Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7830 del 03/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 7830 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA

sul ricorso 9539-2008 proposto da:
BGS GENERAL S.R.L. C.F. 01785670157, in persona del
legale rappresentante pro tempore, domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato CHIRICO FILADELFO, giusta delega in
2014

atti;
– ricorrente –

446

contro

BUCCI PASQUALE C.F. BCCPQL62S03F205U, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PAOLO DI DONO 3/A, presso lo

Data pubblicazione: 03/04/2014

studio

dell’avvocato

DE

BERARDINIS

PAOLO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ZAMBRANO PIETRO,
ZAMBRANO CLAUDIO, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 8/2008 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/02/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANA
DORONZO;
udito l’Avvocato MOZZI VINCENZO per delega ZAMBRANO
PIETRO e ZAMBRANO CLAUDIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per: in
via principale inammissibilità, in subordine rigetto.

MILANO, depositata il 07/01/2008 R.G.N. 215/2006;

Udienza 6 febbraio 2014
R.G. n. 9539/2008
Bgs Generai sr.!. c/ Bucci

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con sentenza del 7 gennaio 2008 la Corte di appello di Milano, sull’appello
proposto dalla BGS General s1.1., confermava la sentenza del Tribunale di Milano
con cui era stata rigettata l’opposizione, proposta dalla stessa BGS, avverso il
precetto di pagamento della somma di E 6.491,17, oltre accessori, intimatogli da
d’appello milanese.
2. -Nella sentenza qui impugnata, la Corte di appello rilevava che:
– il credito azionato in via esecutiva traeva titolo dalla sentenza n. 896/2004 della
Corte di appello di Milano;
– la sentenza aveva riconosciuto alla BGS s.r.l. un credito nei confronti del Bucci, a
titolo di risarcimento dei danni per la violazione dell’obbligo di fedeltà, commessa
durante l’intercorso rapporto di lavoro dal Bucci, che era stato così condannato al
relativo pagamento in solido con altri soggetti;
– la stessa sentenza aveva pure riconosciuto al Bucci l’importo di C 6.491,17 quale
residuo delle sue competenze di fine rapporto, da detrarre in compensazione dal
maggior credito riconosciuto alla BGS.
La Corte territoriale riteneva che tale capo della sentenza fosse passato in giudicato e
non poteva quindi essere più censurato con l’atto di opposizione al precetto.
3. – Contro la sentenza la BGS Generai s.r.l. propone ricorso per cassazione ex art.
360, n. 3 c.p.c., fondato su di un unico motivo, riassunto in un quesito di diritto.
Il Bucci ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con l’unico motivo di gravame la società ricorrente denuncia la violazione degli
artt. 429 c.p.c. in relazione all’art. 474 c.p.c. e 2909 c.c..
1.1.- In particolare, ritiene che la sentenza impugnata avrebbe violato il giudicato di
cui alla sentenza n. 896/2004 — e posta a base del precetto di pagamento intimato dal
Bucci — procedendo ad un’errata interpretazione della stessa, nonché della sentenza
di primo grado che l’aveva preceduta e con la quale il Bucci, in solido con altri
soggetti, era stato condannato al pagamento in favore di essa ricorrente della somma
di € 392.507,24, “previa detrazione, quanto a Bucci Pasquale, delle competenze di
fine rapporto a lui dovute”.

