Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7816 del 03/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 7816 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA

sul ricorso 22394-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
3579

contro

ROMANELLI MICHELA C.F. RMNMHL72R421921R, domiciliata
in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentate e difesa

Data pubblicazione: 03/04/2014

dall’avvocato CENTOFANTI SIRO, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 564/2007 della CORTE D’APPELLO
di PERUGIA, depositata il 26/09/2007 r.g.n. 844/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

BLASUTTO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PESSI
ROBERTO;
udito l’Avvocato CENTOFANTI SIRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udienza del 05/12/2013 dal Consigliere Dott. DANIELA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Perugia, con sentenza in data 4 luglio 2007, riformando
la decisione di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato dalla

l’appellante nel posto di lavoro, con ogni conseguenza di ordine economico.
La lavoratrice aveva adito il giudice del lavoro esponendo che la società Poste
Italiane, nel dare esecuzione ad una precedente sentenza con cui era stato
ordinato il ripristino del rapporto di lavoro, l’aveva invitata a riprendere servizio
in una sede diversa da quella originaria e, stante la sua mancata presentazione nel
posto di lavoro assegnato, l’aveva licenziata per ingiustificata assenza dal lavoro.
Osservava la Corte territoriale che nessuna dimostrazione era stata fornita
dalla società appellata circa la radicale inesistenza di posti idonei presso
l’originaria sede lavorativa; che il potere di trasferimento ex art. 2103 c.c.
avrebbe potuto essere esercitato soltanto dopo la riammissione in servizio nella
precedente attività e in esecuzione dell’ordine giudiziale; che l’assegnazione ad
una sede diversa configurava un inadempimento parziale del contratto di lavoro
da parte della società, sì che la mancata ottemperanza della Romanelli al
provvedimento di trasferimento doveva ritenersi giustificata quale attuazione di
un’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., mentre il conseguente recesso
della società si rivelava illegittimo.
Per la cassazione di tale sentenza la società Poste Italiane s.p.a. propone
ricorso affidato a due motivi. Romanelli Michela resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha disposto la stesura della sentenza con motivazione semplificata.

R. G. n. 22394/08
Udienza 5 dicembre 2013
Romanelli c/Poste Italiane

-i-

soc. Poste Italiane a Romanelli Michela ed ordinava alla società di reintegrare

Con il primo motivo, la società lamenta violazione degli artt. 2103 e dell’ art.
18 dello Statuto dei lavoratori e dell’art. 1206 c.c., ai sensi dell’art. 360. n. 3.
c.p.c., sostenendo che il trasferimento è stato effettuato ai sensi dell’art. 37
c.c.n.l. e degli accordi del 2004 sottoscritti con le 00 SS, poiché non era possibile

non aveva il potere di rifiutare la prestazione lavorativa in sede di autotutela.
Osserva che, in caso di contestazione della legittimità di una richiesta di
prestare servizio in un luogo diverso da quello contrattualmente previsto, il
lavoratore può continuare ad offrire l’esatta prestazione, restando a disposizione ,
del datore di lavoro per lo svolgimento delle mansioni nell’unità produttiva de
qua e che, soltanto in questo caso, si potrebbe ravvisare una mora credendi del
datore di lavoro, con conseguente diritto alla conservazione del rapporto ed alla
retribuzione. Anche ritenendo che il provvedimento contenesse un
trasferimento implicito, lo stesso era giustificato da ragioni tecniche produttive e
organizzative, stante il perdurare del radicale processo di ristrutturazione e di
riassetto dell’azienda.
Con il secondo motivo la società lamenta violazione degli artt. 1460 e dell’ art.
18 dello Statuto dei lavoratori, ai sensi dell’art. 360. n. 3. c.p.c., sostenendo che
l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, ai sensi dell’art. 1460 c.c., può essere
legittimamente opposta soltanto se la reazione risulti proporzionata
all’inadempimento e conforme a buona fede e tale non può ritenersi il rifiuto di
offrire la prestazione nel luogo di destinazione.
I due motivi, che presentano questioni tra loro interconnesse e che possono
essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Come già ritenuto da questa Corte in fattispecie analoghe (Cass. n. 11927 del
2013; v. pure Cass. 19095 del 2013), l’ottemperanza del datore di lavoro

R.G. n. 22394/08
Udienza 5 dicembre 2013
Romanelli c/Poste Italiane

-2-

il ripristino del rapporto di lavoro alle condizioni preesistenti e che il dipendente

all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della
nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino
della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività
lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie,

lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia
giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in
mancanza delle quali è configurabile una condotta datoriale illecita, che giustifica
la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in
attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., sia
sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti (cfr. Cass. n. 8584
del 2007; Cass. n. 976 del 1996).
Risulta accertato che la lavoratrice aveva ottenuto dal giudice del lavoro la
declaratoria di nullità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro con la
società Poste Italiane e la condanna di quest’ultima a riammetterla in servizio nel ,
posto precedentemente occupato, ma che la datrice di lavoro, in esecuzione del
provvedimento giudiziale, aveva invitato la dipendente a prendere servizio in
una sede diversa da quella assegnata in origine. Nella specie, l’invito a riprendere
servizio in una sede diversa da quella originaria non contemplava, per quanto
accertato dai giudici di merito, alcuna motivazione e, dunque, la modifica della
sede di lavoro è stata correttamente intesa dalla Corte d’appello come un
trasferimento nullo che, in quanto assunto in palese violazione delle norme che
lo disciplinano e delle regole di correttezza e buona fede, integra una condotta
illecita implicante un inadempimento del contratto di lavoro, sì che nessuna
comparazione di contrapposti interessi sarebbe stata consentita al giudice di
merito; ne consegue, ulteriormente, che la mancata ottemperanza a tale

R. G. n. 22394/08
Udienza 5 dicembre 2013
Romanelli c/Poste Italiane

-3-

a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del

provvedimento da parte del lavoratore trova giustificazione sia quale attuazione
di un’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), sia sulla base del rilievo che gli
atti nulli non producono effetti, non potendosi ritenere che sussista una
presunzione di legittimità dei provvedimenti aziendali, che imponga

n. 26920 del 2008; n. 1809 del 2002).
Sulla base di questi presupposti, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto
illegittimo il licenziamento per assenza dal servizio, intimato dalle Poste pur
dopo la puntuale deduzione di illegittimità della nuova destinazione sollevata
dalla lavoratrice nella lettera di risposta alla nota di addebito; e dunque la
sentenza impugnata si sottrae alle censure mosse dalla ricorrente ( negli stessi
termini, v. Cass. 30.12. 2009 n. 27844 e 16.5.2013 n. 11927).
Il ricorso va dunque respinto, con conseguente condanna della soc. Poste
Italiane al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nella misura
indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi e in Euro 100,00
per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, 5 dicembre 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

l’ottemperanza agli stessi fino a un contrario accertamento in giudizio (cfr. Cass. %

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