Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7828 del 31/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 31/03/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 31/03/2010), n.7828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

signor T.A., di seguito anche “Contribuente”,

rappresentato e difeso dall’avv. Torti Luigi ed elettivamente

domiciliato presso l’avv. Achille Reali, Piazza dei Martiri di

Belfiore 2, Roma;

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle entrate, di seguito “Agenzia”;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) di

Milano 17 dicembre 2003, n. 40/26/03, depositata il 22 dicembre 2003;

udita la relazione sulla causa svolta nell’udienza pubblica del 4

febbraio 2010 dal cons. Dr. Achille Meloncelli;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti introduttivi del giudizio di legittimità.

1.1. Il 19 gennaio 2005 è notificato all’Agenzia un ricorso del Contribuente per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha accolto l’appello dell’Ufficio (OMISSIS) dell’Agenzia contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Milano n. 70/04/2002, che aveva accolto il ricorso del Contribuente contro il silenzio rifiuto formatosi sulla sua domanda di rimborso di Euro 7.690,04 pagati per IRAP 1998.

Il ricorso per cassazione del Contribuente è sostenuto con cinque motivi d’impugnazione e, dichiarato il valore della causa in Euro 7.690,04, si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata.

1.2. L’intimata Agenzia non si costituisce in giudizio.

2. I fatti di causa.

I fatti di causa sono i seguenti:

a) il signor T.A., attore, versa Euro 7.690,04 per IRAP 1998;

b) sulla sua domanda di rimborso l’Ufficio tributario resta inerte;

c) il silenzio rifiuto dell’Ufficio è impugnato dal Contribuente dinanzi alla CTP di Milano, che accoglie il suo ricorso;

d) l’appello dell’Ufficio è, poi, accolto dalla CTR con la sentenza ora impugnata per Cassazione.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per Cassazione, è così motivata:

a) “deve preliminarmente ritenersi la legittimità dell’atto di appello per essere stato sottoscritto da soggetto avente potere di rappresentanza dell’ente appellante”;

b) “nel merito l’appello proposto va accolto. Va anzitutto rilevato che il contribuente ha completato, per l’attività svolta, il quadro E, in cui risultano esposti dati significativi per l’applicazione della imposta in questione”;

c) “tenendo poi presente che la Corte Costituzionale ha lasciato all’interprete il compito di stabilire, di volta in volta, se i mezzi predisposti per l’esercizio di attività artistica o professionale, siano da considerare nel loro insieme quali elementi da cui desumere una autonoma organizzazione, deve nel caso di specie rilevarsi che il contribuente, disponendo di un agente, dispone anche di una struttura in grado di potenziare la sua attività artistica, oltre al sussistente contratto con la società che possiede l’organizzazione necessaria per la realizzazione di spettacoli. Tali elementi fanno poi ritenere l’impiego di capitale e lavoro nell’esercizio delle attività professionale, che come tale è soggetto al tributo de quo”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Il primo motivo d’impugnazione.

4.1. Con il primo motivo d’impugnazione si denuncia la falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 29.

Il ricorrente segnala che, “in presenza di due distinti appelli contro la stessa sentenza, proposti da due diversi uffici del medesimo ente (Agenzia delle Entrate – Ufficio di (OMISSIS), il primo ed Agenzia delle Entrate – Ufficio di Milano 1, il secondo) e di due distinti fascicoli processuali …, la CTR adita avrebbe avuto il dovere di emettere due sentenze, ferma restando la facoltà del giudice di procedere, con decreto del presidente di sezione, alla riunione dei processi D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 29, comma 1, come si presume sia avvenuto ma di cui non si ha certezza. Anche se non esiste un obbligo di segnalare alle parti l’emissione del decreto presidenziale di riunione, sembra ragionevole pretendere che dell’effettuata riunione si faccia cenno in sentenza: di fatto, nella sentenza impugnata per la cassazione, di tale evento non si trova traccia”.

Il ricorrente indica implicitamente, quindi, come norma, su cui si fonda il motivo d’impugnazione, quella secondo cui “della riunione di due o più atti d’impugnazione rivolti contro la stessa sentenza di primo grado il giudice d’appello deve fare espressa menzione nella sua sentenza”.

