Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7814 del 03/04/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 7814 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 26576-2010 proposto da:
OLIVIERI

VITTORIO

C.F.

LVRVTR37B26A271Y,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172,
presso lo studio dell’avvocato PANICI PIER LUIGI, che
lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati
BOLDRINI FRANCO, ALLEVA PIERGIOVANNI, giusta delega
2013

in atti;
– ricorrente –

3451

contro

BANCA DELLE MARCHE S.P.A. c.f. 01377380421;
– intimata –

Data pubblicazione: 03/04/2014

Nonché da:
BANCA DELLE MARCHE S.P.A. C.F.

01377380421,

in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 24, presso
lo studio dell’avvocato GENTILI AURELIO, che la

– controricorrente e ricorrente incidentale contro

OLIVIERI VITTORIO C.F. LVRVTR37B26A271Y;
– intimato –

avverso la sentenza n. 160/2010 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 18/05/2010 R.G.N. 312/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/12/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato ALLEVA PIERGIOVANNI;
udito l’Avvocato GENTILI AURELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso principale,
inammissibilità dell’incidentale, in subordine alle
SS.UU.

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

Udienza del 3 dicembre 2013 — Aula A
n. 9 del ruolo — RG n.26576/10
Presidente: Lamorgese – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di Vittorio Olivieri — ex dipendente
della ex Cassa di risparmio di Macerata, poi fusa insieme con la Cassa di risparmio di Pesaro e con
quella di Jesi, nella Banca delle Marche s.p.a., da poco istituita al momento del pensionamento del
ricorrente, avente decorrenza 10 luglio 1997 — avverso la sentenza del Tribunale di Ancona n. 199
del 22 febbraio 2006, di rigetto della domanda dell’Olivieri, volta alla condanna della Banca delle
Marche s.p.a. (d’ora in poi: Banca Marche) al pagamento della differenza tra quanto ricevuto, a
titolo di liquidazione in forma capitale della pensione integrativa del Fondo pensionistico aziendale
e quanto, a suo dire, spettantegli nell’ipotesi di corretta gestione del Fondo stesso asseritamente non
riscontratasi.
La Corte d’appello di Ancona, per quel che qui interessa, precisa che:
a) come già esattamente ritenuto dal Giudice di primo grado, in base al Regolamento della ex
Cassa di risparmio di Macerata erano riconosciute agli iscritti prestazioni integrative delle pensioni
e non già una quota di proprietà del Fondo Integrativo Previdenziale (d’ora in poi: FIP), che quelle
prestazioni doveva garantire;
b) pertanto, quando è stata disposta, previo accordo con le 00.SS., la trasformazione del
suddetto Fondo “a prestazione definita” — al pari di quella degli analoghi FIP di ciascuna delle altre
Casse di risparmio aggragatesi in Banca Marche — attraverso la costituzione di un Fondo unico
aggiuntivo a capitalizzazione e “a contribuzione definita”, i dipendenti non vantavano diritti
soggettivi sul patrimonio e sulla dotazione del Fondo originario;
c) ad essi era solo da riconoscere il diritto alla conservazione della integrità patrimoniale del
FIP originario, come affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza 12 marzo 2002, n. 3630,
secondo cui, con riguardo ai fondi speciali di previdenza costituiti ai sensi dell’art. 2117 cod. civ., il
datore di lavoro è responsabile nei confronti dei lavoratori qualora si verifichi la distrazione della
consistenza patrimoniale del Fondo di riferimento;
d) ne consegue che prima degli Accordi sindacali del 15 novembre 1996, del 19 marzo 1997 e
del 9 ottobre 1997 — i quali, conformemente con il d.lgs. n.124 del 1993, hanno provveduto alla
suddetta trasformazione del Fondo — il ricorrente, pur non vantando un diritto di proprietà su una
quota del FIP, avrebbe potuto agire per la salvaguardia dell’integrità del Fondo stesso, essendo
titolare al riguardo di un autonomo diritto soggettivo;

