Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7831 del 31/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 31/03/2010, (ud. 24/02/2010, dep. 31/03/2010), n.7831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI FORMIA (LT) in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI ANGELONI 4 presso lo

studio dell’Avvocato FALZONE FRANCESCO, che lo rappresenta e difende

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POGGIO DI MOLA S.R.L.;

– intimata –

sul ricorso 11732-2008 proposto da:

POGGIO DI MOLA S.R.L. in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 43 presso lo studio dell’Avvocato

D’AYALA VALVA FRANCESCO, che la rappresenta e difende giusta procura

a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

COMUNE DI FORMIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 42/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il 08/02/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/02/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il ricorrente l’Avvocato FRANCESCO FALZONE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che ha

chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e di quello incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 18-2-2003 il Comune di Formia notificava alla società Poggio di Mola s.r.l. una cartella di pagamento con la quale intimava il pagamento della imposta comunale sugli immobili per gli anni dal 1993 al 1997 relativa ad aree fabbricabili di proprietà della società site nel territorio del comune.

La cartella era impugnata dalla società innanzi la Commissione Tributaria Provinciale di Latina sul rilievo che tutti gli avvisi di accertamento relativi alle annualità in contestazione erano stati impugnati innanzi a detta Commissione Tributaria, i relativi procedimenti erano ancora pendenti, e per tre di essi era intervenuta sentenza di primo grado di parziale accoglimento, per cui la pretesa tributaria era in contrasto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68.

Il Comune si costituiva negando la applicabilità alla fattispecie dell’art. 68 citato.

La Commissione respingeva il ricorso.

Appellava la società e la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, con sentenza n. 42/39/07, in data 18-1-2007, depositata in data 8.2-2007 lo accoglieva, ritenendo che la riscossione sia del tributo che delle sanzioni dovesse essere graduata secondo le regole previste in caso di impugnazione giudiziale del titolo.

Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione il Comune, con tre motivi.

Resiste la società con controricorso, e propone ricorso incidentale con un motivo. Entrambe le parti depositano memorie difensive.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, i ricorsi principale ed incidentale devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo, il Comune deduce la insufficiente motivazione della sentenza in ordine ad un fatto controverso e decisivo, ex art 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 12, in relazione all’art 360 c.p.c., n. 3.

Espone che la sentenza, nel l’accogliere l’appello della società contribuente disponendo la graduazione della riscossione, non ha specificato quale norma ritenesse applicabile tra le due invocate in sede di gravame, ovvero il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 e il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15.

Sostiene comunque che il D.Lgs. citato, art. 68, non può essere invocato nella fattispecie, in quanto la sua applicabilità è limitata ai casi in cui la legge regolatrice del tributo ammette la riscossione coattiva frazionata e l’ipotesi non si verifica nel caso dell’ICI, la cui riscossione è regolata dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 12, che la prevede per l’intero; la stessa argomentazione vale anche per le sanzioni, pure graduate dalla Commissione di appello.

Formula il seguente principio di diritto;

“dica la Corte se in materia di ICI per il quale non è prevista la riscossione coattiva frazionata siano applicabili le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 e se la Commissione Tributaria Regionale con la impugnata sentenza sia incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art. 68 citato, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 12, avendo ritenuto la illegittimità della iscrizione a ruolo e della riscossione per intero delle somme richieste, in quanto ” andavano applicate le regole della graduazione previste per il caso di impugnazione giudiziale del titolo” e se sia incorsa nella violazione e falsa applicazione dei suddetti articoli per avere ritenuto la illegittimità della iscrizione a ruolo anche sotto il profilo sanzionatorio, in quanto le sanzioni avrebbero dovuto essere “rapportate” alla percentuale di imposta dovuta.” Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15 e del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, ed inoltre insufficiente motivazione.

Sostiene infatti che la disposizione di cui al citato art. 15, che prevede la riscossione frazionata in caso di pendenza processuale in ragione della metà dell’imponibile accertato, non è applicabile in quanto riferita esclusivamente alla imposta sui redditi, come si evince dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 19. Inoltre, essendo stata la relativa eccezione proposta dalla contribuente solo in grado di appello, si è verificata violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57. Formula il seguente principio di diritto:

“dica la Corte se in materia di ICI, per cui non è prevista la riscossione coattiva frazionata, siano applicabili le disposizioni di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, e se la Commissione Tributaria Regionale con la impugnata sentenza sia incorsa nella violazione e falsa applicazione di esso e del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 19, che prevede espressamente che le disposizioni di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, si applicano alle sole imposte sui redditi, nonchè se abbia violato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, essendo stato sollevato solo in appello il vizio di violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15.” Con il terzo motivo, deduce la violazione del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, nonchè difetto di motivazione, in relazione all’accoglimento della eccezione sollevata dalla società solo in appello, relativa alla applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19, e formula il seguente principio di diritto; “dica la Corte, se la Commissione Tributaria Regionale con la impugnata sentenza, nell’avere ritenuto la illegittimità della iscrizione a ruolo “anche sotto il profilo sanzionatorio, in quanto le stesse andavano rapportate alla percentuale di imposta prevista per il caso di debenza risultante dalla sentenza emessa dai giudici di 1^ grado” sia incorsa nella violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, stante la ex adverso dedotta violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19, solo in grado di appello.” La società nel controricorso contesta la fondatezza delle argomentazioni dedotte dal Comune e formula ricorso incidentale, con un motivo. Con detto motivo, deduce violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 50 e 6, in relazione all’art. 75 c.p.c., comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Rileva che il Comune di Formia si era costituito in grado di appello in persona non del sindaco, bensì del dirigente del settore entrate del Comune, con conseguente inammissibilità della costituzione in giudizio dell’ente. La eccezione tempestivamente formulata da essa società era stata rigettata, sull’assunto che “il potere di rappresentanza attribuito al dirigente è insito nella delega rilasciata dal sindaco, nonchè nel regolamento comunale, per cui ritiene il Collegio che l’ente può stare in giudizio anche a mezzo del dirigente del settore entrate.” Sostiene che la argomentazione è contraria alla legge, in quanto la rappresentanza processuale del Comune in capo al sindaco può essere derogata solo tramite lo statuto del Comune e non mediante regolamento, tanto più che la delibera di giunta ad avviso del Comune legittimante il potere di rappresentanza del dirigente in realtà conferiva a quest’ultimo solo la difesa tecnica, rimanendo immutato il ruolo di rappresentanza del sindaco, ed inoltre la stessa delibera non era stata allegata all’atto di appello, contrariamente al disposto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art 53.

Sostiene altresì che il vizio non può considerarsi sanato dal D.L. n. 44 del 2005, art. 3 bis, comma 1, che ha modificato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 3, ammettendo la rappresentanza processuale del comune in capo al dirigente dell’Ufficio Tributi, con effetto sui processi pendenti alla data del 1-6-2005, in quanto 1) la delibera di giunta manteneva in capo al sindaco la rappresentanza 2) la costituzione in appello del Comune è avvenuta in data anteriore alla entrata in vigore della legge, per cui a tale epoca il comune era rappresentato esclusivamente dal sindaco, essendo applicabile la legge di modifica solo per una costituzione successiva alla vigenza della legge di riforma.

Formula il seguente principio di diritto:

” dica la Corte se in mancanza di espressa previsione statutaria sia ammissibile la costituzione in giudizio avanti la Commissione Tributaria Regionale, del Comune di Formia, in persona del dirigente del settore entrate, in violazione, in primis, di quanto disposto dalla delibera di giunta la quale conferiva a detto dirigente esclusivamente la difesa tecnica dell’ente, mentre autorizzava il sindaco alla proposizione dell’appello, nonchè del combinato disposto del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 50 e 6 dell’art. 75 c.p.c., il quale prescriva che il sindaco ha la rappresentanza dell’ente, a lui solo è riconosciuta la capacità di stare in giudizio, salva diversa previsione dello Statuto”.

Occorre anzitutto prendere in considerazione, per il suo carattere preliminare ed assorbente, il primo motivo del ricorso incidentale, relativo alla inammissibilità dell’appello del Comune in quanto costituito in persona del dirigente dell’ufficio Entrate in luogo del sindaco.

Il motivo è infondato.

Come rammentato dalla stessa ricorrente incidentale, in tema di contenzioso tributario (con esclusione del giudizio di cassazione) il del D.L. n. 44 del 2005, art. 3 bis, comma 1, convertito con modificazioni nella L. n. 88 del 2005, nel sostituire il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 3, ha attribuito la rappresentanza processuale dell’ente locale al dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, in mancanza di tale figura, al titolare della posizione organizzativa comprendente detto ufficio.

Il comma 2 di tale articolo dichiara espressamente che detta disposizione si applica “anche ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto” ovvero al 1^ giugno 2005.

