Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7829 del 20/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 7829 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 2336-2014 proposto da:

VARLESE GIANCARLO VRLGCR62L14H501G, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio
dell’avvocato STEFANO MENICACCI, che lo rappresenta e difende
giusta delega a margine;
– ricorrente contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE ,in
persona del Direttore Centrale Prestazioni a Sostegno del Reddito,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,
presso lo studio dell’avvocato VINCENZO STUMPO, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONIETTA
CORETTI, VINCENZO TRIOLO giusto mandato speciale in calce al
controricorso;

Data pubblicazione: 20/04/2016

- controricorrente avverso la sentenza n. 5907/2013 della CORTE D’APPELLO di
ROMAdel 12/6/2013, depositata il 20/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;

ai motivi.

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9
marzo 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente
relazione redatta a nonna dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza del 20 settembre 2013, la Corte di appello di Roma
confermava la decisione del Tribunale in sede di revoca del decreto
ingiuntivo ottenuto da Varlese Giancarlo nei confronti dell’INPS ed
avente ad oggetto il pagamento del trattamento di integrazione salariale
all’80°/0 relativo alle mensilità da aprile a luglio 2009.
Osservava la Corte territoriale che le censure mosse alla impugnata
sentenza oltre ad essere generiche non tenevano in considerazione il
dato sul quale il Tribunale aveva fondato la statuizione di accoglimento
dell’opposizione a decreto ingiuntivo dell’INPS, in particolare, la
circostanza — rimasta incontestata anche in appello — che l’istituto
aveva corrisposto al Varlese quanto dovuto a titolo di integrazione
salariale per il periodo aprile — luglio 2009 (oggetto del decreto
opposto) prima della notifica di quest’ultimo mediante il versamento
della somma di euro 3.756,48, peraltro superiore a quella chiesta con il
procedimento di ingiunzione.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Varlese fondato
su un unico motivo.

Ric. 2014 n. 02336 sez. MI – ud. 09-03-2016
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udito l’Avvocato Vincenzo Stumpo del controricorrente che si riporta

L’INPS resiste con controricorso.
Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione
degli artt. 91, 92, 112, 115, 116 c.p.c e 2697 e 1181 c.c. nonché vizio di
motivazione in relazione all’art.360, n.5 c.p.c..
Lamenta il ricorrente che il giudice di merito ha ritenuto esistente il

art. 1199 c.c. e nonostante lo stesso fosse stato qualificato dall’istituto
“acconto”. Evidenzia, inoltre, che l’eccezione di pagamento dell’INPS
era riferita non solo alle mensilità di aprile- luglio, ma anche a quella di
agosto includendo la quale il versamento effettuato era parziale ed il
saldo relativo all’intero dovuto per l’indennità in questione era
avvenuto solo dopo la notifica dell’opposto decreto.
Il motivo è infondato nella parte in cui si deduce la violazione di
norme di legge mentre è inammissibile con riferimento al vizio di
motivazione.
Vale ricordare che, secondo i principi generali in materia di
adempimento delle obbligazioni, il debitore ha il diritto di provare
l’avvenuto pagamento dell’obbligazione a suo carico e l’esercizio di
questo diritto non può essere impedito dall’omesso rilascio della
quietanza (cfr. Cass. 6 giugno 1973, n. 1630). Quanto alla idoneità della
prova offerta, essa è rimessa alla valutazione del giudice di merito, ai
sensi dell’art. 116 c.p.c., mentre il controllo del giudice di legittimità in
ordine al convincimento della rilevanza probatoria degli elementi
considerati può riguardare solo la congruità della motivazione e il
rispetto dei principi di diritto che regolano la prova (cfr. Cass. 25
marzo 2003, 4373; id. 1 settembre 2003, n. 12747). Questi principi
trovano applicazione (vedi Cass. 2 novembre 2009, n. 23142) anche in
tema di prova della estinzione satisfattiva del debito dell’ente pubblico
previdenziale, occorrendo, al fine di escludere l’ammissibilità di mezzi
Ric. 2014 n. 02336 sez. ML ud. 09-03-2016
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versamento da parte dell’INPS benché non fondato su prova scritta ex

di prova diversi dalla quietanza, un’apposita prescrizione di legge che
non è dato rinvenire per i pagamenti eseguiti dall’I.N.P.S., non
applicandosi all’Istituto la legge di contabilità generale (R.D. n. 2440
del 1923, art. 55) e il relativo regolamento (R.D. n. 827 del 1924, art. 26
e segg.) relativi ai pagamenti eseguiti dallo Stato (cfr. Cass_ 13 febbraio