1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

f) peraltro, il vecchio Fondo a prestazione definita non è stato posto in liquidazione al
momento della istituzione del nuovo Fondo in quanto dai medesimi Accordi è stata prevista una
fase transitoria — così espressamente definita nell’Accordo del 9 ottobre 1997 — nella quale sono
state costituite presso il vecchio Fondo due diverse sezioni l’una a prestazione definita (diretta a
garantire le prestazioni di previdenza integrativa a chi era già in pensione e ai dipendenti che non
avessero optato per il nuovo Fondo) e l’altra a contribuzione definita (per il personale ancora attivo
al momento della creazione del nuovo Fondo che avesse deciso di optare per il nuovo sistema di
previdenza);
g) nella determinazione della consistenza patrimoniale del nuovo Fondo il patrimonio del
precedente Fondo rappresentava solo uno degli elementi di composizione della dotazione iniziale ed
era quantificato alla data del 31 dicembre 1996, il che conferma il carattere di novità del Fondo di
più recente costituzione e la sua distinzione rispetto a quello precedente, avendo le 00. SS.
proceduto in conformità con il d.lgs. n. 124 del 1993;
h) ne consegue che coloro che — come il ricorrente — hanno optato per il nuovo sistema non
possono vantare diritti sul precedente FIP ma solo sul nuovo Fondo, potendo eventualmente
contestare la quantificazione del trattamento pensionistico integrativo attribuito loro solo in caso di
erronea operazione di calcolo effettuata con riferimento alla consistenza patrimoniale effettiva del
vecchio FIP alla suddetta data del 31 dicembre 1996 come determinata dagli Accordi sindacali e
non avendo invece titolo per sostenere che la suindicata consistenza patrimoniale del FIP — pure
effettiva — era il risultato di illecite operazioni di gestione svolte in precedenza dalla datrice di
lavoro;
i) il diritto del ricorrente al trattamento pensionistico integrativo è sorto a seguito dell’opzione
effettuata per il nuovo sistema ed è disciplinato sulla base degli Accordi sindacali in oggetto, ove il
sistema precedente è stato richiamato soltanto attraverso una semplice connessione di fatto tra la
consistenza patrimoniale del vecchio Fondo alla suddetta data e quella del nuovo Fondo;
1) come si desume dalla giurisprudenza di legittimità, le parti sociali erano legittimate a
pattuire la consistenza del nuovo Fondo e il regime da applicare a coloro che non avevano ancora
maturato il diritto a pensione;
m) in base a tale disciplina il ricorrente ha liberamente optato per il nuovo sistema e ciò
esclude che egli potesse sollevare questioni relative alla dotazione del vecchio Fondo, nei cui
confronti non aveva più titolo per far valere diritti connessi alla previdenza integrativa;
n) non può, infine, essere accolta la censura del ricorrente secondo cui al momento
dell’opzione egli non era consapevole dei prospettati episodi di mala gestio;

2

e) per effetto dei suindicati Accordi sindacali è stato creato un Fondo a contribuzione definita
nuovo — come si evince, in particolare, dal testo degli Accordi del 15 novembre 1996 e del 9 ottobre
1997 — cui i dipendenti ancora in servizio hanno potuto accedere esercitando il diritto di opzione
loro riconosciuto;

o) infatti, dagli stessi documenti versati in atti dal ricorrente risulta inequivocamente che egli
era pienamente consapevole, almeno dagli inizi del 1997, della ritenuta sottocapitalizzazione del
vecchio Fondo e delle iniziative sindacali adottate al fine di promuovere approfondimenti di natura
tecnica al riguardo.
2.— Il ricorso di Vittorio Olivieri, illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza
per tre motivi; resiste, con controricorso, la Banca delle Marche s.p.a., che propone, a sua volta,
ricorso incidentale condizionato, non articolato in motivi.

Innanzitutto i due ricorsi, in quanto proposti avverso la stessa sentenza, devono essere riuniti
ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.

