Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 784 del 16/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 784 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

ORDINANZA
sul ricorso 8048-2012 proposto da:
BROGI GIULIANA BRGGLN26I47G716A, NAPPI FRANCO
NPPFNC50A13F839F, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
MONDRAGONE 10, presso lo studio dell’avvocato
MASTRANGELI PIERA, rappresentati e difesi dall’avvocato DE
CESARIS ANDREA, giusta procura ad litem in calce al ricorso;
– ricorrenti contro
BETTI VITTORIO UMBERTO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA PANAMA 58, presso lo studio dell’avvocato MOLINO
CLAUDIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PIEMONTESE PAOLO, giusta mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –

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Data pubblicazione: 16/01/2014

avverso la sentenza n. 154/2011 della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE del 18.1.2011, depositata V1/02/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/11/2013 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott.

ANTONIETTA CARESTIA.

Ric. 2012 n. 08048 sez. M3 – ud. 07-11-2013
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R.g.n. 8048-12 (c.c. 7.11.2013)

Ritenuto quanto segue:
§1. Franco Nappi e Giuliana Brogi hanno proposto ricorso per cassazione contro
Vittorio Umberto Betti avverso la sentenza del 1° febbraio 2011, con cui la Corte
d’Appello di Firenze ha dichiarato improcedibile l’appello da loro proposto contro la
sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Grosseto.
Al ricorso, che prospetta un unico motivo, ha resistito con controricorso il Betti.
§2. Prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui all’art. 380-bis

c.p.c. è stata redatta relazione ai sensi di tale nonna, che è stata notificata agli avvocati
delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.
§3. Le parti hanno depositato memoria.
Considerato quanto segue:
§1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. si sono svolte le seguenti
considerazioni:
§2. Il ricorso si presta ad essere trattato in camera di consiglio con il
procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c., in quanto appare inammissibile sia per
inosservanza del requisito di cui all’art. 366 n. 3 c.p.c., relativo all’esposizione sommaria
dei fatti della causa, sia gradatamente di quello dell’art. 366 n. 6 c.p.c., relativo al’onere di
indicazione specifica degli atti su cui il ricorso stesso si fonda.
§2.1. Con riguardo al primo rilievo, si osserva che la struttura del ricorso si articola,
infatti, per quanto attiene alla parte che dovrebbe esprimere il requisito di cui all’art. 366 n.
3 c.p.c. per ottantotto pagine e mezza, nelle quali, dopo che le prime quindici riassumono lo
svolgimento del giudizio di primo grado, si riproduzione integralmente la sentenza di primo
grado, l’atto di appello del Nappi, la comparsa di appello Betti e la sentenza qui impugnata.
§2.1.2. Ora, anche recentemente, nel solco di una consolidata pregressa
giurisprudenza, simili forme di preteso adempimento dell’onere di cui all’art. 366 n. 3
c.p.c. sono state ritenute inidonee allo scopo per “inutile eccesso” da Cass. sez. un. n. 5698
del 2012, secondo la quale <>.
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Est. Cons. 1ffae1e Frasca

R.g.n. 8048-12 (c.c. 7.11.2013)

In base a tale principio di diritto (le cui implicazioni sono state ulteriormente ribadite
da numerose decisioni successive, come ad esempio, da ultimo, Cass. (ord.) n. 593 del
2013), il ricorso appare inammissibile per inosservanza dell’art. 366 n. 3 c.p.c.
§3. Se si superasse il rilievo di inammissibilità ai sensi di tale norma, si
configurerebbe una inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c., in quanto il motivo di
ricorso si fonda sul contenuto di un atto processuale, una pretesa irrituale comunicazione a
mezzo posta elettronica del rinvio della prima udienza di comparizione del giudizio di

