Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7849 del 16/04/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/04/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 16/04/2020), n.7849

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8649/2016 R.G., proposto da:

A.A., rappresentato e difeso da sè medesimo ai sensi

dell’art. 86 c.p.c., in qualità di Avvocato, con studio in Roma;

– ricorrente –

contro

la “SO.G.E.T. S.p.A.”, con sede in Pescara, in persona

dell’amministratore unico pro tempore, nella qualità di

concessionaria per la riscossione del Comune di Grottaferrata (RM);

– intimata –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Roma il 2 ottobre 2015 n. 5152/28/2015, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

gennaio 2020 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo;

udito per il ricorrente l’Avv. Paolo Giannoccari, per delega

dell’Avv. Antonio A., che ha chiesto l’accoglimento; rilevato

che l’intimata non si è costituita nel presente procedimento;

udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale,

Dott. Giovanni Giacalone, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 2 ottobre 2015 n. 5152/28/2015, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale di Roma rigettava l’appello proposto da A.A. avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma il 10 giugno 2014 n. 13004/20/2014, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. Il giudice di appello rilevava che; a) il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di tre avvisi di accertamento con i quali la “SO.G.E.T. S.p.A.”, nella qualità di concessionaria per la riscossione del Comune di Grottaferrata (RM), aveva preteso il pagamento della T.A.R.S.U., per infedele dichiarazione, rispettivamente, per l’anno 2007, per l’anno 2009 e per l’anno 2010; b) la Commissione Tributaria Provinciale aveva rigettato il ricorso del contribuente sul rilievo del corretto e tempestivo accertamento dell’irregolarità nelle dichiarazioni relative alla T.A.R.S.U., nonchè dell’inapplicabilità al caso di specie del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 72 e della persistente vigenza della T.A.R.S.U.. La Commissione Tributaria Regionale confermava la decisione di primo grado, rilevando la tempestività degli accertamenti d’ufficio da parte del Comune di Grottaferrata (RM), l’insussistenza di una violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 72, l’adeguata motivazione degli avvisi di accertamento in relazione alla contestazione della maggiore superficie imponibile, l’imputabilità al contribuente dell’infedele dichiarazione e la perdurante vigenza della T.A.R.S.U. in assenza di norme abrogatrici.

2. Avverso la sentenza di appello, A.A. proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 31 marzo 2016 ed affidato a quattro motivi; la “SO.G.E.T. S.p.A.” non si costituiva in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, A.A. denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 72, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che l’ente impositore non fosse decaduto dal diritto alla riscossione di ciascuno dei pretesi crediti.

2. Con il secondo motivo, A.A. denuncia violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che gli avvisi di accertamento fossero adeguatamente motivati con riguardo ai presupposti di fatto e di diritto della maggiore tassazione.

3. Con il terzo motivo, A.A. denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 3,4 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente addebitato al contribuente dichiarazioni infedeli in assenza di modificazioni alla situazione e alla consistenza dell’immobile acquistato dall’anno 1985.

4. Con il quarto ed ultimo motivo, A.A. denuncia violazione e falsa applicazione dell’att. 23 Cost., del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49 e del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che la T.A.R.S.U. fosse ancora vigente nell’anno 2010, dovendo considerarsi abrogata con decorrenza dall’I gennaio 2010 in mancanza di una proroga ulteriore dopo la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 184, lett. a ed il D.L. 30 dicembre 2008, n. 208, art. 5, comma 1, convertito nella L. 27 febbraio 2009, n. 13.

5. Il primo motivo è infondato.

5.1 Come è noto, il rapporto tributario relativo alla T.A.R.S.U. è connesso ad una dichiarazione ultrattiva del contribuente che ha efficacia fino ad una successiva denuncia di variazione ovvero ad un accertamento dell’ente (Cass., Sez. 5″, 1 ottobre 2007, n. 20646). Ai fini della riscossione del tributo l’ente impositore, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 71, può procedere all’emissione di un avviso di accertamento quando il contribuente non abbia presentato la denunzia prescritta dal precedente art. 70, oppure nel caso in cui ritenga che la denuncia presentata sia infedele o incompleta (Cass., Sez. 5″, 16 dicembre 2003, n. 19255; Cass., Sez. 5″, 23 settembre 2004, n. 19181; Cass., Sez. 5″, 1 ottobre 2007, n. 20646).