I

Sintesi dei motivi di ricorso principale

1.— Il ricorso principale è articolato in tre motivi.
1.1.— Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2117 cod. civ. e
dell’art. 1218 cod. civ., in relazione all’inadempimento da parte della ex CARIMA delle clausole di
cui agli artt. 5, 6 e 7 del Regolamento del FIP (Fondo Integrativo Previdenziale) in tema di
alimentazione e incremento di quest’ultimo.
Si denuncia che la Corte d’appello, pur avendo espressamente riconosciuto che il FIP doveva
ritenersi assoggettato alla previsione dell’art. 2117 cod. civ., non ha però soggiunto che l’azione di
cui disponevano i lavoratori iscritti per la salvaguardia della integrità del Fondo non doveva essere
configurata come diretta semplicemente a far valere una pretesa di non decurtazione — per effetto di
appropriazione da parte del datore di lavoro — della consistenza patrimoniale raggiunta dal Fondo,
ma avrebbe dovuto essere intesa — in applicazione del combinato disposto dell’art. 2117 e dell’art.
1218 cod. civ., comportante l’obbligo di adempimento delle suindicate norme del Regolamento del
FIP aventi natura contrattuale — come pretesa volta ad ottenere che l’accantonamento reale che dava
consistenza al Fondo seguisse la dinamica di crescita ivi prevista, secondo il regime proprio dei
frutti civili.
1.2.— Con il secondo motivo si denunciano: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 1362
cod. civ. nonché degli artt. 3 e 10 del d.lgs. n. 124 del 1993, in ordine alla continuità e unicità del
Fondo Integrativo contrattualmente modificato; b) difetto di motivazione sulla sussistenza di un
fatto decisivo per la controversia, costituito dalla creazione di un nuovo Fondo autonomo.
Si sottolinea che il punto centrale della controversia è rappresentato dall’affermazione — che si
afferma essere, nella sentenza impugnata, sostenuta da motivazione carente — secondo cui il Fondo
“a prestazione definita” abbia continuato ad esistere (e non sia stato, quindi, liquidato) dopo gli
Accordi sindacali del 15 novembre 1996, del 19 marzo 1997 e del 9 ottobre 1997 e che tali Accordi
abbiano avuto l’effetto di creare, accanto al suddetto Fondo, un nuovo e indipendente Fondo
“contribuzione definita”. Di qui la Corte anconetana ha desunto l’irrilevanza giuridica, nella specie,
delle questioni relative alla consistenza del vecchio Fondo.
3

MOTIVI DELLA DECISIONE

Comunque, quand’anche, come afferma la Corte territoriale, si volesse ritenere che il Fondo
“a ripartizione” non sia stato liquidato in quel momento, le conseguenze di tale mancata
liquidazione dovrebbero valere per tutti gli iscritti, sia per i pensionati (compresi nella sezione a
prestazione definita) sia per i pensionandi transitati nella sezione a contribuzione definita, senza
esprimere alcuna volontà adesiva. Invero, il “transito” di tali ultimi pensionandi è avvenuto sulla
solo base dell’accordo tra le parti sociali, diversamente da quanto è successo per i pensionandi ai
quali è stato consentito di scegliere tra le due sezioni, esercitando l’opzione.
Si soggiunge, infine, che la Corte d’appello ha, sul punto, violato anche gli artt. 3 e 10 del
d.lgs. n. 124 del 1993, nel testo all’epoca vigente, perché in applicazione di tali disposizioni i
lavoratori in servizio iscritti al Fondo a prestazione definita fino ad ottobre 1996, se il Fondo a
contribuzione definita fosse stato nuovo avrebbero dovuto aderirvi esplicitamente e individualmente
(art. 3) e avrebbero dovuto essere liquidati dal vecchio Fondo (art. 10).
1.3.— Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 39 Cost. e
dell’art. 2071 cod. civ., in ordine alla indisponibilità da parte della autonomia collettiva di posizioni
di diritto soggettivo dei singoli; b) degli arti 2113 e 1236 cod. civ. in ordine alle rinunzie
individuali ai diritti di credito.
Si contesta l’affermazione della Corte anconetana secondo cui, in merito alla quantificazione
della consistenza patrimoniale del Fondo in vista della sua distribuzione sui conti individuali della
sezione a contribuzione definita, la relativa determinazione effettuata dalle 00.SS. avrebbe
comportato la sanatoria delle pretese dei lavoratori volte a far valere il proprio diritto ad un importo
di gran lunga maggiore della suddetta quantificazione.
Si rileva, in particolare, che: 1) esula dalle attribuzioni dei sindacati il potere di disporre dei
diritti dei lavoratori, anche se loro iscritti, in quanto la contrattazione collettiva ha solo la funzione
di curare gli interessi dei lavoratori stessi con la fissazione di una disciplina destinata ad avere
applicazione per il futuro; 2) data la unicità e continuità del FIP — negate dalla Corte d’appello — il
diritto alla esatta consistenza patrimoniale del Fondo non poteva subire decurtazioni da parte della
successiva attività delle 00.SS.
In ogni caso, viene altresì contestata l’affermazione subordinata della Corte territoriale
secondo cui il ricorrente avendo esercitato il diritto di opzione per il regime a contribuzione definita
— attribuitogli in quanto pensionando — avrebbe con ciò rinunziato a pretendere il maggiore importo
spettante,gli in dipendenza del vecchio regime (a prestazione definita) essendo tale rinuncia da
4