appello, del quale non solo no si trascrive il contenuto e nemmeno lo si riproduce
indirettamente, indicando dove sarebbe riscontrabile, ma del quale, soprattutto, non si dice
se e dove sarebbe esaminabile in questa sede, ove prodotto ai sensi dell’art. 369, secondo
comma, n. 4 c.p.c. In proposito si rileva che nemmeno s’è allegato che l’atto sarebbe
presente nel fascicolo d’ufficio, siccome ammesso per gli atti processuali in ipotesi presenti
in quel fascicolo da Cass. sez. un. n. 22726 del 2011, con esenzione da una separata
produzione, ma fermo restando l’onere di indicazione in siffatto modo agli effetti
dell’osservanza dell’art. 366 n. 6 c.p.c.>>.
§2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle
quali i ricorrenti muovono critiche prive di idoneità a superare i due rilievi di
inammissibilità.
§2.1. Infatti, con riferimento al rilievo di violazione dell’art. 366 n. 3 c.p.c. la
prospettazione è che il precetto di cui a tale norma sarebbe stato soddisfatto «a partire
dalla pagina 89>>. Senonché a partire da tale pagina il ricorso espone, peraltro indicandolo
come primo motivo, l’unico motivo di ricorso e, dunque, la prospettazione dei ricorrenti è
che, in presenza di una parte espressamente dedicata all’assolvimento del requisito dell’art.
366 n. 3 sotto la rubrica “svolgimento del processo” e caratterizzata dalla riproduzione
della congerie di atti indicati nella relazione, la causa di inammissibilità individuata dalla
giurisprudenza richiamata da essa non si configurerebbe perché l’esposizione del fatto si
dovrebbe ricercare nell’esposizione del motivo e nella specie essa sarebbe al’uopo idonea.
Nessuna spiegazione di come e perché una simile prospettazione dovrebbe
conciliarsi con il principio di diritto di cui alla giurisprudenza richiamata dalla relazione i
motivi ed invero ogni spiegazione sarebbe impossibile, perché si dovrebbe ritenere che la
Corte di cassazione, di fronte ad un ricorso caratterizzato da una parte dedicata
all’esposizione del fatto nei termini inutilmente riproduttivi di atti del giudizio di merito,
non dovrebbe rilevare che non si è assolto al requisito dell’art. 366 n. 3 c.p.c., ma

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Est. Cons. Ra aele asca

R.g.n. 8048-12 (c.c. 7.11.2013)

dovrebbe, nonostante una simile fattura del ricorso, passare alla lettura del o dei motivi, per
valutare se la relativa illustrazione soddisfi quel requisito.
Tale prospettazione, se fosse congrua, segnerebbe la negazione stessa della rilevanza
del principio di diritto di cui a Cass. sez. un. n. 5698 del 2012, perché si risolverebbe
semplicemente nella conclusione dell’irrilevanza della adozione da parte del ricorrente di
una tecnica di assolvimento del requisito del n. 3 mediante individuazione del fatto tramite
la riproduzione di atti del merito. Ne deriverebbe che il principio di diritto affermato dalle

Sezioni Unite non sarebbe mai applicabile. Né potrebbe predicarsene un’applicazione
condizionata all’esito della lettura dell’illustrazione dei motivi, perché ciò equivarrebbe a
ritenere che è la mancanza dell’esposizione del fatto in detta illustrazione ad assumere
rilievo decisivo e non l’assemblaggio o l’indiscriminata riproduzione degli atti del giudizio
di merito a costituire inosservanza dell’art. 366 n. 3 c.p.c.
Ne deriverebbe che la figura di inosservanza individuata dalla giurisprudenza di cui
Cass. sez. un. n. 5698 del 2012 costituisce l’approdo finirebbe per essere del tutto virtuale.
Si deve, poi, osservare che, di fronte ad un ricorso nel quale il litigante in cassazione,
che deve avere un’assistenza tecnica particolarmente qualificata, affidi ad una parte
specifica del ricorso, secondo lo schema auspicato dall’art. 366 c.p.c., l’individuazione del
requisito di cui all’art. 366 n. 3 c.p.c., la Corte di cassazione non sembra legittimata a
ricercare, contro la scelta formale fatta dal medesimo, quel requisito aliunde e, dunque, nei
motivi. E’ sufficiente osservare che tanto significherebbe non tenere conto dell’atteggiarsi
del potere di introdurre la domanda di impugnazione quanto al requisito dell’esposizione
del fatto, che si è espresso nel ricorso per cassazione in un certo modo, cioè con
l’indiscriminata riproduzione, e che implica che una ricerca di detta esposizione nei motivi
non risulterebbe giustificata secondo l’intenzione del ricorrente.
Ben diverso è il caso in cui manchi invece una parte del ricorso destinata
all’esposizione del fatto: in tal caso, essendosi la domanda di impugnazione articolata
formalmente con i motivi, è consentito ricercare se lo scopo cui avrebbe dovuto assolvere
una parte apposita del ricorso dedicata all’esposizione risulti raggiunto per il modo in cui
sono esposti i motivi e cioè o perché esso offre una informazione completa sul fatto
sostanziale e processuale.
Non altrettanto dicasi se nel ricorso il ricorrente ha inteso destinare una parte
apposita di esso all’esposizione e lo ha fatto con le indicate tecniche.
Quanto sostenuto è pienamente conforme a ciò che, con riguardo al problema, hanno
ritenuto le stesse Sezioni Unite, là dove, dopo avere individuato il principio di diritto per
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Est. Cons. Rtffae1e Frasca