Tanto premesso, nella specie la Corte territoriale non si è discostata
dai menzionati principi nel ritenere raggiunta la prova del pagamento
sulla base del fatto che il primo giudice aveva considerato incontestato
il pagamento della somma di curo 3.756,48, affermazione questa solo
genericamente censurata nell’appello.
Detta somma, come emerge dalle stesse argomentazioni del
ricorrente, era maggiore dell’ammontare complessivo delle mensilità da
aprile a luglio chiesto con l’ingiunzione di pagamento, circostanza
questa pure correttamente valutata dal giudice del merito.
Quanto al dedotto vizio di motivazione occorre ricordare che alla
presente controversia va applicato il nuovo testo dell’art. 360, secondo
comma, n. 5, c.p.c. (come modificato dall’art. 54, comma 1° lett. b) d.l.
22 giugno 2012, n. 83, conv. con modifiche in legge 7 agosto 2012 n.
134) essendo stata pubblicata l’impugnata sentenza dopo 11 settembre
2012 ( ai sensi dell’art. 54, comma 3 0 d.l. cit.).
Orbene, le Sezioni Unite di questa Corte ( SU n. 8053 del 7 aprile
2014) hanno avuto modo di precisare che a seguito della modifica
dell’art. 360, comma 1° n. 5 cit. il vizio di motivazione si restringe a
quello di violazione di legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al
giudice di indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni
di fatto e di diritto della decisione”.
Ed infatti perché violazione sussista si deve essere in presenza di un
vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto
Ric. 2014 n. 02336 sez. MI – ud. 09-03-2016
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2012; nel medesimo senso la già citata Cass. 23142 del 2009).

dall’art. 132, n. 4, c.p.c. la nullità della sentenza per mancanza di
motivazione” fattispecie che si verifica quando la motivazione manchi
del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le
argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non
permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del

Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla
motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il
controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o
della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile
contraddittorietà e dell’illogicità manifesta).
Inoltre, il vizio può attenere solo alla questi° fati-i (in ordine alle questio

juris non è configurabile un vizio di motivazione) e deve essere testuale,
deve, cioè, attenere alla motivazione in se, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali.
Quanto invece allo specifico vizio previsto dal nuovo testo dell’art.
360, n. 5, c.p.c., in cui è scomparso il termine motivazione, deve
trattarsi di un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la
cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che
abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo
(vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso
della controversia).
Le Sezioni unite hanno specificato che “la parte ricorrente dovrà
indicate — nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366, primo
comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.- il fatto storico, il cui
esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o
extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui risulti l’esistenza,
il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato
oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso”, fermo
Ric. 2014 n. 02336 sez. ML – ud. 09-03-2016
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decirum.”.

restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per
sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico,
rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal
giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le
risultanze probatorie.

valutazione di un fatto storico, nella accezione sopra indicata, bensì di
risultanze istruttorie (la documentazione prodotta) che finisce con il
sollecitare una nuova valutazione del merito della controversia
inammissibile in questa sede. Invero, è stato in più occasioni affermato
da questa Corte che la valutazione delle emergenze probatorie, come la
scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere
la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice
del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una
fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che
quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere
tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le
deduzioni difensive (cfr, e plutimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010;
Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003).
Per tutto quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso,
con ordinanza, ai sensi dell’art. 375c.p.c., n.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in
Camera di consiglio.
Il Varlese ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. in cui si
ribadiscono i motivi di ricorso ma che il Collegio non considera idonei
a scalfire il contenuto sopra riportato della relazione che è pienamente
condivisibile.
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Ric. 2014 n. 02336 sez. ML – ucl. 09-03-2016
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Ciò detto si rileva che il motivo all’esame lamenta non l’omessa

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza,
sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da
dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,

dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di
stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti
iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame,
avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è
perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario
(Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il
presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai
sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
nel testo introdotto dall’arti, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n.
228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del
rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante,
del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del
presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi, curo 2.000,00 per
compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del
15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

!Zie. 2014 n. 02336 sez. ML – ud. 09-03-2016

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previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto

Così deciso in Roma, 9 marzo 2016.

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