La espressione usata, con la congiunzione “anche” dimostra che detto disposto si applica anche ai casi in cui, nella pendenza del processo, la costituzione dell’ente sia avvenuta prima della entrata in vigore della legge, con valore sanante di eventuali violazioni della precedente normativa, purchè il processo sia tuttora in corso alla predetta data.

Diversamente opinando, ovvero che la disposizione si applichi ai processi pendenti limitatamente alla costituzione che avvenga in un grado di giudizio successivo alla data di entrata in vigore della legge, come assume la società contribuente, a prescindere dalla osservazione che la legge non opera alcuna distinzione temporale rispetto alla mera esistenza di un processo in corso, il dettato legislativo in parola non avrebbe senso, in quanto, per i principi che regolano la successione delle leggi processuali nel tempo, a tale ipotesi la legge di riforma sarebbe comunque applicabile, senza alcuna necessità di una norma specifica al riguardo. (v. Cass, 14637/2007, Cass. 13230/09).

Pertanto, essendo il presente procedimento pendente alla data del 1^ giugno 2006, la Costituzione in giudizio del dirigente dell’Ufficio entrate del Comune, che coincide con il dirigente dell’Ufficio tributi, è conforme a legge, con sanatoria ex tunc di eventuali violazioni della precedente normativa.

E’ del pari ovvio che rimane irrilevante una eventuale disposizione comunale che limiti al sindaco il potere di rappresentanza dell’ente, essendo in conflitto con la citata previsione di legge. Tale conclusione rende superfluo l’esame della parte del motivo concernente la mancanza di valida delega al funzionario comunale, che comunque mancherebbe di autosufficienza, avendo la ricorrente incidentale posto a base dell’assunto la mancanza di disposizioni in merito nello statuto comunale, senza nè produrre nè citare in modo testuale lo statuto nella parte sotto tale profilo rilevante.

La statuizione della Commissione Regionale deve quindi essere confermata con diversa motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.

In primo luogo, non esiste la incertezza motivazionale denunciata dall’ente ricorrente. Corrisponde al vero che nella parte motiva della sentenza la Commissione Regionale non ha citato le norme che ritiene applicabili a fondamento della ritenuta necessità di graduazione nella riscossione coattiva degli importi del tributo e della sanzioni; senonchè detta motivazione è collegata alla esposizione delle premesse di fatto, in cui sono enunciati i motivi di gravame della società contribuente che la Commissione in motivazione dichiara espressamente di condividere. Per la parte che interessa, nelle premesse si citano i motivi di gravame dell’appellante nei seguenti termini: “l’appellante sostiene tra l’altro in appello che la sentenza è erronea e che sussiste violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, e che l’atto è illegittimo in quanto sussiste violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19″.

E’ pertanto evidente che queste (e non altre) sono le norme che il giudice di appello ha ritenuto applicabili, e l’assunto è confermato dalla corrispondenza del merito della decisione con il disposto di tali precetti normativi.

Tanto premesso, è errato l’assunto di fondo del Comune ricorrente, secondo cui il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, si applica solo ove le leggi che regolano la riscossione coattiva dei singoli tributi prevedano una esazione frazionata degli stessi.

L’assunto si basa su una lettura testuale della prima parte del primo comma dell’articolo citato, che recita; ” anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi di imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato”.

Il comune ritiene che la prima virgola del periodo abbia una funzione disgiuntiva, e pertanto ne trae la convinzione che l’art. 68 citato si applichi solo “nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo” vista tale frase come sola premessa principale della seguente “il tributo deve essere pagato”.

La lettura in tal senso non è giustificata, in relazione al tenore della intera frase, in cui la virgola ha un mero senso congiuntivo rispetto alla previsione di deroga cui solamente, e non alla frase successiva, l’inciso sopra citato si riferisce, e pertanto il disposto deve leggersi nel senso che il pagamento del tributo deve essere effettuato nelle forme e nei limiti di cui alle disposizioni dell’articolo citato in tutti i casi, ed “anche in deroga” alla disposizioni di leggi speciali concernenti i singoli tributi che prevedano forme di frazionamento diverse, per il caso di pendenza di giudizio tributario, da quelle previste dai commi successivi del medesimo art. 68, che regola appunto tale fattispecie.