R.g.n. 8048-12 (c.c. 7.11.2013)

cui non si può assolvere all’onere di cui al n. 3 dell’art. 366 tramite la riproduzione degli
atti del giudizio di merito e dopo avere osservato espressamente che «La riproduzione
totale o parziale della sentenza impugnata può dunque ritenersi idonea ad integrare il
requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, soltanto quando se ne evinca una chiara esposizione
dei fatti rilevanti alla comprensione dei motivi di ricorso (Cass., n. 5836/2011).», hanno
affermato che «Per converso, il ricorso non può dirsi inammissibile quand’anche difetti
una parte formalmente dedicata all’esposizione sommaria del fatto, se l’esposizione dei

motivi sia di per sé autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili
della vicenda sottostante al ricorso stesso»: è palese che il riferimento alla mancanza di
una parte dedicata formalmente all’esposizione sommaria del fatto, sottende che le Sezioni
Unite hanno inteso limitare la possibilità di ricercare l’esposizione del fatto nei motivi al
solo caso in cui tale parte formale non vi sia e non estenderla al caso di esposizione
presente con la tecnica dell’assemblaggio o della riproduzione degli atti.
Prima di esaminare i motivi la Corte di cassazione dev’essere, invece, messa in
grado, attraverso una riassuntiva esposizione di percepire sia l’origine sostanziale della
vicenda di cui è processo, sia il suo dipanarsi nello svolgimento dei gradi di merito, in
modo da poter poi procedere allo scrutinio dei motivi con i dati indispensabili per valutare
se, in relazione all’atteggiarsi della detta vicenda ed allo svolgimento processuale i motivi
sono deducibili e pertinenti, valutazione che è possibile solo se chi li esamina è stato messo
al corrente della vicenda sostanziale e processuale in modo complessivo e non, come
invece, opina parte ricorrente, nei limiti di quanto, secondo la prospettazione del motivo,
fonda il motivo. Infatti, la sola percezione di quella parte dello svolgimento processuale
funzionale alla prospettazione del motivo potrebbe, se non esaminata al lume di una previa
percezione del fatto sostanziale e processuale nella sua interez7a, risultare inidonea a
consentire alla Corte di apprezzare se, in relazione a detto fatto, il motivo ha possibilità di
essere dedotto in Cassazione.
D’altro canto, allorquando il ricorrente in cassazione rediga il ricorso in modi simili a
quello che presenta il ricorso in esame, cioè ritenendo di assolvere al requisito di cui
all’art. 366 n. 3 c.p.c. tramite la riproduzione di una congerie di atti, poiché è egli stesso
che ha indicato alla Corte la modalità di assolvimento dell’onere di enunciare detto
requisito, resta preclusa la possibilità di procedere alla lettura dei motivi per valutare se da
essi, in ipotesi emerga l’esposizione del fatto per quanto necessario al loro esame.
Non è senza rilievo, d’altronde, che un criterio come quello predicato dalla
ricorrente, cioè che di fronte ad un’esposizione assemblata o riproduttiva comunque si
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Est. Cons. Raffaele Frasca

