementare in epoca successiva all’entrata in vigore del decreto. Per
gli iscritti in epoca precedente, il trattamento tributario delle prestazioni erogate non è
dunque indipendente dalla composizione strutturale delle prestazioni stesse, che,
anche nel caso concreto, trattandosi di un Fondo di previdenza complementare
aziendale a capitalizzazione di versamenti ed a causa previdenziale prevalente, sono
composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai
contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore) e da

un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del
capitale accantonato. Sicché possono essere tassate in modo analogo al TFR
esclusivamente le somme liquidate a titolo di capitale, mentre alle somme
corrispondenti al rendimento di polizza (nella fattispecie P.I.A., cui seguì il
trasferimento della posizione individuale nel Fondo Enel), si applica
la tassazione nella misura del 12,50% ai sensi della L. 26 settembre 1985, n. 482, art.
6 – i commi 1 e 2, richiamato art. 6, sono stati poi abrogati dal D.Lgs. n. 47 del 2000,
art. 14, per i contratti stipulati in data successiva a quella di entrata in vigore del
decreto, stabilendo l’applicazione dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi
nella misura prevista dal D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, art. 7, ai redditi compresi
nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di
capitalizzazione e ai redditi derivanti dai rendimenti delle prestazioni pensionistiche
di cui al TUIR, art. 47, comma 1, lett. h- bis), erogate in forma periodica e delle
rendite vitalizie aventi funzione previdenziale-.
Cessata ogni distinzione di trattamento alla data del 1 gennaio 2001 (solo a decorrere
dalla quale, a norma del D.Lgs. n. 47 del 2000, non è più consentito distinguere tra
capitale e rendimento), le polizze vanno assoggettate nella loro interezza al regime
della tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1,
lett. a) e può dirsi avvenuto il superamento della scissione del legame genetico del
“rendimento” con il rapporto di lavoro e la causa previdenziale della polizza.
D’altronde, si osserva che la peculiarità del regime anteriore alla vicenda normativa
iniziale operante come spartiacque regolativo, e cioè il D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124,
segnò l’esordio della istituzione di forme di previdenza di tipo privatistico, posto che,
in precedenza, il trattamento previdenziale era schematizzato in una disciplina
pubblicistica, cui in via di mero fatto si poteva aggregare, per prestazioni aggiuntive e
dunque del tutto tipicamente, il solo contratto di assicurazione. Ciò permise a questa
Corte di affermare che “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni
erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente
all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di previdenza
complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale
prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi
maturati fino a 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di
tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett.
a), e art. 17 (T.U.I.R.), solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente
all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro,
mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la
ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi
maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione
separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17
(T.U.I.R.)”. Anche nella vicenda di causa pertanto, trattandosi di importi maturati
entro il 31 dicembre 2000, va ribadita l’applicazione della ritenuta del 12,50% sulle
sole somme relative alla liquidazione del rendimento, sussistendo il diritto del
contribuente al rimborso, per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, della
differenza tra quanto versato all’Erario dal sostituto d’imposta e quanto dovuto a
seguito dell’applicazione dell’aliquota del 12,50% ai sensi della L. n. 482 del 1985,

11 principio di diritto sopra esposto può trovare completa attuazione solo a seguito di
un accertamento sulla natura e quantità del rendimento liquidato a favore del
contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del
Fondo sul mercato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a
tale impiego, giustificandosi – come detto – solo rispetto a quest’ultimo rendimento
l’affermata tassazione al 12,50% (sulla differenza tra l’ammontare del capitale