Si sostiene l’erroneità di tale costruzione perché in palese contrasto con le previsioni degli
_ Accordi sindacali. Infatti, in particolare nell’Accordo del 9 ottobre 1997, è stato testualmente
stabilito che: “in attesa della realizzazione del Fondo unico (per la unificata Banca delle Marche)”
presso i Fondi esistenti delle Casse di Macerata, di Jesi e di Pesaro (da unificare) venisse istituita
una “sezione a contribuzione definita”, nella quale si sarebbero fatte confluire le posizioni
individuali del personale dei relativi Fondi. Sicché, diversamente da quanto affermato dalla Corte
territoriale, il Fondo restava unico per ognuna delle suddette Casse, seppure articolato in due
sezioni.

considerare effettuata nella piena consapevolezza della situazione, visto che la mala gestio del
vecchio Fondo riscontratasi in passato era stata denunciata dalle 00.SS. che avevano chiesto una
reintegrazione del Fondo stesso (peraltro, accontentandosi di 9 miliardi di lire, a fronte dei circa 50
miliardi di lire mancanti).

H

Sintesi del ricorso incidentale condizionato

2.- Nel ricorso incidentale condizionato, non articolato in motivi, la Banca delle Marche s.p.a.
chiede che, nell’ipotesi di accoglimento anche solo parziale del ricorso principale, il giudice di
rinvio sia investito, fra l’altro, del “necessario accertamento della assoluta inesistenza di detrazioni
e sottrazioni od omissioni di versamento e quant’altro al Fondo de quo”, con conseguente
valutazione del carattere — legittimo o meno — dei relativi atti di gestione, ma senza alcuna
inversione dell’onere della prova.
Si sottolinea che diversamente si rischierebbe di statuire sulle conseguenze per gli interessati
dei suddetti atti, senza che in precedenza ne sia stata mai accertata la rispondenza al vero e la
legittimità o meno.

III

Esame dei motivi del ricorso principale

3.- Il ricorso principale non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
3.1.- Deve essere, in primo luogo, ribadito che — come risulta chiaramente dalla sentenza
impugnata, come ben sottolinea anche la controricorrente e il ricorrente non contesta — la domanda
proposta dal ricorrente nell’atto introduttivo del presente giudizio è diretta alla condanna della
Banca delle Marche s.p.a. (d’ora in poi: Banca Marche) al pagamento della differenza tra quanto
ricevuto, a titolo di liquidazione in forma capitale della pensione integrativa del Fondo pensionistico
aziendale e quanto, a suo dire, spettantegli nell’ipotesi di corretta gestione del Fondo stesso
asseritamente non riscontratasi.
Inoltre va precisato che, a monte di tale pretesa, vi è una situazione in cui il ricorrente,
essendo ancora in servizio al momento della creazione del Fondo a contribuzione definita nuovo, ha
liberamente deciso di optare per il nuovo sistema di previdenza.
Tale ultima osservazione rende evidente che la presente fattispecie è del tutto diversa da
quella esaminata da Cass. 21 marzo 2013, n. 7161 (richiamata dal ricorrente nella memoria
depositata in prossimità dell’udienza), così come da quelle esaminate in precedenza da Cass. 23
febbraio 2010, n. 4369 e successivamente da Cass. 30 luglio 2013, n. 18266..
Infatti, tutte le suindicate sentenze hanno esaminato fattispecie nella quali — pur con le
diversità proprie di ciascun caso — veniva in considerazione la tutela da offrire a lavoratori che, pur
5

Si rileva, in particolare, che tale affermazione si pone in contrasto con il principio, più volte
affermato dalla giurisprudenza di legittimità, per il quale la volontà di rinunziare ad un credito non
si presume e comunque le rinunce del lavoratore poste in essere ex art. 2113 cod. civ. devono essere
esplicite e rivelare in modo certo la volontà di dismettere un proprio diritto.

essendo stati iscritti a Fondi preesistenti, avevano risolto il loro rapporto di lavoro prima della
istituzione del Fondo di previdenza complementare di appartenenza o comunque in un momento in
cui non versavano nelle condizioni per poter beneficiare del trattamento pensionistico integrativo.
Quello suindicato è, quindi, il perimetro entro il quale vanno valutate anche le censure
attualmente proposte dal ricorrente principale avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona
in oggetto.

