Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7814 del 31/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 31/03/2010, (ud. 27/11/2009, dep. 31/03/2010), n.7814

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. MARINUCCI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato e domiciliati

presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12;

– ricorrenti –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in Roma, via

Alessandro Farnese 7, presso lo studio degli avv.ti Berliri Claudio e

Alessandro Cogliati Dezza che con l’avv.to Giovanni Paribocci lo

rappresentano e difendono per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 18/19/05 della Commissione tributaria

regionale di Roma, emessa il 21 novembre 2005, depositata il 30

novembre 2005, R.G. 4486/05;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 27 novembre

2009 dal Cons. Dott. Giacinto Bisogni;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il contribuente, P.G., grossista di salumi e formaggi a (OMISSIS), ha impugnato l’avviso di accertamento unitario relativo ai fini IRPEF, ILOR, IRAP e contributo S.S.N. per l’anno 1998, emesso sulla base di un verbale di constatazione della Guardia di Finanza che aveva rilevato l’omessa contabilizzazione per L. 3.002.707.000 e l’omessa fatturazione, quale cessionario, di un imponibile di L. 223.894.000. Il contribuente ha eccepito la invalidità della motivazione effettuata per relationem e basata su presunzioni semplici, e ha contestato la sommatoria di tutte le operazioni attive e passive sul conto corrente bancario.

La C.T.P. di Rieti ha accolto il ricorso.

Tale decisione è stata confermata dalla C.T.R. che ha rilevato nella motivazione come la Guardia di Finanza avesse operato illegittimamente ispezionando la abitazione del P. senza i presupposti di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 52 e 10 e cioè senza che sussistessero gravi indizi di violazione tributaria. Ha rilevato inoltre che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica era sfornita di motivazione e l’accertamento recepiva pedissequamente le argomentazioni della Guardia di Finanza. Ha ritenuto illegittima la sommatoria delle operazioni attive e passive nonostante che gli importi attivi e passivi fossero stati versati e prelevati per legittime necessità economiche del P.. Questi, ha rilevato infine la C.T.R., opera in regime di contabilità ordinaria cosicchè i suoi libri contabili fanno piena prova.

Ricorrono per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate con quattro motivi di impugnazione:

a) violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.;

b) violazione e falsa applicazione violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52. Omessa o insufficiente motivazione;

c) violazione e falsa applicazione dell’art. 276 c.p.c.;

d) violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., art. 2727 c.c., comma 2 e art. 2729 cod. civ., D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 52. Omessa insufficiente contraddittoria motivazione;

Si difende con controricorso il contribuente che deposita memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso le amministrazioni ricorrenti fanno valere il passaggio in giudicato della sentenza della C.T.R. relativa all’annualità 1997 sul punto della legittimità dell’accesso della Guardia di Finanza.

Con il secondo motivo di ricorso censurano la decisione della C.T.R. nella parte in cui ha ritenuto illegittima l’autorizzazione all’accesso domiciliare perchè priva di motivazione circa la sussistenza di gravi indizi di violazioni finanziarie.

Con il terzo motivo di ricorso eccepiscono la contraddittorietà fra rilievo dell’illegittimità dell’accesso della Guardia di Finanza e esame del merito dell’accertamento.

Con il quarto motivo di ricorso ribadiscono la fondatezza della pretesa erariale in conformità alle disposizioni citate.

Il controricorrente eccepisce pregiudizialmente l’inamissibilità del ricorso proposto dal Ministero non costituito nel giudizio di merito.

L’eccezione di inammissibilità è fondata e comporta di fatto la ammissibilità del solo ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

Il primo motivo di tale ricorso è infondato in quanto non può ritenersi che sia passata in giudicato la statuizione emessa in altro giudizio circa la legittimità dell’autorizzazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 52 per quanto precisato da parte controricorrente circa l’impugnazione per cassazione di tale capo della sentenza n. 58/34/05.

Gli altri motivi di ricorso che possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta connessione logica e giuridica sono invece fondati.

Infatti la motivazione della sentenza della C.T.R. è gravemente carente nella valutazione degli elementi di fatto che costituivano l’oggetto del giudizio di appello.

Da un lato la C.T.R. non valuta adeguatamente la circostanza per cui l’Ufficio nel richiedere alla Procura della Repubblica l’autorizzazione ad accedere al domicilio del contribuente aveva ben chiarito i motivi di tale richiesta e ad essi la Procura della Repubblica ha fatto riferimento quando ha concesso l’autorizzazione.

