Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7830 del 20/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 7830 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 2680-2014 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, – Società con socio unico – in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
V.LE NIAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI
FIORILLO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrente contro
VIGLIONE CRISTINA;
– intimata avverso la sentenza n. 7644/2012 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI del 6/12/2012, depositata il 18/01/2013;

Data pubblicazione: 20/04/2016

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES.

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9
marzo 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente

“La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 18 gennaio 2013,
confermava la decisione del Tribunale in sede nella parte in cui aveva
dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro
intercorso tra Viglione Cristina e Poste Italiane s.p.a. per il periodo dal
12 luglio al 15 settembre 2003, accertato la intercorrenza di un
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti e
condannato la società alla riammissione in servizio della lavoratrice; la
riformava sul capo relativo alle conseguenze economiche derivate dalla
declaratoria di nullità del termine applicando lo ius superveniens costituito
dall’ art. 32, co.5°, 1. n. 183/2010 e determinando l’indennità di cui alla
detta norma in tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto
oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.
Il termine era stato apposto “ai sensi dell’art. 1 d.Lgs. n. 368/2001
per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di
provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio recapito
presso il Polo Corrispondenza Campania, assente con diritto alla
conservazione del posto di lavoro…..”.
La Corte territoriale, rilevata la legittimità della clausola appositiva
del termine perché sufficientemente specifica, riteneva che la società
non avesse provato la ricorrenza in concreto, in riferimento all’ufficio
di destinazione della lavoratrice, delle esigenze indicate in contratto.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso Poste Italiane
affidato ad un unico motivo.
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relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

La Viglione è rimasta intimata.
Con l’unico motivo di ricorso viene dedotto omessa esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti (in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.) nonché violazione e falsa
applicazione degli artt. 253, 420 e 421 c.p.c. in quanto la Corte di

prodotta dalla società ed erroneamente aveva ritenuto inammissibili i
capitoli della prova testimoniale così come articolati omettendo,
peraltro, anche di far ricorso ai poteri ufficiosi in materia di
ammissione della prova.
Il motivo è inammissibile.
Preliminarmente, va rilevato che alla presente controversia va
applicato il nuovo testo dell’art. 360, secondo comma, n. 5, c.p.c.
(come modificato dall’art. 54, comma 1° lett. b) di 22 giugno 2012, n.
83, conv. con modifiche in legge 7 agosto 2012 n. 134) essendo stata
pubblicata l’impugnata sentenza dopo 11 settembre 2012 ( ai sensi
dell’art. 54, comma 3 0 di. cit.).
Orbene, le Sezioni Unite di questa Corte ( SU n. 8053 del 7 aprile
2014) hanno avuto modo di precisare che a seguito della modifica
dell’art. 360, comma 10 n. 5 cit. il vizio di motivazione si restringe a
quello di violazione di legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al
giudice di indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni
di fatto e di diritto della decisione”.
Ed infatti perché violazione sussista si deve essere in presenza di un
vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto
dall’art. 132, n. 4, c.p.c. la nullità della sentenza per mancanza di
motivazione” fattispecie che si verifica quando la motivazione manchi
del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le
argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non
Ric. 2014 n. 02680 sez. ML – ud. 09-03-2016
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appello non aveva in alcun modo esaminato la documentazione

permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del

decisum.”.
Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla
motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il
controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o

contraddittorietà e dell’illogicità manifesta).
Inoltre, il vizio può attenere solo alla questio facti (in ordine alle questi°

ihris non è configurabile un vizio di motivazione) e deve essere testuale,
deve, cioè, attenere alla motivazione in sè, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali.
Quanto invece allo specifico vizio previsto dal nuovo testo dell’art.
360, n. 5, c.p.c., in cui è scomparso il termine motivazione, deve
trattarsi di un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la
cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che
abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere

decisivo

(vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso
della controversia).
Le Sezioni unite hanno specificato che “la parte ricorrente dovrà
indicare — nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366, primo
comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.- il fatto storico, il cui
esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o
extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui risulti l’esistenza,
il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato
oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso”, fermo
restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per
sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico,
rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal

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della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile

giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le
risultanze probatorie.
Ciò detto si rileva che il motivo all’esame finisce con il lamentare non
l’omessa valutazione di un fatto storico, nella accezione sopra indicata,
bensì di risultanze istruttorie (la documentazione prodotta) che finisce

inammissibile in questa sede. Invero, è stato in più occasioni affermato
da questa Corte che la valutazione delle emergenze probatorie, come la
scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere
la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice
del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una
fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che
quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere
tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le
deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010;
Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003).
Ad ogni buon conto la Corte territoriale ha evidenziato che la
documentazione agli atti era generica con riferimento al personale
addetto al servizio recapito e che la prova testimoniale era
inammissibile perché genetica ed in quanto involgente giudizi e
valutazioni, sicché la contestazione finisce con il risolversi nella
inammissibile prospettazione di un preteso migliore e più appagante
coordinamento dei dati acquisiti.
Infine, quanto alla censura relativa alla mancata attivazione dei poteri
di ufficio in materia di prova da parte dei giudici, si rileva che la società
non specifica se in proposito abbia tempestivamente invocato tale
esercizio, con la necessaria indicazione dell’ometto possibile degli
stessi ciò anche in palese violazione del principio di autosufficienza del
ricorso.
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con il sollecitare una nuova valutazione del merito della controversia

Per tutto quanto sopra considerato, si propone la declaratoria di
inammissibilità del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod.
proc, civ., n. 5.”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in

Il Collegio condivide pienamente il contenuto della relazione e,
quindi, dichiara inammissibile il ricorso.
Non si provvede in ordine alle spese del presente giudizio essendo la
Viglione rimasta intimata.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto
dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di
stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti
iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame,
avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è
perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario
(Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il
presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai
sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
nel testo introdotto dall’arti, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n.
228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del
rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante,
del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

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Camera di consiglio.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, 9 marzo 2016.

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