Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7827 del 20/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 7827 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 26955-2014 proposto da:
P.ALMIERI BARBARA, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
VITTORIO EMANUELE II N. 209, presso lo studio dell’avvocato
LUCA SILVESTRI, rappresentata e difesa dall’avvocato ERNESTO
MARIA CIRILLO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
TELECOM ITALIA, in persona del suo Procuratore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA DI SANT’i-kNDREA DELLA
VALLE 6, presso lo studio dell’avvocato STEFANO D’ERCOLE, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA PALOMBI,
giusta delega a margine del controricorso;
– con troricorrente –

Data pubblicazione: 20/04/2016

avverso la sentenza n. 444/2014 della CORTE D’APPELLO di
MILANO del 07/05/2014, depositata il 12/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;
udito l’Avvocato NICOLA PALOMBI, difensore del controricorrente,

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del
9.3.2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione,
redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza del 12.5.2014, la Corte di appello di Milano confermava
la sentenza di primo grado che aveva respinto le domande proposte da
Palmeri Barbara dirette a fare valere la nullità dei contratti di
somministrazione stipulati tra la società Adecco p.a. e la Telecorn ed
all’accertamento della costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato con la Telecom a far data dal l’aprile 2004, epoca
del primo contratto, sul rilievo che andava accolta l’eccezione di
risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso.
Rilevava la Corte che doveva essere confermata la sentenza impugnata
quanto al ritenuto scioglimento del rapporto per mutuo consenso, in
quanto la Palmeri, dopo la conclusione del rapporto di lavoro nell’ottobre
2006 (protrattosi in virtù di intervenute proroghe) non aveva assunto
alcuna iniziativa dimostrativa di interessamento per ulteriori assunzioni
presso la somministratrice fino all’impugnazione stragiudiziale dei
contratto, dopo quasi quattro anni, con raccomandata del 17.5.2010,
seguita del deposito del ricorso giurisdizionale in data 22.6.2011, ed in
considerazione della valenza attribuibile ad un comportamento,
protrattosi nel tempo, di totale mancanza di operatività del rapporto,
interpretabile come dichiarazione risolutoria. Riteneva, pertanto, la Corte
che tale circostanza, cui doveva aggiungersi la dichiarazione della
lavoratrice, in sede di libero interrogatorio, di avere svolto nelle more altri
lavori con contratti a termine e a progetto, fosse tale da fare ritenere
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che si riporta ai motivi.

validamente e fondatamente integrata la fattispecie della risoluzione
consensuale del rapporto di lavoro per facta concludentia.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Palmeri, affidando
l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la società.
Viene denunziata, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa
applicazione dell’art. 1372 e dell’ari 2697 c. c., sul rilievo che sono stati

parti di risolvere e porre fine ad ogni rapporto lavorativo, non essendo la
mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto sufficiente a
far considerare sussistente la ritenuta risoluzione del rapporto, dovendo
pur sempre essere accertata una chiara e certa comune volontà
risolutoria. Aggiunge la ricorrente che erronea deve ritenersi anche la
ritenuta incompatibilità con la volontà di proseguire il rapporto, e quindi
come comportamento interpretabile come tacita dichiarazione di rinunzia,
della condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque a
cercare occupazione dopo avere perso il lavoro per cause diverse dalle
dimissioni.
Con il secondo motivo, viene dedotta l’omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia,
rilevandosi, oltre la omissione di ogni adeguata argomentazione a
sostegno del decisum, anche la contraddittorietà tra la ritenuta mancanza
di valore qualificante attribuibile al semplice decorso del tempo ed il
valore decisivo attribuito allo stesso al fine di ravvisare la risoluzione per
mutuo consenso
Con riguardo al primo motivo, come questa Corte ha più volte affermato
“nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto,
affinché possa configurarsi una risoluzione dei rapporto per mutuo
consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del
comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
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valorizzati elementi inidonei a dimostrare la chiara e certa volontà delle

definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v, Cass. 10-11-2008 n.
26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché
più di recente, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887,
Cass. 4-8-2011 n. 16932, Cass. 28.1.2014 n. 1780).
La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine,
quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del

3-2011 n. 5887, e, da ultimo, Cass. 28.1.2014 n. 1780, Cass. 1.7.2015 n.
13535, Cass. 3.12.2015 n. 24665), mentre “grava sul datore di lavoro”,
che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle
quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre
definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n.
17070 e fra le altre, Cass. 1- 2-2010 n. 2279).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo
prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria
valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad
integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in
ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il
semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure
prolungata, di operatività del rapporto e non potendo attribuirsi
significatività alla percezione del tfr senza riserve o a prestazioni
lavorative presso terzi.
In via di principio, è ipotizzabile una risoluzione del rapporto di lavoro per
fatti concludenti (cfr., ad es., Cass. 6 luglio 2007 n. 15264, 7 maggio
2009 n. 10526); l’onere di provare circostanze significative al riguardo
grava sul datore di lavoro che deduce la risoluzione per mutuo consenso
(cfr. ad es. Cass. 2 dicembre 2002 n. 17070 e 2 dicembre 2000 n.
15403); la relativa valutazione da parte del giudice costituisce giudizio di
merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità, se
non sussistono vizi logici o errori di diritto (v. Cass. 10 novembre 2008 n.
26935, Cass. 28 settembre 2007 n. 20390); la mera inerzia del lavoratore
nel contestare la clausola appositiva del termine, così come la ricerca
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rapporto per mutuo consenso” (v. Cass. 15- 11-2010 n. 23057, Cass. 11-