In sostanza erano stati rappresentati alla Procura della Repubblica i seguenti elementi che portavano a ritenere il domicilio come la sede reale dell’attività commerciale mentre la sede dichiarata svolgeva la funzione di deposito: a) il volume di affari e il reddito dichiarato dalla ditta individuale risultava molto al di sotto della potenzialità reale delle attività di commercio all’ingrosso; b) la sede dichiarata di via Ricci veniva utilizzata unicamente come deposito ed aperto solo nelle ore del mattino al fine di consentire il carico e scarico delle merci; c) dall’elenco abbonati telefonici il contribuente risultava intestatario di due utenze; quella dichiarata veniva indicata come deposito, e l’abitazione come ingrosso salumi e formaggi. Queste circostanze non sono state affatto valutate dalla C.T.R. quando ha ritenuto che l’autorizzazione all’accesso fosse sfornita di motivazione.

Allo stesso modo la C.T.R. non ha valutato adeguatamente – o ha valutato contraddittoriamente rispetto al contenuto dell’accertamento del maggior reddito di impresa – quanto emerso dalla verifica bancaria che aveva consentito di individuare, nell’anno di imposta, versamenti sul conto personale del contribuente per alcuni miliardi di lire, importo che superava di molto quello dei ricavi registrati e fatturati dall’impresa nello stesso anno. Rispetto a tali movimenti il contribuente aveva dichiarato trattarsi di prestiti alla clientela e nello stesso tempo presso la sua abitazione era stata rinvenuta documentazione extra-contabile dalla quale emergevano operazioni non fatturate annotate separatamente rispetto a quelle fatturate.

Pur avendo ritenuto illegittimo l’accesso al domicilio la C.T.R. ha motivato sulla fondatezza nel merito dell’accertamento e ha riscontrato un ricarico presuntivo del 40% rispetto a quello del 17.47% dichiarato dal contribuente senza procedere a una determinazione analitica dei costi come previsto dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 (T.U.I.R.). Inoltre la C.T.R. ha ritenuto paradossale la sommatoria delle operazioni attive e passive effettuata dall’Agenzia delle Entrate nel suo accertamento “senza tener conto che tutte le movimentazioni in entrata ed uscita sono state operate dal ricorrente in dare e avere sul conto “titolare” e sul conto “cassa”, con regolari annotazioni sul mastrino nella più assoluta trasparenza e che tali passaggi sono comunque riferiti ad operazioni non attinenti all’impresa”. Il ricorrente – ha concluso la C.T.R. – è un contribuente in regime di contabilità ordinaria e per l’effetto i libri contabili ne fanno piena prova.

Si tratta di una motivazione che difetta di chiarezza e che, nello stesso tempo, appare palesemente contraddittoria e apodittica.

Tali vizi della motivazione possono riassumersi come segue: a) la C.T.R. non ha incentrato sul reale contenuto dell’accertamento – che è costituito nell’attribuzione di ingenti versamenti riscontrati sul conto personale all’attività di impresa – il suo iter motivazionale;

b) la C.T.R. è pervenuta a una valutazione di esaustività e trasparenza della contabilità che non trova riscontro negli accertamenti della Guardia di Finanza i quali hanno invece consentito di riscontrare una sorta di contabilità parallela e la effettuazione di operazioni commerciali non fatturate. Tale motivazione inoltre appare motivata in modo del tutto apodittico e contraddittorio; c) la C.T.R. ha affermato che le operazioni non contabilizzate dall’impresa del contribuente non erano in effetti inerenti all’attività commerciale ma non ha fornito alcuna spiegazione sul perchè di tale affermazione omettendo in tal modo di pronunciarsi motivatamente su quello che rappresenta il punto centrale della verifica fiscale e della successiva controversia; d) la C.T.R. ha attribuito un valore probatorio pieno alla contabilità del contribuente perchè in regime di contabilità ordinaria senza tenere conto però delle risultanze dell’accertamento che smentiscono l’attendibilità di tale contabilità secondo la ricostruzione dell’Agenzia delle Entrate; e) la C.T.R. ha fornito una motivazione oscura e contraddittoria sul punto delle percentuali di ricarico e in particolare sulla determinazione analitica dei costi.

Inoltre va rilevato come sia erroneo il convincimento della C.T.R. circa la illegittima sommatoria di versamenti e prelievi ai fini della ricostruzione del reddito di impresa. Afferma infatti la giurisprudenza di questa Corte che nel processo tributario, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti (Cass. civ., sez. 5, n. 4589 del 26 febbraio 2009). Specificamente in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione legale ricavabile dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2 comporta che i movimenti di dare ed avere (versamenti e prelevamenti) risultanti da un conto corrente bancario rilevano ai fini dell’accertamento dell’imponibile, salva la prova contraria (Cass. civ., sez. 5, n. 25142 del 30 novembre 2009).

Per tutte queste ragioni il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio che riesaminerà la controversia tenendo in considerazione gli elementi trascurati o contraddittoriamente valutati dalla sentenza cassata e si atterrà alla giurisprudenza citata in questa pronuncia; deciderà inoltre anche in merito alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, dichiarato inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, rigetta il primo motivo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate e accoglie gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della C.T.R. Lazio che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2010

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