4.2. Per la valutazione della fondatezza del primo motivo d’impugnazione valgono le seguenti considerazioni.

Nell’epigrafe della sentenza d’appello si legge che essa è emessa “sull’appello n. 4013/02 … proposto dall’ufficio: AGENZIA ENTRATE UFFICIO (OMISSIS)” e “sull’appello n. 2219/03 … proposto dall’ufficio: AGENZIA ENTRATE UFFICIO (OMISSIS)” contro la medesima sentenza n. 70/04/2002, adottata dalla CTP di Milano. Nella colonna posta a destra dell’epigrafe, poi, si legge: “N 4013/02 (RIUNIFICATO)”.

Queste indicazioni, per quanto schematiche, sono chiaramente indicative della volontà della CTR, che risulta, perciò, espressa, di riunire i due appelli, al punto che può considerarsi frutto di una mera dimenticanza il fatto che nella parte dedicata alla descrizione dei fatti di causa si faccia poi riferimento solo al primo dei due appelli.

Già queste constatazioni e l’interpretazione che si ritiene di dover dare della sentenza d’appello comportano che il Contribuente pone una questione riferita ad una fattispecie diversa da quella effettivamente realizzatasi. In ogni caso, non risulta che esista una norma, qual è quella implicitamente indicata dal ricorrente come fondante il suo motivo d’impugnazione, secondo cui “della riunione di due o più atti d’impugnazione rivolti contro la stessa sentenza di primo grado il giudice d’appello deve fare espressa menzione nella sua sentenza”, cosicchè, dato l’attuale stato della normazione, la riunione di due o più atti d’impugnazione può anche risultare dalle dichiarazioni inserite nella sentenza, dalle quali si possa desumere chiaramente la volontà dell’organo giudicante di decidere unitariamente su più atti l’incoazione.

La norma giuridica da applicare per la risoluzione della controversia non è, dunque, quella indicata dal ricorrente, ma quella, secondo la quale “la riunione di due o più atti d’impugnazione può risultare anche implicitamente dalla sentenza che si pronuncia su di essi”.

In conclusione, il primo motivo d’impugnazione è inammissibile e, comunque, infondato e dev’essere, perciò, rigettato.

5. Il secondo motivo d’impugnazione.

5.1. Il secondo motivo d’impugnazione è dedicato alla denuncia della violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il ricorrente sostiene di aver “prospettato al giudice tributario ben quattro motivi di possibile inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate. Più precisamente: 1) carenza di legittimazione processuale della parte appellante; 2) mancata allegazione alla copia dell’atto notificato, depositata presso la Segreteria della CTR di Milano, della ricevuta postale di ricevimento; 3) mancata attestazione della conformità dell’atto depositato a quello notificato; 4) duplicazione dell’appello”. Sulle ultime tre la CTR “non si è pronunciata in palese violazione dell’art. 112 c.p.c., dovendosi “il giudice pronunciare su tutta la domanda …”. Sulla seconda e terza possibile causa di inammissibilità si è pronunciata la Cassazione (sentenza n. 7033/02 del 10 gennaio 2002)”.

Il ricorrente indica, quindi, come norma, su cui si fonda il motivo d’impugnazione, quella secondo cui “il giudice deve pronunciare su tutta la domanda”.

5.2. Il motivo è sostenuto con una serie di argomentazioni, che sono formulate senza che sia osservato il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione. Infatti, di fronte ad una sentenza d’appello che non riferisce in alcun modo, nella sua parte in fatto, i motivi d’appello del Contribuente, perchè essa si limita a dire che “Eccepiva l’appellante l’erroneità della decisione impugnata, chiedendone la riforma” (pagina 2, righe 20-22, della sentenza di secondo grado), il ricorrente per cassazione non riproduce testualmente quelle parti dei suoi atti d’appello, nelle quali si mostri se, ed in quali termini, siano stati proposti i motivi d’appello sui quali la CTR non si sarebbe pronunciata. Al riguardo si ricorda che è principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello, secondo il quale, “se con il ricorso per cassazione si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., ipotizzando l’esistenza di un error in procedendo non rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, che, in quanto giudice anche del “fatto processuale”, ha il potere di esaminare direttamente gli atti processuali, non è vincolata a ricercare autonomamente gli atti rilevanti per la questione proposta, incombendo, invece, sul ricorrente l’onere di indicarli specificamente e autosufficientemente (Corte di cassazione 17 gennaio 2007, n. 978)”.

Il principio di diritto alla stregua del quale si deve decidere sul motivo è, dunque, il seguente: “il ricorrente per cassazione che denunci la violazione dell’art. 112 c.p.c., ipotizzando l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado su un motivo d’impugnazione da lui proposto con l’atto d’appello, relativo ad una questione non rilevabile d’ufficio, deve formulare il motivo osservando, a pena d’inammissibilità, il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione”.