Infatti, come si desume dalla sentenza impugnata, la Corte territoriale si limita a muovere dal
presupposto del carattere indimostrato dell’appropriazione datoriale cui genericamente — e senza il
doveroso rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione — si fa riferimento
nel motivo, ma non statuisce nulla al riguardo, sottolineando solamente, con congrua e logica
motivazione, come dagli stessi documenti versati in atti dal ricorrente risulta inequivocamente che
egli era pienamente consapevole, almeno dagli inizi del 1997, della ritenuta sottocapitalizzazione
del vecchio Fondo e delle iniziative sindacali adottate al fine di promuovere approfondimenti di
natura tecnica in merito. E tali affermazioni non risultano contestate dal ricorrente.
3.3.- Inammissibile è anche il secondo motivo, nel quale, nonostante il formale richiamo alla
violazione di norme di legge contenuto nella prima parte dell’intestazione del motivo, in realtà tutte
le censure prospettate si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata
per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.
In particolare — con argomenti non decisivi ed ultronei — a fronte di questa motivazione molto
puntuale, le doglianze mosse dal ricorrente risultano non attenere all’iter logico—argomentativo che
sorregge la decisione — che, peraltro, risulta congruo e chiaramente individuabile — ma si risolvono
sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse
circostanze di fatto già valutate dal Giudice del merito in senso contrario alle aspettative del
medesimo ricorrente e si traducono, quindi, nella richiesta di una nuova valutazione del materiale
probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.
Né va omesso di sottolineare che tutte le doglianze mirano a contestare la statuizione — molto
ben argomentata — della Corte anconetana dell’irrilevanza giuridica, nella specie, delle questioni
relative alla consistenza del vecchio Fondo, irrilevanza che, a sua volta, deriva dalla considerazione
che il ricorrente, avendo esercitato il diritto di opzione per il nuovo sistema, non poteva sollevare
questioni relative alla dotazione del vecchio Fondo, nei cui confronti non aveva più titolo per far
valere diritti connessi alla previdenza integrativa.
È, pertanto, evidente come il ricorrente, nel porre in discussione la suddetta statuizione, non
faccia altro che riproporre inammissibilmente una ricostruzione di tutta la vicenda diversa da quella
fatta propria dalla sentenza impugnata, con motivazione che non merita alcuna censura, tanto più
che con essa la Corte territoriale è pervenuta ad una conclusione sostanzialmente conforme alla
giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, a Cass. 3 ottobre 2005, n. 19268.
6

3.2.- Dalle suindicate premesse discende, in primo luogo, l’inammissibilità del primo motivo
del ricorso, in quanto con esso si propongono censure che sono estranee alla ratio decidendi.

3.4.- Anche il terzo motivo non è da accogliere.
Va, infatti, rilevato, come si desume dalla relativa poco chiara argomentazione, che lo stesso
ricorrente, riconosce che il “transito” nella sezione a contribuzione definita dei pensionandi è
avvenuto sulla esclusiva base dell’accordo tra le parti sociali soltanto per coloro che non hanno
esercitato il diritto di opzione.
Ne consegue che, avendo il ricorrente pacificamente esercitato tale diritto, non ha alcuna
ragione per prospettare alcuna questione al riguardo e quindi neanche per invocare — peraltro, in
modo generico e senza il rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione —
la tutela per le rinunce del lavoratore poste in essere ex art. 2113 cod. civ.
IV

Esame del ricorso incidentale

4.- Il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile, perché risulta privo dei requisiti minimi
di forma e contenuto propri del ricorso per cassazione.
Infatti, per orientamento consolidato e condiviso di questa Corte, presupposto della
dichiarazione di assorbimento del ricorso incidentale condizionato conseguente al rigetto del ricorso
principale è l’ammissibilità del ricorso incidentale medesimo, in quanto la dichiarazione di
assorbimento, che deriva dall’accertamento dell’infondatezza del ricorso principale, comporta un
apprezzamento del merito dell’impugnazione condizionata, il quale, a sua volta, ne implica
l’ammissibilità, che deve essere accertata dalla Corte di cassazione indipendentemente dalla
proposizione di una eccezione ad hoc (vedi, per tutte: Cass. 28 febbraio 2007, n. 4787; Cass. 9
giugno 2010, n. 13882).
V

Conclusioni

In sintesi, il ricorso principale deve essere respinto e quello incidentale va dichiarato
inammissibile. Le spese del presente giudizio di cassazione — liquidate nella misura indicata in
dispositivo — seguono la prevalente soccombenza del ricorrente principale.