Tale interpretazione è univoca, e si fonda sulle considerazioni seguenti:

1) la norma in oggetto è contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, capo 4^, che regola il processo tributario, e che ha come titolo “l’esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie”. La rubrica della disposizione in parola è “pagamento del tributo in pendenza di processo”. Tale collocazione e la intitolazione del disposto in oggetto rende già di per sè evidente che la norma si applica in tutti i casi in cui il tributo sia stato oggetto di impugnazione, e sia intervenuta una sentenza che abbia pronunciato su di esso (v., Cass. n. 7785 del 2008) attenendo alla esecuzione, totale o parziale, della sentenza stessa, non ancora definitiva. Per converso, la norma in questione non può che applicarsi a tutti i tributi in ordine ai quali le Commissioni tributarie siano competenti a pronunciare, tra cui i tributi locali, che pertanto non possono essere esclusi dall’ambito della norma in questione;

2) la distinzione operata dal Comune appare viziata da palese irrazionalità, in quanto, ove corrispondesse al vero che l’art. 68, trovi applicazione solo nei casi in cui già disposizioni di legge vigenti impongano una esecuzione frazionata in pendenza di processo, non avrebbe scopo un intervento del legislatore nel modificare una mera modalità di frazionamento, laddove appare evidente l’intendimento dello stesso di operare una unitario trattamento per tutti i tributi oggetto di giudizio, a prescindere da disposizioni particolari in contrasto con la disposizione unificante:

3) la interpretazione del ricorrente comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti che abbiano impugnato gli atti impositivi, sulla base della esistenza o meno di trattamenti di esecuzione frazionata concernenti i singoli tributi, peraltro non conformi a quanto disposto dalla norma in parola.

Deve inoltre osservarsi che non vi è contrasto alcuno tra la disposizione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 12, che regola la esecuzione coattiva in materia di ICI e che non prevede alcun frazionamento in caso di pendenza di giudizio tributario e quella in esame di cui all’art. 68 citato. Occorre a tal fine considerare che secondo i principi generali la esecutività di un provvedimento autoritativo della pubblica amministrazione non è sospesa o interrotta dalla impugnazione dell’atto innanzi ad una autorità giurisdizionale. Per il caso di pendenza del procedimento innanzi alla commissione tributaria (ove non sia già intervenuta una sentenza di merito, v. infra) l’unico rimedio per il contribuente è il ricorso alla procedura di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47, facendo istanza di sospensione dell’atto impugnato. Ove invece sia intervenuta una sentenza di merito, la norma applicabile a favore del contribuente diventa il citato art. 68, la cui funzione di garanzia in tal senso è esplicitata dalla espressione “il tributo .. deve essere pagato” con riferimento successivo ai limiti posti al dovere di adempimento a carico del contribuente a seguito della pronuncia della sentenza non definitiva, e non alla validità della imposizione da parte del soggetto attivo di imposta.

In conclusione, una cartella esattoriale emessa in conformità al disposto di cui all’art. 12 della legge regolatrice dell’ICI per l’intero è legittima anche ove esista procedimento tributario pendente, ove tuttavia non sia stata emessa, in detto procedimento, una sentenza di merito.

Nel caso in questione, non è controverso che per alcune annualità considerate nella cartella fossero già intervenute all’epoca della notificazione sentenze di merito di primo grado, per cui in ordine all’ammontare dei relativi tributi ed interessi doveva applicarsi la graduazione di cui all’art. 68 cit., rimanendo la cartella per dette annualità inefficace per la parte eccedente i limiti di legge.

Analogo discorso deve farsi in ordine alle sanzioni, per le quali il disposto di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 19, comma 1, recita testualmente: “in caso di ricorso alle commissioni tributarie, si applicano le disposizioni dettate dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, commi 1 e 2”.

Ne consegue che la sentenza è corretta, e sul punto impugnato non meritevole di censura (non essendo stato oggetto di impugnazione la mancata distinzione da parte del giudice di merito delle conseguenze della graduazione per le singole annualità).

Il secondo motivo è inammissibile, giacchè per quanto sopra si è detto la Commissione Regionale non ha applicato alla fattispecie il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, esorbitando quindi la censura dalla “ratio decidendi” della sentenza impugnata.

Il terzo motivo è infondato.

Come si è detto, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19, richiama espressamente per le sanzioni la disciplina di cui all’art. 68 più volte citato. Ne consegue che il riferimento in primo grado a detta disciplina per le sanzioni è sufficiente, essendo il richiamo all’art. 19 in sede di ricorso in appello non una eccezione nuova, ma un mero rinvio ad una norma giuridica che regola la fattispecie oggetto di giudizio, questione quindi rilevabile anche di ufficio.

I ricorsi principale ed incidentale devono quindi essere rigettati.

La reciproca soccombenza e la peculiarità delle questioni trattate giustificano la compensazione della spese di questa fase di giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2010

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