Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 781 del 14/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 14/01/2011, (ud. 11/11/2010, dep. 14/01/2011), n.781

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12119-2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

VELA DE MAR SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 70/2007 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 07/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2010 dal Consigliere Dott. DIDOMENICO Vincenzo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale del Lazio dep. il 07/03/2007 che aveva, respingendo l’appello dello Ufficio, confermato, per quanto in contestazione, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso della contribuente Vela De Mar s.p.a. in ordine al recupero a tassazione di L. 245.746.000 di componenti positive del reddito costituite da contributi Europei per la ristrutturazione e l’adeguamento alle normative sanitarie del magazzino e centro spedizioni di prodotti ittici per l’anno 1999; la CTR, in particolare, aveva ritenuto che il contributo era in conto capitale onde era corretta la imputazione secondo il principio di cassa e non di competenza.

La Agenzia delle Entrate fonda il ricorso su due motivi fondati su plurimo vizio motivazionale. La contribuente non ha resistito.

La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo di ricorso l’ufficio deduce plurimo vizio motivazionale e, premesso che i contributi in esame dovevano intendersi riferiti all’acquisto di “beni a fecondità ripetuta”, sostiene che gli stessi andavano ascritti ai proventi da contabilizzare secondo il criterio di competenza di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 comma 1; la sentenza, poichè stabiliva che “gli importi predetti, in quanto non inerenti il conto impianti, debbono trovare corretta imputazione secondo il principio di cassa di cui all’art. 55, lett. b) del TUIR, come in effetti ha operato la società laddove le spese finanziate inerivano proprio gl’impianti, cadeva, pertanto, in contraddizione. Propone il seguente momento di sintesi: la decisione è contraddittoria in quanto in relazione al punto decisivo della controversia costituito dalla individuazione dell’esercizio di competenza dei contributi in esame, afferma singolarmente che i contributi in esame non ineriscano agli impianti malgrado la accertata inerenza dei contributi in esame agli impianti sopra dettagliatamente descritti”.

Il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55, comma 3, lett. b), nel testo vigente ratione temporis, prevede: Sono considerate sopravvenienze attive:

b) i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità, esclusi i contributi di cui all’art. 53, comma 1, lett. e) e f) e quelli per l’acquisto di beni ammortizzabili indipendentemente dal tipo di finanziamento adottato. Tali proventi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non oltre il quarto.

La scienza economica tradizionalmente distingue tra contributi in conto esercizio, contributi in conto impianti e contributi in conto capitale.

Sono considerati contributi in conto esercizio quelli destinati a fronteggiare esigenze di gestione, cioè a coprire spese correnti di esercizio.

Essi trovano la loro disciplina fiscale nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 85, lett. g) ed h) (già art. 53, comma 1, lett. e) e f)).

In particolare, l’art. 53 predetto individua due fattispecie di contributi considerati ricavi:

contributi, in denaro o in natura, spettanti sotto qualsiasi denominazione in base a contratto;

contributi spettanti esclusivamente in conto esercizio svincolati da rapporti contrattuali ed erogati in base a specifiche disposizioni di legge indipendentemente dalla natura pubblica o privata del soggetto che li eroga i contributi in conto esercizio, sia fiscalmente che civilisticamente, rilevano nell’esercizio di competenza.

I contributi in conto esercizio sono tassati come ricavi e si considerano di competenza dell’esercizio in cui è sorto con certezza il diritto a percepirli (notificazione del provvedimento concessivo, se recettizio, ovvero pubblicazione, se non recettizio, avveramento della condizione, se condizionati, ecc.).

I contributi in conto impianti sono contributi finalizzati all’acquisizione di beni materiali o immateriali ammortizzabili ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 102 e 103 (ex artt. 67 e 68), qualunque sia la modalità di erogazione degli stessi: attribuzione di somme in denaro, riconoscimenti di crediti di imposta o altro.

Dopo le modifiche apportate al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88 (ex art. 55), i contributi in conto impianti non costituiscono più sopravvenienze attive.

Tali contributi concorrono alla formazione del reddito di impresa nella stessa misura in cui il costo dei beni ammortizzabili cui fanno riferimento concorre a formare il reddito sotto forma di quote di ammortamento deducibili.