7

Con tale ultima sentenza, infatti, è stata confermata, la sentenza di merito che aveva escluso il
diritto dei dipendenti della ex Cassa di risparmio di Macerata, diventata Banca delle Marche, posti
in quiescenza per pensionamento volontario nei primi dieci mesi del 1997, alla quota aggiuntiva che
l’azienda avrebbe dovuto versare sui conti individuali dei singoli lavoratori, una volta avvenuta la
trasformazione del Fondo integrativo a prestazione definita, facente capo alla precedente datrice di
lavoro dei ricorrenti, in quello a contribuzione definita, comune agli altri istituti bancari confluiti nel
nuovo soggetto bancario, alla stregua della regolamentazione collettiva. Si è, anche, rilevato, che
datore di lavoro e 00.SS. avevano concordato la trasformazione dei fondi delle tre Casse di
risparmio di Macerata, di Pesaro e di Jesi — poi confluite tutte nella Banca delle Marche s.p.a. — in
un unico Fondo a contribuzione definita, definendo l’entità della dotazione iniziale del Fondo alla
data del 31 dicembre 1997 e di quella aggiuntiva, e individuando, fra gli ex dipendenti, i beneficiari
del trattamento a contribuzione definita soltanto in coloro che avessero optato per tale regime.

1) “in materia di previdenza complementare, ai dipendenti della ex Cassa di risparmio di
Macerata — confluita nella Banca delle Marche s.p.a. insieme con le Casse di risparmio di Pesaro e
di Jesi — in base al Regolamento della ex Cassa di risparmio di Macerata, erano riconosciute nel
Fondo Integrativo Previdenziale (FIP) prestazioni integrative delle pensioni e non già una quota di
proprietà del Fondo stesso, che quelle prestazioni doveva garantire. Pertanto, quando è stata
disposta, previo accordo con le 00.SS., la trasformazione del suddetto Fondo “a prestazione
definita” attraverso la costituzione di un Fondo unico aggiuntivo a capitalizzazione e “a
contribuzione definita”, i dipendenti non vantavano diritti soggettivi sul patrimonio e sulla
dotazione del Fondo originario, essendo ad essi da riconoscere soltanto il diritto alla conservazione
della integrità patrimoniale del FIP originario, ai sensi dell’art. 2117 cod. civ., secondo cui il datore
di lavoro è responsabile nei confronti dei lavoratori qualora si verifichi la distrazione della
consistenza patrimoniale del Fondo di riferimento”;
2) “in materia di previdenza complementare, i dipendenti della ex Cassa di risparmio di
Macerata — confluita nella Banca delle Marche s.p.a. insieme con le Casse di risparmio di Pesaro e
di Jesi — andati in quiescenza per pensionamento volontario, i quali erano ancora in servizio quando
—per effetto degli Accordi sindacali del 15 novembre 1996, del 19 marzo 1997 e del 9 ottobre 1997
—si è provveduto alla trasformazione del Fondo Integrativo Previdenziale (FIP) “a prestazione
definita” in un nuovo Fondo unico aggiuntivo a capitalizzazione e “a contribuzione definita” —
conformemente con il d.lgs. n.124 del 1993 — ed hanno esercitato il previsto diritto di opzione per
accedere a tale ultimo Fondo, non possono vantare diritti sul precedente FIP ma solo sul nuovo
Fondo, salve soltanto eventuali contestazioni riguardanti la quantificazione del trattamento
pensionistico integrativo loro attribuito, per erronee operazioni di calcolo sulla consistenza
patrimoniale effettiva del vecchio FIP alla data stabilita sul punto dalle 00. SS.”.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso
incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di
cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 3000,00 (tremila/00) per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
Così Oso in Rpna, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 3 dicembre 2013.

8

Ai sensi dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ. si ritiene opportuno enunciare i seguenti
principi di diritto:

Funzionario Gi •

A•O

Virge P
oggi,

an e la
– 3 APR 2014

Deposto

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA