Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7841 del 15/04/2020

Cassazione civile sez. I, 15/04/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 15/04/2020), n.7841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 34125/2018 proposto da:

H.K., elettivamente domiciliato in Roma, V.le Angelico 38,

presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana, che lo rappresenta

e difende in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 334/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 14/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, H.K., cittadino del Ghana, ha adito il Tribunale di Perugia impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, cittadino del (OMISSIS), tassista, aveva raccontato di aver prestato la sua autovettura a un amico, che alla guida del veicolo aveva cagionato la morte di un bambino, dandosi alla macchia; che gli abitanti del villaggio avevano riconosciuto la sua vettura e, inferociti, avevano tentato di linciarlo; che la polizia lo avrebbe arrestato se non avesse fatto trovare il suo amico.

Con ordinanza del 7/4/2017 il Tribunale di Perugia ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto dal K. è stato rigettato dalla Corte di appello di Perugia, a spese compensate, con sentenza del 14/5/2018.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso H.K., con atto notificato il 14/11/2018, svolgendo tre motivi.

Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione o per motivazione solo apparente.

Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia omesso esame delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio dal ricorrente per la valutazione della sua condizione personale.

Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti e cioè la condizione di pericolosità e la situazione di violenza generalizzata in Ghana, con totale omissione della consultazione e della valutazione delle fonti informative.

Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente, sempre con riferimento alla mancata concessione della protezione sussidiaria, denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, omesso esame delle fonti informative e mancata applicazione dell’art. 10 Cost., perchè la Corte di appello aveva totalmente omesso la valutazione della situazione generale del Paese e l’analisi delle fonti di informazione al proposito.

Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c, nn. 3 e 5, in tema di protezione umanitaria, il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonchè D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, L. 14 luglio 2017, n. 110, che ha introdotto il reato di tortura, e ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. e art. 3 CEDU, con omessa applicazione dell’art. 10 Cost..

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio rileva l’intervento di uno jus superveniens.

In data 7/10/2019 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 235 il D.M. 4 ottobre 2019, recante “Individuazione dei Paesi di origine sicuri, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 2-bis”, il cui art. 1, rubricato “Paesi di origine sicuri”, prevede che siano considerati Paesi di origine sicuri Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina e che nell’ambito dell’esame delle domande di protezione internazionale, la situazione particolare del richiedente sia valutata alla luce delle informazioni sul Paese di origine risultanti dall’istruttoria di cui in premessa.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 bis, inserito dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 7-bis, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, prevede l’adozione, con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, dell’elenco dei Paesi di origine sicuri, basato sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione di cui all’art. 5, comma 1, nonchè su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell’Unione Europea, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti, aggiornato periodicamente e notificato alla Commissione Europea.

Secondo tale articolo uno Stato non appartenente all’Unione Europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7, nè tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, nè pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.

Ai fini di tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed l’maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4/11/1950, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19/12/1966, ratificato ai sensi della L. 25 ottobre 1977, n. 881, e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 10/12/1984, in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell’art. 15, paragrafo 2, della predetta Convenzione Europea; c) il rispetto del principio di cui all’art. 33 della Convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.

La valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all’Unione Europea è un Paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione di cui all’art. 5, comma 1, nonchè su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell’Unione Europea, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

L’art. 2 bis citato, comma 5, ammette il richiedente a invocare gravi motivi per ritenere che quel Paese, definito sicuro dal decreto non lo è per lui per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova; dell’art. 9, comma 2 bis, prevede che la decisione con cui è rigettata la domanda presentata dal richiedente di cui all’art. 2-bis, comma 5, sia motivata dando atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso.

2. Il decreto citato può assumere rilievo ai fini della decisione, poichè il Ghana, nazione di provenienza del ricorrente, è stato dichiarato Paese sicuro ai fini sopra indicati.

Il Collegio ritiene pertanto opportuno che il ricorso, che presenta interesse nomofflattico, sia trattato e discusso in pubblica udienza, con l’intervento del Procuratore generale.

P.Q.M.

La Corte rinvia alla pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2020

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