Le modalità attraverso le quali i suddetti contributi concorrono alla formazione del reddito di impresa si differenziano a seconda della tecnica adottata per la loro contabilizzazione:

se il contributo è stato portato in diretta diminuzione del costo storico del bene ammortizzabile cui inerisce, concorre alla formazione del reddito di impresa sotto forma di minori quote di ammortamento deducibili calcolate direttamente sul costo del bene ammortizzabile al netto del contributo stesso;

se, invece, il contributo è stato contabilizzato come ricavo anticipato da riscontare (risconto passivo), il contributo concorre a formare il reddito di impresa in stretta correlazione con il processo di ammortamento del bene cui il contributo è collegato, cioè in misura proporzionalmente corrispondente alle quote di ammortamento dedotte in ciascun esercizio.

I contributi in conto capitale sono contributi erogati per aumentare i mezzi patrimoniali dei soggetti beneficiari senza perciò che la loro concessione si correli all’onere dell’effettuazione di uno specifico investimento. Dal punto di vista fiscale i contributi in conto capitale sono disciplinati dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 3 (ex art. 55), e ai sensi del predetto articolo, costituiscono sopravvenienze attive che concorrono a formare il reddito di impresa secondo il criterio di cassa. I contributi in conto capitale sono assoggettati a tassazione, dunque, nel periodo di imposta in cui sono effettivamente percepiti, salva la facoltà di assoggettare a tassazione tali contributi in un numero massimo di cinque quote di pari importo, a decorrere dal periodo di imposta in cui sono percepiti.

La scienza economica ha poi individuato la ulteriore categoria dei contributi misti, cioè concessi al fine generico di potenziare l’apparato produttivo, che in genere vengono qualificati quali contributi in conto capitale, in quanto mancherebbe una specifica correlazione con l’acquisto di beni ammortizzabili.

Pertanto contributi concessi in relazione a piani di investimento complessi che comprendono sia spese di acquisizione di beni strumentali ammortizzabili, sia spese di diversa natura, semprechè non ci siano dei criteri oggettivi che consentano la ripartizione del contributo tra le varie voci, l’intero importo del contributo stesso dovrebbe essere assoggettato alla disciplina dei contributi in conto capitale.

Tali principi sono sostanzialmente comuni con l’elaborazione normativa che distingue tra contributi in conto capitale, imputabili col criterio di cassa nell’annualità in cui è stata effettuata l’erogazione e contributi in conto esercizio(collegati direttamente con i costi, quali i contributi in tema di costo del lavoro, per integrare ricavi ecc.) che vanno imputati col criterio di esercizio(riducendo o azzerando i costi).

In particolare il collegamento dei contributi ai costi(che rende operativo il criterio di competenza) emerge dalla circostanza che la norma suindicata prevede che il contributo in conto esercizio debba essere necessariamente collegato all'”acquisto di beni ammortizzabili”. I contributi che non hanno la superiore caratteristica (per es. perchè relativi all’acquisto di beni non ammortizzabili, o per interventi su beni già ammortizzati ecc.) sono considerati plusvalenze, tassabili col criterio di cassa, e ciò è conforme alla ratio economica che ne esclude il diretto collegamento con i costi.

Tali principi sono stati ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1147/2010)che in un caso analogo a quello ora in esame, ma in cui l’Ufficio richiedeva la tassazione col criterio di cassa, ha sostenuto che “la mancata rappresentazione contabile, nel bilancio di esercizio dell’anno 1999, della avvenuta percezione nello stesso anno della quota del contributo a fondo perduto concesso l’anno precedente (concessione già rappresentata nell’afferente bilancio) è che quella percezione è stata esattamente qualificata dall’Ufficio quale sopravvenienza attiva ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55, comma 3, lett. c) nel testo, applicabile al caso ratione temporis, modificato dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 21, comma 4 quindi tassabile come tale, perchè tale norma considera espressamente come sopravvenienze attive i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità (quindi anche i contributi a fondo perdute), disponendo, altresì, che gli stessi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi” ritenendo, altresì, – in ordine al significato di omesse contabilizzazioni che la società “scegliendo di non considerarlo in nessuno dei documenti del proprio bilancio, in effetti, non ha operato nessuna scelta delle pur possibili diverse rappresentazioni tecnico – contabili del fatto (riduzione del costo delle immobilizzazioni acquisite con quel contributo e gradato accreditamento dello stesso al conto economico sulla base della vita utile del cespite, con le connesse varianti di contabilizzazione”.

