Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7810 del 14/04/2020
Cassazione civile sez. I, 14/04/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 14/04/2020), n.7810
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 5774/2019 r.g. proposto da:
H.D., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta
procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Enrico
Mario Belloli, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in
Milano, Via Commenda n. 35.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale
rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso ex
legge dall’Avvocatura Generale dello Stato;
– resistente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata in
data 7.8.2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
31/1/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
Fatto
RILEVATO
che:
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da H.D., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza emessa in data 17.7.2017 dal Tribunale di Milano, con la quale erano state respinte le domande volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e la richiesta protezione sussidiaria ed umanitaria.
La corte del merito ha, in primo luogo, ricordato la vicenda personale del richiedente, secondo il racconto svolto da quest’ultimo; il ricorrente ha infatti narrato di: i) essere stato costretto ad abbandonare il paese di origine, perchè accusato dell’omicidio colposo di un amico, in seguito ad un sinistro stradale, in occasione del quale aveva subito la vendetta del padre della vittima dell’incidente tramite l’uccisione della madre; ii) essere, dunque, scappato, temendo ulteriori vendette in suo danno.
La corte territoriale ha dunque ritenuto che: 1) il racconto del richiedente protezione non era credibile; 2) non era comunque fondata la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b, in quanto non erano state allegate le condizioni previste dalla norma e perchè il racconto del richiedente non era stato considerato credibile; 3) non poteva essere riconosciuta neanche l’ulteriore tutela di cui all’art. 14, lett. c, medesimo Decreto da ultimo citato perchè il Gambia non è percorso da violenza indiscriminata; 4) non era fondata neanche la domanda di protezione umanitaria, in assenza della dimostrazione di una condizione di soggettiva vulnerabilità del richiedente.
2. La sentenza, pubblicata il 7.8.2018, è stata impugnata da H.D. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra, ratificata con L. n. 722 del 1954, nonchè dell’art. 4, commi 3, 4 e 5, della direttiva 2004/83/CE, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3, 4 e 5, in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e segg. Direttiva 2004/83/CE ed D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, dell’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con la L. n. 848 del 1955.
3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo, in relazione al profilo dell’allegato percorso di integrazione sociale del richiedente.
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1 Già il primo motivo non supera il vaglio di ammissibilità della censura.
4.1.1 Sul punto, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).
Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva attendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.
Senza contare che la censura si compone, altresì, di una serie di sollecitazioni a rivalutazioni di merito sulla condizione del paese di provenienza del richiedente, come riscontro al giudizio di credibilità del richiedente, che non possono essere oggetto di cognizione da parte del giudice di legittimità perchè implicanti uno scrutinio di merito delle prove dedotte dalle parti, il cui esame è invece rimesso alle valutazioni dei giudici delle fasi precedenti.
4.2 Anche il secondo motivo è inammissibile.
4.2.1 E’ pur vero che, in tema di protezione internazionale, nella forma della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 e art. 14, lett. a) e b), il conseguente diritto non può essere escluso dalla circostanza che agenti del danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati qualora nel paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (cfr. Sez. 6, sentenza n. 15192 del 20/07/2015; nello stesso senso, anche: Sez. 6, Ordinanza n. 25873 del 18/11/2013; Sez. 6, Ordinanza n. 163 56 del 03/07/2017; Sez. 6, Ordinanza n. 23604 del 09/10/2017); tuttavia è altrettanto vero che la parte ricorrente non ha allegato di aver richiesto previamente la protezione statale, senza ottenerla, rendendo la doglianza in tal modo irricevibile, posto che è possibile richiedere, in subiecta materia, al giudice di merito un approfondimento istruttorio su questione che non è stata adeguatamente allegata dalla parte a ciò interessata.
4.3 Il terzo motivo è invece inammissibile perchè, in relazione al contestato diniego della reclamata protezione umanitaria, la censura non coglie la ratio decidendi della impugnata motivazione, che, sul punto qui da ultimo in esame, riposa sull’accertata assenza di una condizione di effettiva vulnerabilità del soggetto richiedente protezione. Ne consegue che le ulteriori deduzioni difensive diventano del tutto irrilevanti in ordine alla valutazione della complessiva tenuta logico-giuridica della impugnata decisione.
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, in mancanza di difese dell’amministrazione intimata.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2020