In conclusione, il secondo motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza.

6. Il terzo motivo d’impugnazione.

6.1. Con il terzo motivo d’impugnazione si denuncia la carenza di legittimazione processuale del firmatario dell’atto di appello.

Secondo il Contribuente gli atti d’appello sarebbero stati sottoscritti da funzionali tributari, anzichè dal rappresentante legale dell’Agenzia, cioè dal suo Direttore, e sarebbero stati proposti, quindi, da persone prive del potere di rappresentare l’Agenzia e non dotante, conseguentemente, di legittimazione.

Il ricorrente indica implicitamente, quindi, come norma, su cui si fonda il motivo d’impugnazione, quella secondo cui “l’appello tributario può essere proposto solo dal Direttore dell’Agenzia fiscale”.

6.2. Il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10 e 11, prevedono che sia parte del processo tributario di merito l’ufficio del Ministero delle finanze, cosicchè, a seguito del trasferimento, decorrente dal 1 gennaio 2001, delle sue funzioni alle Agenzie fiscali ad opera del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, “Alle agenzie fiscali sono trasferiti i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze che vengono esercitate secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna agenzia”, ossia, per quel che riguarda la legittimazione alla proposizione dell’appello tributario, all’ufficio locale dell’Agenzia che è succeduto al corrispondente ufficio locale del Ministero delle finanze (in questi senso, analogamente, Corte di cassazione, Sezioni unite, 14 febbraio 2006, n. 3118).

Il motivo d’impugnazione dev’essere, dunque, valutato alla stregua del seguente principio di diritto: “L’ufficio locale dell’Agenzia fiscale è legittimato a proporre l’appello tributario”.

In conclusione, il terzo motivo è infondato e dev’essere rigettato.

7. Il quarto motivo d’impugnazione.

7.1. Il quarto motivo d’impugnazione lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2.

La tesi del Contribuente, a parte le premesse di carattere generale, consiste nel sostenere che “se l’utilizzo dei servizi di una società terza o di un agente significa essere dotato di autonoma organizzazione non si può, per assurdo, che ritenere soggetto passivo IRAP anche il collaboratore coordinato e continuativo (portato ad esempio dall’amministrazione finanziaria quale unico lavoratore autonomo non soggetto ad IRAP) che si serva di una società di trasporti, pubblica o privata, o di una agenzia di viaggi: l’organizzazione, affinchè abbia rilevanza ai fini IRAP, deve essere autonoma e, soprattutto, fare capo al contribuente, mancando tale diretta interdipendenza è indubitabilmente carente il presupposto impositivo IRAP”.

Il ricorrente indica, quindi, implicitamente come norme, su cui si fonda il motivo d’impugnazione, quella secondo cui “il lavoratore autonomo che si avvalga di un collaboratore coordinato e continuativo non è soggetto passivo di IRAP” e quella secondo la quale “il lavoratore autonomo che utilizzi i servizi di una società terza non è soggetto passivo di IRAP”.

7.2. Il quarto motivo è strettamente connesso con il motivo successivo, così da indurre ad una loro valutazione unitaria.

8. Il quinto motivo d’impugnazione.

8.1. Il quinto motivo d’impugnazione ipotizza la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e contesta il capo della sentenza d’appello, che s’è qui testualmente riprodotto nel p. 3.c).

In entrambi i casi ivi considerati non sarebbero presenti “quelle caratteristiche che la motivazione deve avere per compiutamente adempiere al proprio scopo, da sempre indicate dalla Suprema Corte di Cassazione come essenziali e cioè indicazione dell’iter logico giuridico seguito dal giudice per pervenire alla sentenza”.

Il ricorrente indica, quindi, come norma, su cui si fonda il motivo d’impugnazione, quella secondo cui la motivazione della sentenza deve comporsi di una subdichiarazione di giudizio statico e di una subdichiarazione di giudizio dinamico.

8.2. Il giudice d’appello ha accertato l’esistenza di due fatti: la disponibilità, da parte, del Contribuente di un agente e l’esistenza di un contratto con una società. Senza estendere l’accertamento alla natura giuridica, ossia alla struttura e alla funzione, dei due rapporti giuridici, la CTR ha espresso il giudizio secondo cui la sola esistenza di quei fatti sarebbe sufficiente per ritenere che il Contribuente operi attraverso un’autonoma organizzazione.