5.2 Qualora, invece, la denuncia sia stata presentata, e l’ente ritenga di non contestarla, il medesimo D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 72, comma 1, consente al Comune di procedere direttamente alla liquidazione della T.A.R.S.U., sulla base degli elementi dichiarati dallo stesso contribuente originariamente, ed alla conseguente iscrizione a ruolo, attraverso la meccanica applicazione dei ruoli dell’anno precedente e dei dati in esso contenuti, procedendo alla notificazione di una cartella esattoriale, senza previa emissione di alcun avviso di accertamento. Secondo quanto già ritenuto da questa Corte, in tema di T.A.R.S.U., il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 72, comma 1, attribuisce ai Comuni la facoltà eccezionale, non suscettibile di applicazioni estensive, di procedere direttamente alla liquidazione della tassa ed alla conseguente iscrizione a ruolo sulla base dei ruoli dell’anno precedente, purchè sulla base di dati ed elementi già acquisiti e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione, sicchè, salvo il caso di omessa denuncia o incompleta dichiarazione da parte del contribuente, non occorre la preventiva notifica di un atto di accertamento (Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2015, n. 22248; Cass., Sez. 5, 28 settembre 2016, n. 19120).

5.3 Nell’ipotesi in cui il Comune proceda ad un accertamento, trova applicazione la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 161, secondo cui “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali

o ritardati versamenti, nonchè all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica o d’ufficio devono essere notificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

Tale disciplina ha aumentato a cinque anni il termine di decadenza, essendo stato abrogato dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 172, con decorrenza dall’1 luglio 2007, il previgente D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 71, comma 1, che prevedeva, invece, il termine triennale.

5.4 La norma, che ha disciplinato e modificato solo l’ipotesi della riscossione coattiva di tributi locali a seguito di accertamento, non può trovare invece applicazione nell’ipotesi in cui il Comune decida di avvalersi del sistema di riscossione tramite ruolo. In tal caso, infatti, opera il più breve termine annuale di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 72, secondo cui la formazione e la notifica del ruolo debbono aver luogo entro l’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo, termine annuale applicabile anche in caso di liquidazione in base a denuncia tardiva o ad accertamento, ma con diversa decorrenza, e cioè entro l’anno successivo a quello nel corso del quale è prodotta la predetta denuncia ovvero l’avviso di accertamento è notificato (Cass., Sez. 5, 23 maggio 2019, n. 14043).

5.5 Ne deriva, quindi, che il termine di decadenza per gli avvisi di accertamento, in rettifica o d’ufficio, con riguardo al periodo compreso dall’anno 2007 all’anno 2010 sarebbe venuto a scadenza soltanto il 31 dicembre 2012 (come è stato correttamente valutato dal giudice di appello). Per cui, nella specie, è evidente che tutti gli avvisi di accertamento sono stati tempestivamente notificati, essendo congiuntamente pervenuti al contribuente il 10 agosto 2012. 6. Il secondo motivo è infondato.

6.1 In continuità con l’orientamento di questa Corte in merito agli oneri motivazionali di ogni atto impositivo, va, innanzitutto, ribadito che l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, individuata nel petitum e nella causa petendi, mediante una fedele e chiara ricostruzione degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, anche quanto agli elementi di fatto ed istruttori posti a fondamento dell’atto impositivo, in ragione della necessaria trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione, in vista di un immediato controllo della stessa (Cass., Sez. 5, 21 dicembre 2018, n. 30039).

Tale condivisibile principio di portata generale, è fondato sulla necessità che in ogni avviso di accertamento e di rettifica siano presenti gli elementi identificativi della pretesa

tributaria, dovendosi escludere ogni formalismo

nell’indicazione delle norme di diritto violate, quando chiaramente evincibili, o di tutti gli elementi di prova, eventualmente integrabili in sede di giudizio purchè siano indicati gli elementi di fatto e istruttori del procedimento; in sintesi l’obbligo di motivazione può ritenersi assolto ove dalla motivazione dell’avviso emerga una fedele e chiara ricostruzione di tutti gli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, così da consentire una adeguata, efficace e piena difesa in giudizio del contribuente. Un tale estensione dell’obbligo motivazionale soddisfa del resto la declinazione di legittimità di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente), art. 7, che a sua volta richiama la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, secondo cui l’amministrazione finanziaria è tenuta ad indicare nei suoi atti “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”.

