Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7845 del 19/03/2021

Cassazione civile sez. II, 19/03/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 19/03/2021), n.7845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25035/2019 proposto da:

U.S., rappresentato e difeso dall’avvocato BARBARA CATTELAN,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI

CASSAZIONE;

– intimati –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 4771/2019 del TRIBUNALE di

TORINO, depositato il 12/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/12/2020 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Torino confermò la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, con la quale era stata disattesa la domanda di protezione internazionale avanzata da U.S.;

ritenuto che quest’ultimo ricorre sulla base di due motivi avverso la statuizione di cui sopra e che il Ministero dell’Interno è rimasto intimato;

ritenuto che con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e art. 27, comma 1 bis e art. 16 direttiva 2013/32/UE, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che il Giudice aveva violato i criteri legali per la valutazione della prova, sulla base di quanto appresso in sintesi:

– il Tribunale aveva affermato che le contraddizioni nella narrazione, già evidenziate dalla Commissione, sarebbero state accentuate dall’ascolto disposto in sede giudiziaria, puntando l’indice su aspetti del tutto marginali;

– la credibilità del richiedente non è rimessa alla mera opinione del giudice, ma a un vaglio d’attendibilità normativamente regolato, fondato prioritariamente sulla buona fede del narrante, il quale ha fatto ogni sforzo possibile per dimostrare la credibilità del racconto, spettando al giudice esercitare i poteri istruttori officiosi che appaiano necessari;

– resta irrilevante l’emergere di discordanze marginali e isolate, occorrendo esprimere un giudizio che tenga conto dell’insieme delle evidenze probatorie, fra queste incluse la realtà del paese di provenienza;

– il Tribunale non aveva fatto corretta applicazione di tali regole e affermando che il richiedente non aveva fatto “alcun riferimento al processo di maturazione del proprio orientamento sessuale, ai sentimenti di vergogna provati, alle paure e alla discriminazione subita”, aveva manifestato una visione pregiudiziale, resa evidente dall’espressione “il richiedente si è avvicinato alle associazioni per i diritti LGBT solo in prossimità dell’udienza di audizione”;

considerato che la doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità per le ragioni di cui appresso:

a) il ricorrente ha raccontato che un giorno un gruppo di ragazzi lo avevano costretto con la violenza (era stato portato in un posto isolato, picchiato e minacciato) a far parte del loro culto denominato “(OMISSIS)”, che intratteneva rapporti omosessuali a pagamento; egli, che apparteneva a una famiglia povera, era entrato nel gruppo e, dei soldi guadagnati, metà li dava alla madre e l’altra metà la teneva per sè; quest’ultima lo aveva aiutato a partire allorquando si era saputo che uno del gruppo era stato arrestato e che pertanto tutti erano a rischio;

b) il Tribunale aveva giudicato la narrazione scarsamente credibile, in uno all’assenza di qualsivoglia concreto elemento dal quale inferire la sussistenza di fondato timore nel caso di rimpatrio, in particolare evidenziandosi che:

– a seguito della disposta audizione il racconto è apparso ancora più inverosimile (il gruppo diviene un gruppo di amici, compagni di scuola, e l’adesione diviene spontanea e non estorta con la violenza, suffragata davanti alla Commissione dall’esibizione di una ferita sulla fronte; con il chiarimento posto a giustificazione, secondo il quale il gruppo di amici, con i quali soleva uscire, gli aveva detto che doveva entrare nel loro gruppo, perchè i soldi usati per pagare per i divertimenti, anche suoi, provenivano dalla loro associazione, alla quale era necessario che aderisse pena la morte, tanto da averlo picchiato, spiegandogli che si trattava di un gruppo che effettuava prestazioni omosessuali a pagamento);

– inoltre il Tribunale ha valutato la complessiva narrazione priva dei connotati tipici del coinvolgimento emotivo personale, strumentale l’accostamento ad associazioni LGBT e inverosimile la storia orno-affettiva con un Italiano, di cui il richiedente non ricordava neppure il nome;

c) piuttosto palesemente le critiche, nella sostanza, risultano inammissibilmente dirette al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5, in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459);

d) la narrazione, anche a cagione della sua inverosimiglianza e irrisolvibile contraddittorietà, non avrebbe comunque permesso approfondimenti istruttori di sorta e il ricorrente, piuttosto che contrappore evidenze processuali tali da smentire le conclusioni del Tribunale, si limita a riportare i principi della materia e a insistere nella propria versione;

ritenuto che con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonchè omesso esame di fatti controversi e decisivi, poichè la decisione impugnata aveva negato il diritto alla protezione umanitaria misconoscendo l’importanza del tirocinio non retribuito svolto presso l’associazione delle persone LGBT, giudicando pregiudizialmente strumentale la partecipazione del richiedente, per contro la relazione della predetta associazione dava conto del percorso di autodeterminazione avviato dal ricorrente;

considerato che l’esposta censura, non tenendo conto del fatto che la condizione di omosessualità è stata giudicata inverosimile dal Tribunale e, pertanto, non configurabile una comprovata condizione di vulnerabilità, dipendente dal proclamato orientamento sessuale, non coglie la “ratio decidendi”;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che non vi è luogo a regolamento delle spese non avendo l’intimato Ministero svolto difese;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021

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