R.g.n. 8048-12 (c.c. 7.11.2013)

debba procedere alla lettura dei motivi per vedere se in essi si coglie l’esposizione del
fatto, comporterebbe un dispendio di energie e di tempo da parte della Corte di cassazione
e ciò per un atteggiamento del ricorrente di mancato rispetto del modello legale del ricorso
che non è frutto di particolare rigore formalistico o di prescrizione legislativa
eccessivamente rigorosa, sì da poter incidere, anche nell’ottica della CEDU, sull’effettività
del rimedio del ricorso per cassazione, una volta ammesso dall’ordinamento, ma
semplicemente di una scelta che in modo palese contraddice una prescrizione legislativa
semplice e facilmente osservabile, qual è quella di riassumere il fatto sostanziale e

e

processuale e, quindi, collocare il giudizio di cassazione nella cornice della sua percezione.
Di fronte ad un ricorso che per l’adozione della nota tecnica non ha messo in grado la
Corte di percepire il fatto sostanziale e processuale, e, quindi non solo in una situazione di
conclamata mancanza formale di un idoneo requisito del n. 3 dell’art. 366 c.p.c., del resto
non impositivo di particolari difficoltà di adempimenti, bensì anche di fronte alla
percezione di un atteggiamento del ricorrente che ha ritenuto di adempiervi in modo
erroneo, cioè con tutti o una serie di atti integrali del giudizio invece che con una modesta
attività riassuntiva, si dovrebbe, del resto, procedere alla lettura dei motivi “alla cieca” e
contro la stessa volontà così manifestata dal ricorrente.
Va, d’altronde rilevato che, essendo il modello legale del contenuto del ricorso per
cassazione previsto con l’onere di redigere in una sua parte l’esposizione sommaria, una
volta che il ricorrente ha inteso assolvere a tale requisito con una simile parte, ma con una
modalità erronea, la stessa ricerca in altra parte del ricorso, come quella destinata secondo
lo schema legale all’enunciazione dei motivi, rappresenterebbe una manifesta
contraddizione della volontà del ricorrente, che, adempiendo in quel modo, ha inteso
assolvere con esso al requisito. E’ vero che la volontà riguardo all’atto processuale non ha
rilievo, ma ai fini della individuazione della sua efficacia e non già della stessa scelta della
forma da parte di chi lo compie.
Le svolte considerazioni sono sufficienti ad evidenziare l’infondatezza della
argomentazione della memoria, non senza che debba pure rilevarsi che nella specie, ove
fosse stato possibile desumere dal motivo l’esposizione, si sarebbe dovuto considerare che
i ricorrenti nella memoria non hanno dimostrato come e perché espressioni
dell’illustrazione del motivo dovrebbero assumere il carattere di quella esposizione, ma lo
hanno assunto del tutto apoditticamente facendo riferimento a parti dell’illustrazione del
motivo a carattere argomentativo o riproduttive della sentenza impugnata e non descrittive
del fatto.
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Est. ConsiRaffa1 Frasca

R.g.n. 8048-12 (c.c. 7.11.2013)

Il principio di diritto che giustifica la conferma del rilievo di inarnmissibilità del
ricorso per inosservanza dell’art. 366 n. 3 c.p.c. è il seguente: <>.

§2.2. Il rilievo relativo alla inosservanza dell’art. 366 n. 6 c.p.c., poi, è svolto
assumendo che erroneamente la relazione avrebbe detto che non si sarebbe indicata la
presenza dell’atto processuale cui il motivo si riferisce nel fascicolo d’ufficio: ma la
relazione ha detto che tale indicazione non la si è fornita nel rispetto dell’art. 366 n. 6,
norma che imponeva la trascrizione diretta del detto atto per la parte idonea a sorreggere il
motivo o l’indiretta riproduzione del contenuto con precisazione della corrispondenza
della riproduzione ad una certa parte dell’atto ed inoltre la precisazione della sede in cui
l’atto nel fascicolo sarebbe stato esaminabile. I ricorrenti mostrano invece di considerare
sufficiente la sola indicazione generica della presenza nel fascicolo d’ufficio dell’atto
processuale, ma in tal modo mostrano di non avere esatta percezione della giurisprudenza
sull’art. 366 n. 6 c.p.c. (sul quale, da ultimo, si veda ampiamente Cass. n. 7455 del 2013).
§3. Il ricorso dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in
dispositivo.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione al
resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro tremiladuecento, di cui
duecento per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 7
novembre 2013.

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