Analogamente, Cass. n.8250/2008 (ritenuto, nel caso colà esaminato, che gli aiuti comunitari al settore agricolo, erogati sotto forma di contributi dal Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEOGA), costituivano sopravvenienze attive e concorrevano alla formazione del reddito d’impresa, onde dovevano essere imputati, secondo il suddetto principio, all’esercizio di competenza) evidenzia che il criterio generale applicabile in tema di reddito d’impresa è quello stabilito dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 1, (TUIR), per cui “I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme del presente capo non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza” che, dopo avere evidenziato la generalità del criterio imputazione all’esercizio di competenza “se non disposto diversamente dalla legge”, specifica che “tuttavia” i componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito d’impresa nell’esercizio in cui ne diviene “certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare”, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza. Così anche Cass. n.2082/2008, in relazione ai contributi del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale, ritenuti contributi in conto capitale da tassare col criterio di cassa, ha ritenuto legittima la imposizione tributaria statale pur in presenza di disposizioni del Regolamento che prevedevano il divieto di effettuare detrazioni e ritenute, in base alla decisione della Corte del 27/10/2007 causa C-427/05.

Orbene sotto questa prospettiva, l’art. 55 laddove, nell’ambito dei contributi, distingue da una parte tra contributi in conto esercizio e contributi impianti(nel senso economico sopra delineato) imputabili col criterio di competenza e, dall’altra, contributi in conto capitale (non collegati all’acquisto di beni ammortizzabili, a cui applica il criterio di cassa, pone in essere quella diversa disposizione prevista dall’art. 75 predetto derogatrice del criterio di competenza (pur adottando il legislatore, nell’ambito specifico di contributi, il criterio d’imputazione per cassa quale regola, relegando l’imputazione per competenza ad l’eccezione, con le ovvie conseguenze in tema probatorio, dovendosi ritenere che il criterio dell’imputazione per competenza debba essere provato da chi lo invoca).

Ora la sentenza, nel momento in cui alla qualificazione del contributo in conto capitale fa conseguire l’applicabilità del criterio d’imputazione per cassa, fa corretta applicazione dei superiori principi, nè il richiamo terminologico, ai contributi impianti evidenzia rilevante contraddizione motivazionale, in quanto non è tanto l’apodittico collegamento dei contributi agli impianti che renderebbe applicabile il diverso criterio d’imputazione invocato dalla ricorrente agenzia, bensì il collegamento funzionale con l’acquisto di beni ammortizzabili. Ora il quesito(ma anche il corpo dei motivi in cui la descrizione degli interventi finanziati, si parla di adeguamento a norme Europee di impianti obsoleti, non evidenzia la necessità di acquisto di beni ammortizzabili ma pone solo un contrasto terminologico tra contributo in conto capitale e il richiamo a quello in conto impianti) non pone in evidenza alcuna contraddizione, che vi sarebbe certamente stata, unitamente a violazione di legge, ove contributi ricollegati all’acquisto di beni ammortizzabili la CTR avesse fatto conseguire il criterio di cassa).

Il motivo è pertanto inammissibile. Anche il secondo motivo è inammissibile.

Non può l’Agenzia dolersi che per l’anno 1999, anche perchè non sarebbero scaduti i relativi termini, la contribuente non abbia fatto le scelte contabili e fiscali coerenti con la sua posizione (intassabilità nel 1998 perchè plusvalenza realizzata nel 1999 e a tale anno imputabile in base al criterio di cassa) in quanto tali censure non sono nè supportate da interesse (laddove si deduce il rischio di doppia imposizione a carico della contribuente) nè pertinenti nè attuali in relazione all’accertamento oggetto di esame che è relativo al 1998.

Non si provvede sulle spese non essendosi la contribuente difesa.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 11 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2011

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