art. 6 alle sole somme liquidate per il rendimento. Va aggiunto inoltre, ripetendo un
principio esplicitato da Cass. 23520/2012, che “le somme dovute dal datore di lavoro
al lavoratore a titolo di conversione del trattamento pensionistico integrativo
aziendale (cd. PIA), per la parte costituita dalla remunerazione del capitale investito,
sono soggette all’aliquota fissa del 12,5%, ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6
(nella specie, applicabile ratione temporis), e non alla tassazione separata del
trattamento di fine rapporto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 2, non
solo quando il suddetto trattamento pensionistico integrativo sia dovuto per effetto
della stipula di un’assicurazione sulla vita o di un piano di capitalizzazione, ma anche
quando sia dovuto per effetto della stipula di un contratto con soggetti diversi da una
società di assicurazione, giacché quel che rileva ai fini suddetti è che sia stato
applicato dal soggetto tenuto al pagamento un modello gestionale di tipo
assicurativo”. Si deve infatti considerare non decisiva la non conformità dei contratti
(stipulati sulla base del CCNL 16.5.1985 ed in sostituzione delle originarie previsioni
dapprima negoziali che ne furono attuazione) al modello formale assicurativo o a
capitalizzazione e che non siano stati stipulati con imprese esercenti attività
assicurative, essendo pacifico che la prestazione è stata costituita grazie all’impiego di
capitali accumulati (con versamenti del datore di lavoro e dell’iscritto al Fondo
ENEL, aggiuntivi rispetto agli accantonamenti del TFR, dunque con causa autonoma)
ed erogata al di fuori di una scadenza diretta del pregresso rapporto di lavoro, in
presenza di una gestione delle somme effettuata con sistemi tecnico-finanziari della
capitalizzazione e con l’apposizione delle riserve matematiche (o comunque con
copertura finanziaria costante delle prestazioni erogate), secondo le condizioniquadro fissate dall’iniziale fonte consensuale collettiva. Alla stregua di questa, il
c.d.a. dell’ ENEL
già il 5.6.1985 recepì detto CCNL (prevedente la stipula di una polizza vita ex art.
1919 c.c.) e poi, in data 16.4.1986, concluse un accordo sindacale di recepimento e
sostituzione dell’art. 12, comma 4, CCNL stesso, all’insegna di una forma di
previdenza privata rimessa all’autonomia aziendale, e sostanzialmente attuata con una
polizza di tipo assicurativo, alla cui stregua furono erogate prestazioni di capitale
dipendenti da un’originaria prestazione previdenziale del citato modello, stipulata
prima della vigenza del D.Lgs. n. 124 del 1993 e non a caso rimettente alla scelta
dell’ex dirigente la possibilità di trasformare la rendita pensionistica nel frattempo
instaurata in capitale, secondo una prerogativa connotante il contratto a natura
assicurativa e per prestazione equivalente a quella prevista nei contratti originari di
assicurazione sulla vita (in base all’accordo collettivo modificativo del luglio 2000),
per tale ragione meramente convertiti e poi ripristinati alla stregua della
configurazione aperta del primo rapporto, mai cessato nei suoi effetti giuridici e
generante, per le ragioni anzidette, reddito di capitale.

Il parziale accoglimento del ricorso principale giustifica l’esame del ricorso
incidentale condizionato col quale il controricorrente, deducendo violazione del’art.
112 c.p.c., si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano omesso di pronunciarsi
sulla dedotta inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate per
mancanza di specifici motivi di impugnazione.
La censura é inammissibile sia per inadeguatezza del relativo quesito di diritto sia
perché la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non ricorre il vizio di
omessa pronuncia (ma eventualmente solo il vizio di omessa motivazione),
nonostante la mancanza di espressa statuizione sul punto specifico, quando la
decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (in
particolare, cass. n. 5351 del 2007 ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di
inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi
posti a fondamento del gravame) ed ha inoltre affermato che ad integrare gli estremi
del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del
giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si
palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, dovendo pertanto escludersi
il suddetto vizio quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere
dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una
specifica argomentazione (v. cass. n. 10636 del 2007).
E’ tuttavia da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’omessa
pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del
giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la

corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al
decimo). Per tale ragione, e sulla scorta di numerose decisioni conformi (v. Cass. n.
287 del 2012 e, tra le altre, numeri 1411, 1412, 1413, 1414, 1415, 1416, 4905, 20491,
e 20811 del 2013), il ricorso dell’Agenzia deve essere parzialmente accolto, con la
conseguente cassazione della sentenza impugnata nel senso sopra indicato e rinvio
della causa ad altra sezione della medesima C.T.R. perché accerti, previa disamina
dei meccanismi di funzionamento del fondo P.I.A./FONDENEL nel corso degli anni
ed in coerente applicazione con il principio enunciato, il rendimento derivante
dall’impiego sul mercato delle somme imputabili ai contributi versati al Fondo dal
datore di lavoro e dal lavoratore, così verificando se e quando, sulla base delle norme
contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati
effettivamente investiti, quali siano stati i risultati dell’investimento ed in qual modo
sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni
individuali. Sulla scorta di tale indagine, il giudice del rinvio quantificherà la parte
della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al
rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato del capitale accantonato
mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcolerà
l’imposta dovuta dal contribuente (e, conseguentemente, l’ammontare del suo
effettivo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l’aliquota del 12,5%, (come
sopra decrementata) secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6,
fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917
del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17.

Roma 12-11-2015

denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di
motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., in quanto siffatte censure presuppongono che il
giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia
risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non
giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica
deduzione del relativo “error in procedendo” per violazione dell’art. 112 c.p.c. (v.
cass. n. 11844 del 2006; n. 24856 del 2006 e n. 12952 del 2007).
Il ricorso incidentale deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale nei limiti di cui in motivazione e dichiara
inammissibile l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso
accolto e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. del Piemonte.

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