6.2 In materia opera, poi, altro principio per il quale la polisistematicità del sistema tributario comporta necessariamente che, in relazione a ciascuna imposta, la esistenza e la congruità della motivazione del singolo atto impositivo sia verificata secondo le regole dettate per il tributo cui l’atto stesso afferisce (Cass., Sez. 5, 17 novembre 2003, n. 17356; Cass., Sez. 5, 22 aprile 2005, n. 8451; Cass., Sez. 5, 18 novembre 2011, n. 24267; Cass., Sez. 6, 16 marzo 2015, n. 5190).

6.3 In tema di T.A.R.S.U., la verifica in ordine all’esistenza e all’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento va condotta secondo la disciplina specificamente dettata, in ordine al contenuto dell’atto in esame, dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 162, a tenore del quale “gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.

Tale norma, che ha sostituito il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 71, comma 2, abrogato dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 172, ricalcando sostanzialmente gli obblighi motivazionali richiesti in linea generale dello Statuto del contribuente, impone, dunque, esclusivamente che, previa enunciazione del criterio astratto, vengano specificati gli elementi su cui si fonda la ripresa a tassazione, necessari per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa.

Ne deriva che, in materia di T.A.R.S.U., nel caso in cui la rettifica venga operata sulla base di una variazione di superficie o di tariffa o di categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenuta applicabile, elementi che, integrati con gli atti generali, quali le delibere comunali o altri regolamenti comunali – che non è necessario allegare, al pari di qualsiasi atto, amministrativo a 4 contenuto generale o collettivo, perchè si rivolgono ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (Cass., Sez. 5″, 23 ottobre 2006, n. 22804; Cass., Sez. 5″, 26 marzo 2014, n. 7044; Cass., Sez. 6″, 19 giugno 2018, n. 16165; Cass., Sez. 5″, 15 marzo 2019, n. 7437) – risultano idonei a rendere intellegibili i presupposti di fatto e di diritto della pretesa tributaria, posta anche la semplicità del procedimento logico che in questi casi caratterizza la determinazione del tributo in esame, il cui ammontare viene determinato moltiplicando la tariffa, individuata sulla base della categoria, per la superficie tassata. Va, pertanto, escluso che possa essere censurata come mancanza di motivazione l’omessa individuazione di tutte le fonti probatorie o delle indagini effettuate per rideterminare l’area, ben potendo tali indicazioni essere fornite nell’eventuale successiva fase contenziosa, in cui l’amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (Cass., Sez. 5″, 31 luglio 2019, n. 20620).

6.4 Ebbene, il giudice di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, accertando che la motivazione degli atti impugnati, seppure sintetica ed espressa mediante la veste grafica di una tabella, ha posto il contribuente in condizione di comprendere le ragioni dell’accertamento e di difendersi adeguatamente. Si legge, infatti, in motivazione che: “dagli stessi (…) può agevolmente evincersi che essi abbiano riguardo all’accertamento, da parte dell’ente locale, di maggiori importi per la tassa in questione (pag. 1), conseguenti ad una contestata, maggiore metratura dell’immobile abitato dal contribuente (pag. 2). In sostanza, gli avvisi di accertamento contenevano tutte le ragioni, sia in fatto che in diritto, poste alla base della pretesa tributaria, in maniera tale da non arrecare alcun vulnus al contraddittorio invocato dall’appellante (vedasi pag. 2 degli atti impugnati avvertenze nelle quali si fa presente che l’interessato avrebbe ben potuto segnalare dati difformi da quelli contestati), nè al suo diritto di difesa, che comunque egli ha potuto esercitare in questa sede giurisdizionale”.

7. Anche il terzo motivo è infondato.

7.1 In tema di T.A.R.S.U., il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, consente al contribuente di limitarsi a denunciare le sole variazioni intervenute successivamente alla presentazione della dichiarazione originaria, senza dover rinnovare la propria dichiarazione anno per anno. Tuttavia, qualora l’originaria denunzia sia stata incompleta, infedele oppure omessa, l’obbligo di formularla si rinnova annualmente, in quanto ad ogni anno solare corrisponde un’obbligazione tributaria, con la conseguenza che l’inottemperanza a tale obbligo, sanzionata dal cit. D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 76, comporta l’applicazione della sanzione anche per gli anni successivi al primo. D’altro canto, la protratta inottemperanza all’obbligo di presentare la denuncia non provoca la decadenza, per decorso del tempo, del potere del Comune di accertare le superfici non dichiarate che continuino ad essere occupate o detenute, ovvero gli altri elementi costituenti il presupposto della tassa (in termini: Cass., Sez. 5, 8 ottobre 2019, n. 25063).