Una motivazione così conformata è palesemente insufficiente, perchè, in difformità dai criteri più volte enunciati da questa Corte, il giudice d’appello non ha accertato tutti i fatti rilevanti per la causa o non li ha accertati compiutamente, perchè ha preso atto solo della loro esistenza, ma non ne ha scandagliato la natura, e nulla ha detto sulle prove fornite dal Contribuente, che è onerato della dimostrazione dell’inesistenza dell’autonoma organizzazione;

inoltre, il giudizio statico finale relativo all’inesistenza di un’autonoma organizzazione, non è integrato dalla necessaria, per la completezza della motivazione, formulazione della corrispondente subdichiarazione di contenuto dinamico (Corte di Cassazione: 18 aprile 2003, n. 6233; per le applicazioni, Corte di Cassazione: 11 giugno 2003, n. 9301; 1^ luglio 2003, n. 10364; 1^ luglio 2003, n. 10373; 17 dicembre 2003, n. 19362; 17 dicembre 2003, n. 19367; 22 gennaio 2004, n. 1037; 29 marzo 2004 n. 6244; 2 aprile 2004, n. 6539;

28 luglio 2004, n. 14219; 26 agosto 2004, n. 17024; 29 settembre 2004, n. 19481; 14 ottobre 2004, n. 20263; 6 dicembre 2004, n. 22867;

5 gennaio 2005, n. 130; 29 settembre 2005, n. 19085; 17 ottobre 2001, n. 20081; 18 novembre 2005, n. 24417; 18 novembre 2005, n. 24418; 18 novembre 2005, n. 24419; 23 gennaio 2006, n. 1236; 2 maggio 2006, n. 10079; 4 maggio 2007, n. 10263; 29 febbraio 2008, nn. 5470 e 5471; 26 maggio 2008, a 13500; 21 gennaio 2009, n. 1447; 12 giugno 2009, n. 13660; 7 agosto 2009, n. 18118).

In tema di motivazione della sentenza tributaria di merito si ricorda che, secondo il consolidato orientamento di questa Sezione, “la sentenza deve contenere la succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto, cioè: 1) l’indicazione specifica sia dei fatti di causa sia dei fatti addotti per la loro prova; 2) la descrizione sia dei comportamenti intellettivi di valutazione delle prove sia dei comportamenti intellettivi di qualificazione dei fatti di causa; 3) gli atti di giudizio statico e finale per ciascuna serie di comportamenti intellettivi”.

Se, come si verifica nel caso in esame, tale principio non è stato osservato dalla sentenza impugnata, non è possibile nemmeno verificare se siano fondati i connessi motivi d’impugnazione della medesima sentenza per violazione di legge, qual è quello che il ricorrente ha proposto per quarto in questa sede e che rimane, perciò, assorbito.

In conclusione, il quarto e il quinto motivo d’impugnazione devono essere valutati alla stregua dei seguenti principi di diritto:

1) anzitutto, l’insufficienza della motivazione dev’essere colmata tenendo conto che “la sentenza deve contenere la succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto, cioè: 1) l’indicazione specifica sia dei fatti di causa sia dei fatti addotti per la loro prova; 2) la descrizione sia dei comportamenti intellettivi di valutazione delle prove sia dei comportamenti intellettivi di qualificazione dei fatti di causa; 3) gli atti di giudizio statico e finale per ciascuna serie di comportamenti intellettivi”;

2) in secondo luogo, perchè il giudizio di rinvio sia conforme a legge, si ricorda che “il lavoratore autonomo, che chieda il rimborso dell’Irap indebitamente pagata, ha l’onere di provare di aver svolto la sua attività in mancanza di un’autonoma organizzazione”;

3) infine, si ricorda che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in tema di IRAP, “il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui” (Corte di cassazione, Sezioni unite, 26 maggio 2009, n. 12108, e 26 maggio 2009, n. 12111; nello stesso senso già Corte di cassazione, Sezione civile 5^, 16 febbraio 2007, n. 3676, n. 3677, n. 3678 e n. 3680).

9. Conclusioni.

Le precedenti considerazioni comportano l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, assorbito il quarto e rigettati gli altri, la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa ad altra Sezione della CTR della Lombardia.

Il giudice di rinvio, oltre ad applicare i principi di diritto enunciati nel p. 8.2.2, liquiderà le spese processuali relative al giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo d’impugnazione, assorbito il quarto e rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra Sezione della CTR della Lombardia, anche per le spese processuali relative al giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2010

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