Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7810 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. I, 05/04/2011, (ud. 13/12/2010, dep. 05/04/2011), n.7810

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

E.D., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. MARRA Alfonso Luigi per procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli in data 25

settembre 2008, nel procedimento n. 2076/07 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio in

data 13 dicembre 2010 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale, Dott. FUCCI Costantino, che nulla ha osservato.

La Corte:

Fatto

FATTO E DIRITTO

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata al difensore del ricorrente:

“il Consigliere relatore, letti gli atti depositati;

ritenuto che:

1. E.D. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 25 settembre 2008, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in suo favore della somma di Euro 3.675,00 a titolo di indennizzo per il superamento in primo grado del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato davanti al Tar Campania per una controversia in materia di pubblico impiego con ricorso depositato il 12 ottobre 2000 e definito con sentenza dell’8 novembre 2007;

1.1. il Ministero intimato non ha svolto difese;

Osserva:

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 3.675,00 pari ad Euro 900,00 per ogni anno di ritardo, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di quattro anni e un mese a quella ragionevole, determinata in tre anni;

3. parte ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo dieci motivi di ricorso, con i quali lamenta:

3.1. la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la formulazione del seguente quesito di diritto: la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65, par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo);

3.2. il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa, e non all’intera durata del giudizio e l’inosservanza, con vizio di motivazione, dei parametri europei ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale (motivi da due a sei);

3.3. il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e con vizio di motivazione, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto di pubblico impiego (settimo e ottavo motivo);

3.4. la illegittima integrale compensazione delle spese malgrado l’accoglimento della domanda;

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

4.1. i motivi da due a sei appaiono manifestamente infondati in quanto la liquidazione dell’indennizzo stabilita dalla Corte di appello è superiore a quella applicata in casi simili da questa Corte, sulla scorta dei principi fissati dalla giurisprudenza della CEDU, per un ammontare di Euro 750,00 ad anno per i primi tre anni di durata non ragionevole e di Euro 1.000,00 per ogni ulteriore anno successivo, per un importo che, nel caso di specie, ammonterebbe ad Euro 3.334,00; inoltre è vincolante per il giudice nazionale il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597;

2008/14);

4.2. il settimo e ottavo motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

4.3. il nono e decimo motivo appaiono inammissibili; infatti, mentre la Corte di merito ha disposto la compensazione integrale delle spese processuali in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda e del comportamento processuale della convenuta, il ricorrente si è doluto della compensazione parziale delle spese, disposta malgrado l’accoglimento della domanda e senza motivazione, muovendo così censure non attinenti al decisum ed alle ragioni poste a base della disposta compensazione integrale;

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in Camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione in atti;

ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato e che nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo il Ministero intimato svolto difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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