7.2 E tanto vale anche per l’ipotesi in cui l’immobile sia stato alienato e l’avente causa non ottemperi alla presentazione della denuncia di variazione, ancorchè la sua inerzia sia imputabile ad incolpevole ignoranza sul contenuto della precedente denuncia del dante causa in ordine allo stato ed alla consistenza dell’immobile. A tale riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che, in tema di T.A.R.S.U., i Comuni hanno la facoltà eccezionale, non suscettibile di applicazioni estensive, di procedere direttamente, alla liquidazione della tassa ed alla conseguente iscrizione a ruolo sulla base dei ruoli dell’anno precedente purchè in forza di dati ed elementi già acquisiti e non soggetti a modificazione o variazione, sicchè, qualora sia mutato il possessore dell’immobile, è necessaria l’emissione di un nuovo avviso di accertamento, non essendo a questi imputabile la dichiarazione fatta dal precedente possessore (in termini: Cass., Sez. 5, 28 settembre 2016, n. 19120).

7.3 Pertanto, è sufficiente che l’ente impositore contesti al contribuente, con l’avviso di accertamento, la difformità riscontrata nella superficie imponibile dell’immobile, essendo irrilevante che tale circostanza fosse già nota al suo dante causa e non fosse stata denunciata dal medesimo nè accertata d’ufficio prima dell’acquisto da parte del contribuente.

8. Da ultimo, il quarto motivo è parimenti infondato.

8.1 In proposito, occorre un esame analitico sullo sviluppo temporale della legislazione in materia di raccolta e smaltimento di rifiuti.

Giova ricordare che il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, istituiva la tariffa integrata ambientale (c.d. T.I.A. 1) che, nel disegno del legislatore, avrebbe dovuto sostituire la T.A.R.S.U..

La medesima norma disponeva la soppressione della T.A.R.S.U. (istituita dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 58 e ss.) “a decorrere dai termini previsti dal regime transitorio, disciplinato dal regolamento di cui al comma 5” (art. 49, comma 1) e prevedeva (art. 49, comma 5) che il Ministro dell’Ambiente, di concerto con il Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato (sentita la Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano) avrebbe dovuto elaborare “un metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento, prevedendo disposizioni transitorie per garantire la graduale applicazione del metodo normalizzato e della tariffa ed il graduale raggiungimento dell’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani da parte dei Comuni”. L’atto regolamentare in questione è stato, quindi, adottato col D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, il cui art. 11 ha previsto un regime transitorio (anche per effetto di successive modifiche normative) così articolato: “Gli enti locali sono tenuti a raggiungere la piena copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa entro la fine della fase di transizione della durata massima così articolata: a) sette anni per i comuni che abbiano raggiunto nell’anno 1999 un grado di copertura dei costi superiore all’85%; b) sette anni 2 per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi tra il 55 e l’85%; c) otto anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi inferiore al 55%; d) otto anni per i comuni che abbiano un numero di abitanti fino a 5000, qualunque sia il grado di copertura dei costi raggiunto nel 1999”.

8.2 La soppressione della T.A.R.S.U., quindi, non ha comportato l’immediata abrogazione della relativa disciplina istitutiva ma, secondo il cennato regime transitorio, – detta imposta rimaneva in vigore (con la conseguente disciplina regolamentare adottata dai Comuni: D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 68) almeno sino al 19 giugno 2006 (il D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, è stato pubblicato sulla G.U. n. 129 del 4 giugno 1999 e, come appena sopra ricordato, il termine più breve istituito dal regime transitorio prevedeva una durata di almeno sette anni).

Detto regime transitorio, peraltro, non verrà a compimento in quanto col D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il legislatore interveniva nuovamente sulla materia disponendo la soppressione della T.I.A. 1, istituita col D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.

Ha previsto, in particolare, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che:

– “La tariffa di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11” (art. 238, comma 1);

– “Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti” (art. 238, comma 11);

– è abrogato “il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del D.Lgs. n. 5 febbraio 1997, n. 22 cit., continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto” (art. 264, comma 1, lett. i).

