Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7820 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 05/04/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 05/04/2011), n.7820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6211/2009 proposto da:

M.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 262-264, presso lo studio

dell’avvocato TAVERNA Salvatore, che lo rappresenta e difende, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende, ope

legis;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 94/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di MILANO del 13/12/07, depositata il 18/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. M.S. propone ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che non ha resistito) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento Irpef e Irap per l’anno 2001, la C.T.R. Lombardia confermava la sentenza di primo grado (che aveva rigettato il ricorso introduttivo), tra l’altro sostenendo: che il contribuente, libero professionista, non poteva omettere di compilare il quadro IQ ed effettuare il relativo versamento, potendo solo dopo, eventualmente, presentare istanza di rimborso; che il contribuente non aveva fornito prove sufficienti di trovarsi nelle condizioni per sottrarsi al pagamento dell’Irap – in ogni caso che i giudici d’appello avevano giustamente valutato gli elementi di giudizio e di prova offerti dalla parte mentre i motivi d’appello non erano idonei a mettere in discussione la struttura logico-giuridica della decisione, che doveva pertanto essere pienamente confermata in diritto e nel merito.

2. Il primo motivo (col quale, deducendo violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2 e vizio di motivazione, il ricorrente sostiene che l’attività di lavoro autonomo in assenza di complessa organizzazione strutturale e personale non concreta il requisito della autonoma organizzazione rilevante ai fini impositivi e che i giudici d’appello avevano affermato l’assoggettabilità ad Irap del ricorrente sulla base di una motivazione lacunosa) presenta diversi profili di inammissibilità.

Giova in proposito innanzitutto evidenziare che al termine del primo motivo è proposto un quesito del seguente tenore: Stabilisca la Suprema Corte se nel caso di specie l’attività di lavoro autonomo svolto dal ricorrente in assenza di complessa organizzazione strutturale e personale integri il requisito dell’autonoma organizzazione rilevante ai fini del presupposto impositivo;

stabilisca inoltre la Suprema Corte se l’affermazione recata dalla sentenza impugnata – secondo cui il Sig. M. “non avendo compilato il quadro IQ e non avendo effettuato il relativo versamento, ha violato illegittimamente la più comune regola del nostro sistema tributario” – costituisca adeguata motivazione rivelatrice dell’iter logico giuridico attraverso cui è pervenuta al riconoscimento del requisito della autonoma organizzazione.

Tanto premesso, individuato il vero e proprio quesito di diritto solo nella prima parte della esposizione evidenziata in ricorso come “quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.” (attenendo la seconda, evidentemente, alla valutazione della motivazione), la censura di violazione di legge si rivela inammissibile perchè nel suddetto quesito si presuppongono fatti (svolgimento del lavoro del ricorrente in assenza di complessa organizzazione strutturale e personale) che dalla sentenza impugnata non risultano accertati nè pacifici. In ogni caso il quesito proposto risulta assolutamente inadeguato a svolgere la funzione che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene), gli è propria, ossia quella di far comprendere alla Corte, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, essendo nella specie il quesito generico ed inidoneo non solo a far comprendere la ratio decidendi della decisione impugnata, ma anche ad esprimere la rilevanza della risposta al quesito ai fini della decisione del motivo, oltre che privo delle precisazioni necessarie a consentire alla Corte una risposta utile ai fini della definizione della controversia e suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sub iudice.

Per quanto riguarda la censura di vizio di motivazione, essa è inammissibile per mancato rispetto della previsione di cui all’art. 366 bis c.p.c., a norma del quale è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione; si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea lei motivazione a giustificare la decisione, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., a pena di inammissibilità, deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. Cass. n. 8897 del 2008). Nè può ritenersi che la parte abbia assolto all’onere impostogli dalla seconda parte di cui al citato art. 366 bis c.p.c., attraverso la proposizione, nell’ultima parte del quesito sopra riportato, di una richiesta di valutazione della adeguatezza della motivazione, essendo appena il caso di evidenziare che l’illustrazione di cui al citato art. 366 bis, deve sempre avere ad oggetto (non più una questione o un “punto”, secondo la versione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anteriore alla modifica introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ma) un fatto preciso, inteso sia in senso storico che normativo, ossia un fatto “principale”, ex art. 2697 c.c. (cioè un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo, e che nella specie manca non solo l’illustrazione di cui alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., ma, ancor prima, l’individuazione e indicazione di uno o più “fatti” specifici (intesi come sopra e non come generico sinonimo di punto, circostanza, questione) rispetto ai quali la motivazione risulti viziata nonchè l’evidenziazione del carattere decisivo dei medesimi fatti. Il secondo motivo (col quale si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54 e nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.) risulta, prima di ogni altra possibile considerazione, inammissibile per mancanza del quesito di diritto.

In particolare, con riguardo al vizio di omessa pronuncia, giova rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene), il motivo di ricorso per cassazione con cui si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., da parte del giudice di merito deve essere concluso in ogni caso con la formulazione di un quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (v. Cass. nn. 4329 del 2009, 22578 del 2009 e 1310 del 2010).

3. Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere rigettato. In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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