medio tempore di una occupazione, non sono sufficienti a far ritenere
intervenuta la risoluzione per mutuo consenso.
In particolare, come precisato nella più recente Cass. 12 aprile 2012, n.
5782, “quanto al decorso del tempo, si tratta di dato di per sé neutro,
come sopra chiarito (per un’ipotesi analoga a quella oggi in esame, vale
a dire di decorso di circa sei anni fra cessazione del rapporto a termine

n.1628712011). In ordine, poi, alla percezione del t.f.r., questa S.C. ha
più volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento
risolutorio né l’accettazione del t.f.r., né la mancata offerta della
prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per
assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai
diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine (cfr., Cass., n.
15628/2001, in motivazione). Lo stesso dicasi della condotta di chi sia
stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver
perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni (cfr. Cass. n.83912010,
in motivazione, nonché, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in
motivazione)” – si vedano, in termini, anche le recenti Cass. 7 aprile
2014, n. 8061, Cass. 20 marzo 2014, n. 6632 -.
Ciò premesso, deve ritenersi che la Corte di merito non abbia fatto
corretta applicazione di tali regole, laddove ha evidenziato che il ritardo
con cui la lavoratrice ha agito in giudizio per far valere l’illegittimità del
termine apposto al contratto di lavoro intercorso costituisca una
inequivoca manifestazione di rinuncia alla sua prosecuzione o,
comunque, una volontà diretta alla modifica del rapporto. Invero, la
mancanza di contestazione ai momento della cessazione del contratto è
circostanza comunque incentrata sulla complessiva inerzia del
lavoratore, mentre la breve durata del contratto è circostanza
sostanzialmente estranea al comportamento successivo delle parti. La
medesima estraneità sussiste anche con riguardo allo svolgimento di
altra attività lavorativa. Ed infatti, la ricerca di un nuovo lavoro è imposta
al lavoratore dalla elementare necessità di sopperire comunque ai
bisogni della vita.
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ed esercizio dell’azione da parte del lavoratore v., da ultimo, Cass.

In conclusione, sono stati disattesi i principi reiteratamente affermati, che
hanno ritenuto il mero decorso del tempo privo di significatività ai fini
considerati, dovendo attribuirsi portata neutra al lasso temporale di non
attuazione del rapporto, analogamente che allo svolgimento di attività
lavorativa presso terzi dopo la scadenza del rapporto.
Il secondo motivo è assorbito dall’accoglimento del precedente.

decisione impugnata ed il rinvio al giudice del merito per l’esame della
questione alla luce dei principi richiamati.
La causa deve essere rimessa al giudice del rinvio anche per
l’eventuale esame delle questioni rimaste assorbite.
Al riguardo si ritiene che debba essere rimesso al giudice di rinvio, oltre
che l’esame della questione esaminata, anche l’accertamento della
sussistenza – e di conseguenza la disamina – di tutte le questioni che
risultino (eventualmente) ancora aperte, in quanto non implicitamente
rinunciate ex art. 346 c.p.c., ossia delle questioni che, rimaste assorbite
in primo grado, siano state riproposte in appello dalla parte vittoriosa”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e la notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in
Camera di consiglio. La società controricorrente ha depositato memoria
ai sensi dell’art. 380 bis, 2° comma, c.p.c.
Il Collegio ritiene di condividere integralmente il

contenuto e le

conclusioni della riportata relazione, evidenziando che i rilievi svolti nella
stessa a fondamento della proposta di accoglimento del primo motivo
attengono non alla ricostruzione della volontà delle parti, quanto piuttosto
alla individuazione dei corretti parametri di riferimento proprio nella
prospettiva, indicata dalla controricorrente, di una oggettivazione del
contratto alla stregua della valutazione in senso negoziale dei
comportamenti delle parti.
Si concorda pertanto sulla proposta di accoglimento del primo motivo di
ricorso, con assorbimento del secondo. La pronunzia impugnata va
pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere
rinviata alla stessa Corte territoriale in diversa composizione, per nuovo
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Si propone pertanto l’accoglimento del ricorso, la cassazione della

esame in conformità ai parametri indicati, nonché per le statuizioni sulle
spese di lite del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la
decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le
spese, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9.3.2016

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