i

Pasquale Bucci in forza dalla sentenza n. 896/2004 emessa dalla stessa Corte

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Bgs Generai s.r.l. c/ Bucci

1.2. – In realtà, sostiene la ricorrente, da un lato, la sentenza di primo grado non
aveva precisato l’ammontare delle somme dovute nel dispositivo letto in udienza,
dall’altro le dette competenze non risultavano neppure nella motivazione, con la
conseguenza il credito del Bucci non poteva dirsi in alcun modo accerto, né
accertabile. Ciò costituiva violazione degli articoli 474, in relazione all’art. 429 c.p.c.
1.3. – Peraltro, anche la sentenza di appello (n. 896/2004) – pronunciata sul gravame
proposto dallo stesso Bucci e diretto ad ottenere la condanna della GBS al pagamento
in suo favore della somma di E 6.491,17 (quale residuo della maggior somma
spettantegli, essendo stata in parte già spontaneamente compensata dalla GBS) – non
conteneva alcuna statuizione nel dispositivo, e solo nella motivazione era dato di
leggere che permaneva un credito del Bucci, pari a 6.491,17 ra credito del Bucci
erano però le spettanze di fine rapporto… nel frattempo pagate per l’importo di e
10.845,591, da dedurre in compensazione con il suo maggior credito (“Restano
ancora da detrarre in compensazione in relazione al maggior credito della BGS per
il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dell’obbligo di cui all’art. 2105
c.c.”).

1.4. – La sentenza impugnata, nell’affermare che il credito del Bucci era stato così
accertato con statuizione passata in giudicato, era incorsa essa stessa nella violazione
del giudicato, sia della sentenza di primo grado sia della sentenza di appello,
mancando nel dispositivo di entrambe la quantificazione della somma dovuta.
1.5. – Inoltre, la statuizione della Corte milanese era errata nella parte in cui aveva
escluso l’esistenza di un contrasto tra motivazione e dispositivo nella sentenza posta a
base del precetto, ed aveva invece statuito che la motivazione della detta sentenza
aveva operato una mera specificazione dell’esatto ammontare del credito residuo del
Bucci, specificazione che, con il passaggio in giudicato della sentenza, non poteva
essere più messa in discussione: al contrario, sempre secondo la ricorrente, la
mancanza di ogni statuizione di condanna nel dispositivo aveva reso nulla la
sentenza e la sua mancata impugnazione aveva cristallizzato la situazione indicata in
dispositivo, per la prevalenza ad esso assegnato, rispetto alla motivazione, dalla
uniforme giurisprudenza di legittimità che copiosamente richiama.

2

e in relazione all’art. 2909 c.c.

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Bgs Generai s.r.l. ci Bucci

1.6. – Chiede pertanto l’annullamento della sentenza, con la declaratoria della nullità
del precetto e la condanna del Bucci al risarcimento del danno per responsabilità
aggravata ex art. 96 c.p.c.
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “Confermi la Suprema Corte
di cassazione il suo costante orientamento secondo cui nelle controversie

prevalenza sulla motivazione successivamente depositata per cui sono prive di effetti
le statuizioni presenti nella motivazione ma non nel dispositivo”.

2. – Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2:1, – E ormai principio consolidato di questa Corte che il quesito di diritto che, ai
sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la parte ha l’onere di formulare a pena d’inammissibilità
deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al
vaglio del Giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta,
negativa o affermativa, che ad essa si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento o
il rigetto del gravame (cfr. Cass., Sez. Un., 28 settembre 2007, n. 20360; Cass., sez.
un., 30 ottobre 2008, n. 26020).
2.2. – La sua formulazione non può risolversi in una generica richiesta rivolta alla
Corte di stabilire se sia stata violata una certa norma, o se è corretta una certa
affermazione, ma postula l’enunciazione, da parte del ricorrente, di un principio di
diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e, perciò, tale
da implicare un ribaltamento della decisione assunta dal giudice di merito (cfr.
Cass., 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass., 23 settembre 2013, n. 21672 ).
Conseguentemente, esso deve tener conto della effettiva ratio decidendi, non
potendo consistere nell’enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia,
senza porle a raffronto con il concreto accertamento compiuto nella sentenza
impugnata (Cass , 4 gennaio 2011, n: 80; Cass„ sez_un., 9 dicembre 2008, n_ 28869)

e senza chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza in relazione alla concreta
controversia.
2.3. — Inoltre, è stato affermato anche dalle Sezioni unite che, in caso di
proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti
articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse,
sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi,
3

assoggettate al rito del lavoro, il dispositivo delle sentenze letto in udienza ha la

