Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7840 del 19/03/2021

Cassazione civile sez. II, 19/03/2021, (ud. 22/09/2020, dep. 19/03/2021), n.7840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19364/2019 proposto da:

M.F., rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE

RAGNOLI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA depositato il 10/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Brescia respingeva l’istanza del ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale od umanitaria, ritenendo non credibile la storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela.

Il Tribunale di Brescia, con il decreto impugnato, respingeva il ricorso avverso detto provvedimento reiettivo.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto M.F. affidandosi ad un unico motivo.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, art. 8 della Convenzione E.D.U., nonchè artt. 1,2,35 e 36 Cost., perchè il giudice di merito avrebbe immotivatamente escluso la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale avrebbe dovuto ritenere il diritto al lavoro ricompreso tra i diritti fondamentali della persona umana e, quindi, considerare il fatto che egli aveva trovato una occupazione in Italia, mentre analoga possibilità non esisteva, di fatto, nel suo Paese di origine.

La doglianza è inammissibile. Pur dovendosi convenire sulla natura essenziale del diritto al lavoro, che costituisce una delle espressioni fondamentali della personalità umana, si deve precisare che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, non è sufficiente la deduzione dello svolgimento di una attività lavorativa, ma occorre che sussista una condizione di particolare vulnerabilità del richiedente, che deve essere apprezzata tenendo conto del suo complessivo tenore di vita, in Italia e nel Paese di provenienza. Tale giudizio comparativo non si esaurisce nella considerazione della sola integrazione lavorativa in Italia, nè può risolversi in una generica richiesta di considerazione delle diverse condizioni di vita esistenti, rispettivamente, in Italia e nel Paese di provenienza.

Se infatti è vero che, ai fini della concessione o del diniego della protezione umanitaria, è necessario prendere le mosse dalla considerazione della situazione interna del Paese di origine del richiedente la protezione umanitaria, tuttavia va ribadito che “Non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indicandone genericamente la carenza nel paese d’origine, ma è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili. Solo all’interno di questa puntuale indagine comparativa può ed anzi deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l’effettività dell’inserimento sociale e lavorativo e/o la significatività dei legami personali e familiari in base alla loro durata nel tempo e stabilità. L’accertamento della situazione oggettiva del Paese d’origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale costituiscono il punto di partenza ineludibile dell’accertamento da compiere. (cfr. Cass. n. 420/2012, n. 359/2013, n. 15756/2013). E’ necessaria, pertanto, una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298, in motivazione, pagg. 9 e 10).

Nel caso di specie il giudice di merito ha esaminato la condizione complessiva del ricorrente, ritenendo insufficiente l’allegazione dell’esistenza di un’emergenza umanitaria e sanitaria in Bangladesh e valorizzando anche il fatto che il richiedente conserva “figure familiari di significativo rilievo in patria” (cfr. pag. 10). Il ricorrente non ha allegato alcuna circostanza specifica a sostegno della sua pretesa condizione di vulnerabilità, limitandosi a richiamare alcuni precedenti di merito, evidentemente relativi a casi diversi e quindi non direttamente rilevanti ai fini della decisione del presente ricorso, dai quali peraltro non sembra potersi trarre alcun principio suscettibile di applicazione generalizzata, e ad insistere sulla sua effettiva integrazione lavorativa in Italia, che tuttavia – come detto – non è di per sè sola sufficiente ai fini della concessione della tutela umanitaria.

Da ciò consegue l’inammissibilità del ricorso.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021

 

 

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