Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7813 del 03/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 7813 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

1

sul ricorso 20257-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

2911

SALLUZZO IOLANDA;
– intimata –

e sul ricorso 7157-2011 proposto da:

Data pubblicazione: 03/04/2014

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;

contro

SALLUZZO IOLANDA C.F. SLLLND60M47F839H, elettivamente
domiciliata in ROMA, V. PANAMA 74, presso lo studio
dell’avvocato IACOBELLI GIANNI EMILIO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1089/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/07/2007 R.G.N.
6207/2005;
avverso la sentenza n.

8314/2009 della CORTE

D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/03/2010 R.G.N.
2334/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/10/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per
l’inammissibilità o in subordine rigetto per il

– ricorrente –

ricorso n. 20257/2008, rigetto per il ricorso n.
7 157 /2 01 1.

7/

/

20257.08 + 7157.11

Udienza 17 ottobre 2013

Pres. P. Stile
Rel. V. Di Cerbo

SENTENZA
La Corte

.,
Rilevato che
1.

Con sentenza in data 25 luglio 2007 la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del
Tribunale di Roma in data 24 settembre 2003, ha dichiarato la nullità del termine apposto al
contratto di lavoro, con decorrenza 2 ottobre 2000, stipulato da Poste Italiane con Iolanda
Salluzzo e, per l’effetto, ha dichiarato la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato con la medesima decorrenza ed ha condannato Poste Italiane s.p.a. a
risarcire alla lavoratrice il danno subito liquidato in misura pari alle retribuzioni maturate dal
15 luglio 2003 (data della costituzione in mora del datore di lavoro) alla scadenza del triennio
successivo alla data di interruzione del rapporto (31 gennaio 2004).

2.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. affidato a cinque
motivi; la lavoratrice è rimasta intimata.

3.

Con sentenza in data 16 marzo 2010 la stessa Corte d’appello di Roma ha riformato la sentenza
del Tribunale di Roma in data 22 marzo 2006 emessa fra le stesse parti ed avente ad oggetto la
legittimità del termine apposto allo stesso contratto di lavoro; il dispositivo di questa seconda
decisione della Corte di merito differisce da quello della prima sentenza emessa dalla stessa
Corte (menzionata sub 1.) unicamente per il fatto che il risarcimento del danno è stato
liquidato nella misura delle retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora (15 luglio
2003) alla data della sentenza.

4.

Anche nei confronti di quest’ultima sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso. La
lavoratrice ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

5.

Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi, in applicazione analogica dell’art.
335 cod. proc. civ., giustificata dalla peculiarità della fattispecie, in cui l’unica contesa
sostanziale ha dato vita a due processi solo formalmente distinti (cfr. Cass. 10 marzo 1999 n.
2064).

6.

Col primo e secondo motivo del ricorso avverso la prima delle sentenze sopra richiamate (sub
1.) la società ricorrente censura (denunciando, in particolare, violazione degli artt. 1372, primo
comma, 1175, 1375, 1427, 1431 e 2697 cod. civ. e vizio di motivazione) la statuizione della
sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo
consenso.

3

7.

Le censure sono infondate. Secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., in
particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento
della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto
dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la
configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia
accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a
termine, nonché alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto
dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle
parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del
le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori
di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del lavoratore
dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di
valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per
mutuo consenso e tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle
censure mosse in ricorso.

8.

Quanto alla statuizione concernente l’illegittimità del termine osserva il Collegio che la Corte di
merito, nella sentenza menzionata sub 1., ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione
sull’illegittimità del termine, tra l’altro, alla considerazione che il contratto in esame è stato
stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come
integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

9.

La società ricorrente censura tale statuizione col terzo e quarto motivo di ricorso con il quale si
denuncia, in particolare, violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987,
degli artt.1362 e segg. cod. civ. in relazione all’interpretazione dell’art. 8 c.c.n.l. 26 novembre
1994 e di altre norme collettive nonché vizio di motivazione.