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affinché non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi
che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti
per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la
conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente
trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione
della Corte di cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti
idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione (Cass.,
sez. un., 9 marzo 2009, n. 5624; Cass., 28 giugno 2013, n. 16345).
3. — Nel caso in esame, la censura si conclude con l’unico quesito riguardante la
correttezza dell’affermazione che nelle controversie assoggettate al rito del lavoro il
dispositivo delle sentenze letto in udienza ha la prevalenza sulla motivazione
successivamente depositata, per cui sono prive di effetti le statuizioni presenti nella
motivazione ma non nel dispositivo.
3.1. – Questa affermazione, prospettata in termini così assiomatici, è di per sé errata,
oltre che astratta ed inconferente rispetto al decisum della corte milanese.
3.1.1.- E’ errata giacché, in linea teorica, anche nel rito del lavoro, – sia pure con i
limiti dati dalla funzione peculiare che il dispositivo assolve in tale tipo di processo,
in quanto atto di rilevanza esterna, che racchiude gli elementi del comando giudiziale
che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione (Cass. 15
gennaio 1996 n. 279), atteso che la sua lettura in udienza fissa in maniera
immodificabile il comando stesso, portandolo ad immediata conoscenza delle parti,
che di esso possono avvalersi come titolo esecutivo autonomo (v. Cass., 26 maggio
2005, n. 11195) – vige il principio secondo cui la portata precettiva di una pronunzia
giurisdizionale va individuata tenendo conto non soltanto delle deliberazioni
formalmente contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni contenute nella
motivazione, le quali, se risultano intese a dare atto, ex professo ed in modo univoco,
dell’esistenza di un diritto o di una determinata situazione giuridica, incidono sul
momento precettivo della pronuncia e debbono considerarsi integrative del contenuto
formale del dispositivo, nel quale non sia fatta esplicita menzione del diritto o della
situazione che formarono oggetto dell’accertamento (Cass., 22 giugno 1982, n. 3800;
Cass., 8 marzo 2007, n. 5337, e sull’applicabilità di tale principio al rito del lavoro,
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le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano

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Cass. 21 ottobre 2010, n. 21885, in motivazione; Cass.,10 gennaio 2006, n. 160;
Cass., 26 maggio 2005, n. 11195; Cass., 17 aprile 2009, n. 9245; Cass., 29 novembre
1996 n. 10697; Cass.,11 gennaio 2001 n. 300).
3.1.2. – Il principio dell’integrazione opera pertanto ogniqualvolta il contrasto tra
dispositivo e motivazione sia solo apparente e superabile attraverso l’interpretazione
terminologiche utilizzate, ed alla luce della motivazione offerta dEt giudice (Cass., 23
settembre 1998 n. 9528; Cass. 6 novembre 2002 n. 15586; Cass. 7 luglio 2003 n.
10653).
3.1.3. — Per converso, deve desumersi che il principio invocato dalla ricorrente della
non integrabilità del comando contenuto nel dispositivo con quanto affermato dal
giudice nella parte motiva della sentenza, non è assoluto, ma suppone che sia
ravvisabile un insanabile contrasto tra le due parti della motivazione (Cass., 10 aprile
2010, n. 8894).
3.2. — Il quesito è altresì inconferente rispetto alla concreta fattispecie esaminata dal
giudice del merito e alle ragioni della sua decisione: la Corte milanese ha infatti
escluso che nella sentenza posta a base del precetto fosse ravvisabile quell’insanabile
contraddizione tra motivazione e dispositivo, che sola esclude la possibilità di una
lettura integrata della sentenza.
Al contrario, ha ritenuto che dalla sua lettura fosse evincibile la ratio decidendi
costituita dall’accertamento del credito del Bucci nella misura indicata.
In sostanza, ha proceduto ad una interpretazione del titolo esecutivo — costituito,
appunto, dalla sentenza passata in giudicato — attraverso l’esame del suo contenuto e
della sua portata precettiva e tale interpretazione è incensurabile in sede di legittimità
ove non risultino violati i criteri giuridici che regolano l’estensione ed i limiti della
cosa giudicata ed il procedimento interpretativo sia immune da vizi logici (Cass., 5
ottobre 1999, n. 11033; Cass., 13 giugno 1975, n. 2391).
3.2.1. – A scalfire tale affermazione non possono invocarsi i poteri di rilievo officioso
e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità,
atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi
come “giudicato esterno” (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo),
non opera come decisione della lite, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, al pari
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del dispositivo stesso (Cass., 6 aprile 2000 n. 4304), a prescindere dalle improprietà

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degli altri titoli esecutivi, non va intesa come momento terminale della funzione
cognitiva del giudice, bensì come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come
condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa (Cass., 6 luglio 2010, n.
15852; Cass., 17 aprile 2009, n.9245; Cass., 9 agosto 2007, n. 17482; Cass., 23
maggio 2006 n. 12117; Cass., 21 novembre 2001, n. 14727; Cass., 4 aprile 2001, n.
3.2.2. – La censura mossa dalla ricorrente e sintetizzata nel quesito su riportato è,
invece, tutta incentrata su una pretesa violazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c.
costituita dall’aver erroneamente dato prevalenza alla motivazione della sentenza
rispetto a quanto (non) statuito in dispositivo e richiama la giurisprudenza della Corte
di cassazione che ribadirebbe questi principi.
3.2.3. — Ma tali principi, come si è detto, non si attagliano al caso di specie, giacché il
giudice dell’opposizione ha, con ragionamento non censurato sotto il profilo
dell’omessa o insufficienza o contraddittorietà della motivazione, escluso l’esistenza
del contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo e ritenuto di superare
l’incertezza interpretativa risultante dalla mancata riproduzione nel dispositivo di una
parte della decisione, nel senso della prevalenza della motivazione (cfr., Cass., 4
marzo 2005, n. 4741).
3.2.4. — In particolare, nell’effettuare tale operazione interpretativa, la Corte ha
concluso che la sentenza, nella parte in cui statuisce che “a credito del Bucci erano
però le spettanze di fine rapporto, spettanze che sono state nel frattempo corrisposte,
da ultimo con l’importo di E 10.845,59. Restano ancora E 6.491,17 da detrarre in
compensazione in relazione al maggior credito della BGS per il risarcimento dei
danni derivanti dalla violazione dell’obbligo di cui all’art. 2105 c.c.”, conteneva una

vera e propria statuizione di condanna.
3.2.5. – Tale operazione interpretativa non si pone in contrasto con alcuna violazione
di legge, essendo il giudice dell’opposizione all’esecuzione tenuto ad interpretare il
titolo, anche se di formazione giudiziale, e quindi a verificare se, in caso di omissioni
o lacune del dispositivo, esso contenga in sé una pronuncia di condanna, desumibile
in via autonoma dall’esame diretto della sentenza (Cass. 31 marzo 2007, n. 8060).
3.2.6. — Al riguardo deve altresì sottolinearsi che la censura relativa alla errata
interpretazione del titolo esecutivo, riguardante il solo “iter” argomentativo della
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4978; Cass., 5 ottobre 1999, n. 11033).

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decisione impugnata, difetta del necessario momento di sintesi, ovvero di una
illustrazione della questione che, pur libera da rigidità formali, si sostanzi in una
esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la
dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione
inammissibile la congiunta proposizione di doglianze ai sensi dei numeri 3) e 5)
dell’art. 360 cod. proc. civ., salvo che non sia accompagnata dalla formulazione, per
il primo vizio, del quesito di diritto, nonché, per il secondo, dal momento di sintesi o
riepilogo, in forza della duplice previsione di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ.)].
4. — Infine, deve aggiungersi che il ricorso difetta anche di autosufficienza, essendosi
la parte limitata a trascrivere stralci della motivazione della sentenza n. 896/2004,
senza peraltro riprodurne il dispositivo, sì da non consentire alla Corte di verificare
ex actis la stessa sussistenza del vizio denunciato, verifica che la Corte deve essere in

grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è
consentito sopperire con indagini integrative.
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

L4

P. Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio di legittimità, che liquida in 100,00 per esborsi e E 2.500,00
per compensi professionali, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, 6 febbraio 2014.

[(Cass., 25 febbraio 2009, n. 4556; Cass., 20 maggio 2013, n. 12248, secondo cui è

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