8.3 Orbene, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (istitutivo della c.d. T.I.A. 2) è stato adottato in un momento in cui, come sopra rilevato, non si era ancora perfezionata la scadenza del regime transitorio previsto dal D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (adottato in esecuzione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, commi 1 e 5): il che equivale a dire che, a detto momento, non poteva ritenersi (già) prodotto l’effetto abrogativo che il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 1, aveva previsto con riferimento alla disciplina (anche regolamentare) della T.A.R.S.U.. Laddove, allora, il legislatore del 2006 (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 11) ha previsto la salvaguardia delle “discipline regolamentari vigenti” (sino all’emanazione di un regolamento previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 6) e, con quelle, dei “provvedimenti attuativi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 cit.” (“sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto”) ha, da un lato, conservato tutte le discipline regolamentari (e normative) a quel momento vigenti, – stante il mancato perfezionamento del regime transitorio di cui sopra si è detto, – e, dall’altro, ha esso stesso prorogato il regime transitorio previsto dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49 (e dal D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, art. 11) onde evitare ogni soluzione di continuità “nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta” del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (art. 264, comma 1, lett. i).

Va, in particolare, rimarcato che il D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, costituiva (anche nella disciplina transitoria introdotta col suo art. 11 cit.) provvedimento attuativo del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e che la conservazione di efficacia delle “discipline regolamentari vigenti” non poteva che comprendere (anche) i regolamenti comunali sulla T.A.R.S.U. (la cui disciplina legislativa non era stata ancora abrogata in ragione del sopra ricordato regime transitorio).

8.4 La complessiva soluzione legislativa in discorso è stata, quindi, mantenuta in vigore sino all’adozione (con il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 14, convertito nella Legge 22 dicembre 2011 n. 214) di un nuovo tributo comunale (sui rifiuti e sui servizi, c.d. T.A.R.E.S.), secondo la cui disciplina (solo) a decorrere dall’I. gennaio 2013 “sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza” (art. 14, comma 46).

E ciò è tanto vero che:

– il D.L. 30 dicembre 2008, n. 208, art. 5, comma 2-quater, convertito nella L. 27 febbraio 2009, n. 13 (e quale modificato, dapprima, dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 23, comma 21, convertito nella L. 3 agosto 2009, n. 102 e, poi, dal D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 8, comma 3, convertito nella L. 26 febbraio 2010, n. 25), – nel disporre che, “ove il regolamento di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 6, non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare entro il 30 giugno 2010, i comuni che intendano adottare la tariffa integrata ambientale (T.I.A.) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti” espressamente riconosceva che l’effetto abrogativo conseguente all’emanazione del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a quella data (30 giugno 2010) non si era ancora (senz’altro) prodotto (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, commi 1 e 11 e art. 264, comma 1, lett. i);

– il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 14, comma 7, disponeva che: “Sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale. Resta ferma la possibilità per i Comuni di adottare la tariffa integrata ambientale”.

Da dette disposizioni poteva, allora, conseguire (al più) il divieto di passare dall’una all’altra forma di imposizione, – e, con questo, una preclusione alla modifica dei regolamenti di T.A.R.S.U. e T.I.A., – ma non anche l’abrogazione delle discipline istitutive di dette forme “di prelievo” in difetto della (compiuta) realizzazione della T.I.A. 2 (istituita col D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) (Cass., Sez. 5, 13 luglio 2017, n. 17271; Cass., Sez. 5, 4 dicembre 2018, n. 31286; Cass., Sez. 5, 28 marzo 2019, n. 8650; Cass., Sez. 5, 16 dicembre 2019, n. 33224; Cass., Sez. 5, 23 dicembre 2019, nn. 34283, 34284, 34285, 34286 e 34287).

8.5 La decisione impugnata, pertanto, si sottrae alla censura che le è stata mossa essendosi conformata agli indirizzi già espressi dalla Suprema Corte e deve essere, pertanto, confermata, avendo correttamente ritenuto che la T.A.R.S.U. era ancora dovuta dal contribuente all’ente impositore anche con riguardo all’anno 2010.

9. Pertanto, stante l’infondatezza dei motivi addotti, il ricorso deve essere rigettato.

10. Nulla per le spese del giudizio di legittimità, non essendosi costituita l’intimata nel presente procedimento.

11. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del contribuente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di legittimità; dà atto dell’obbligo, a carico del contribuente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2020

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