10. Anche tali censure sono infondate.
11. Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla
contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire nuovi casi
di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende
dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità
del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti
(con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a
termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla
necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o
di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad
assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile
2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi,
una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono
destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a
quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale
in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto
4

significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito,

2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di
specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di
apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n.
7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha
univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di
dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del
c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16
gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione,
fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle
assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti
a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre,
Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n.
21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
12. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
13. Con riferimento al profilo relativo alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità
della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso di specie
dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6° e 7° della legge 4 novembre
2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.
14. In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per
poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia
retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della
natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr.
Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì
necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla
disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la
disciplina sua propria; ne consegue che, con riferimento alla disciplina qui invocata, la
necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione
presuppone che i motivi di ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali
dell’accertata nullità del termine e che essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel
caso in esame, il ricorso sia stato proposto avverso una sentenza depositata successivamente
alla data di entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, tali motivi devono essere altresì
corredati, a pena di inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di
diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in caso di
assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche
dell’accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto pregiudiziale
produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali conseguenze.

5

straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente

15. Nel caso in esame il terzo motivo investe il tema al quale si riferisce la disciplina di cui all’art.
32 prima citato. Con tale motivo, con il quale è stata denunciata violazione e falsa applicazione
degli artt. 1217 e 1233 cod. civ., parte ricorrente lamenta, in particolare, la violazione dei
principi in tema di mora accipiendi e l’omessa valutazione dell’aliunde perceptum anche con
riferimento all’onere della prova. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto ex art.
366 bis cod. proc. civ.: per il principio della corrispettività della prestazione, il lavoratore — a

seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato — ha
diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che
abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa

16. Osserva il Collegio che il suddetto quesito risulta del tutto generico e sostanzialmente non
pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle
regole vigenti nella materia senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del
concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4 gennaio 2011 n. 80; Cass. 29
aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi enunciati da questa Corte di legittimità (cfr.,
in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36) secondo cui il quesito di diritto, richiesto a pena
di inammissibilità del relativo motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve
essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente
un quesito generico e non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo,
come nel caso di specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011 n. 17674).
17. Il ricorso avverso la prima sentenza deve essere pertanto rigettato.
18. Con riferimento alla seconda sentenza deve preliminarmente osservarsi che il principio ne bis

in idem, posto dall’art. 39 cod. proc. civ., e rispondente ad irrinunciabili esigenze di ordine
pubblico processuale, non consente che il medesimo giudice o giudici diversi statuiscano due
volte su identica domanda, e determina l’improcedibilità del processo che nasca dall’indebita
reiterazione di controversia già in corso, imponendo la cancellazione dal ruolo della causa che
risulti posteriormente iscritta. L’omessa cancellazione di tale causa è emendabile anche in fase
di impugnazione , inficiando radicalmente la sentenza, mentre non incide sulla validità della
causa prioritariamente iscritta e della decisione che l’abbia conclusa (Cass. 10 marzo 1999 n.
2064).
19. Ne consegue che, conformemente a quanto stabilito dalla sentenza da ultimo citata, si deve
accogliere il ricorso di Poste Italiane s.p.a. avverso la seconda sentenza della Corte d’appello di
Roma anche se per motivi di diritto divergenti da quelli sviluppati e cassare senza rinvio la
suddetta decisione ai sensi dell’art. 382, terzo comma, seconda ipotesi, cod. proc. civ.
20. In relazione alla peculiarità della fattispecie e tenuto conto del comportamento processuale
delle parti si ritiene conforme a giustizia compensare integralmente fra le stesse le spese del
giudizio di cassazione nonché quelle del giudizio di merito reiterato.

P.Q.M.
6

nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ.

La Corte riunisce al presente ricorso quello recante il numero di R.G. 7157.2011; rigetta il ricorso
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma in data 25 luglio 2007; accoglie il ricorso avverso la
sentenza della Corte d’appello di Roma in data 16 marzo 2010 e per l’effetto cassa quest’ultima
sentenza senza rinvio; compensa fra le parti le spese del giudizio di cassazione nonché quelle del
secondo giudizio di merito.

z yi 3/ 2 LO 9

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2013.—

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