Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7809 del 14/04/2020

Cassazione civile sez. I, 14/04/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 14/04/2020), n.7809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5519-2019 r.g. proposto da:

M.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Immacolata Tropiano, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo

Pec del difensore.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata in

data 1.6.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/1/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da M.S., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano, con la quale erano state respinte le domande volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e al richiesta protezione sussidiaria ed umanitaria.

La corte del merito ha, in primo luogo, ricordato la vicenda personale del richiedente, secondo il racconto svolto da quest’ultimo; il ricorrente ha infatti narrato di aver vissuto sino al 2015 nel suo paese di origine e di essere stato costretto ad abbandonarlo a causa di difficoltà economiche determinate dai danni subite alle proprietà di famiglia da una inondazione, danni per i quali era stato costretto ad indebitarsi e ad emigrare, prima, in Libia, e, poi, in Italia, in cerca di lavoro.

La corte territoriale ha dunque ritenuto che: 1) il racconto svolto dal richiedente in relazione alla sua vicenda personale non era credibile e che, comunque, lo stesso evidenziava una vicenda personale che non era sussumibile nell’ambito di tutela della richiesta protezione internazionale, non essendo emersi atti di persecuzione in danno del richiedente; 2) lo stesso ricorrente aveva confessato di essere un migrante economico e che, comunque, non era stata richiesta protezione alle autorità statali, sicchè non poteva essere neanche invocata la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b, in relazione a possibili agenti di danno privati; 3) non era fondata la domanda di protezione sussidiaria ancorata al diverso parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, posto che il Bangladesh non è percorso da conflitti armati generalizzati; 4) non poteva essere riconosciuta al richiedente neanche la richiesta protezione umanitaria, in assenza di ragioni di effettiva vulnerabilità soggettiva del ricorrente stesso.

2. La sentenza, pubblicata il 1.6.2018, è stata impugnata da M.S. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 2, lett. c. Si evidenzia la mancata valutazione da parte della corte di merito della situazione di estrema povertà e di fragilità emotiva del richiedente collegata alla vicenda personale di quest’ultimo (passaggio in Libia) e alla particolare condizione di soggetto minorenne non accompagnato, allorquando aveva proposto domanda di protezione internazionale.

2. Con il secondo motivo si deduce, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 e art. 19, T.U. Imm., in relazione al diniego di protezione umanitaria.

3. I due motivi di doglianza possono essere esaminati congiuntamente e sono, in realtà, fondati.

3.1.1 Manca, nella motivazione impugnata la valutazione comparativa tra la odierna situazione del ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio in Bangladesh, da condurre in ossequio ai principi che si andranno ad esporre.

Sul punto, non è inutile ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4455/2018, per come confermata anche da Cass., ss.uu., sent. 29459/2019), in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (così, Cass. 1104/2020).

Ciò posto, occorre rimettere al giudice del rinvio la valutazione della predetta comparazione (invece assente nella motivazione impugnata) tra la odierna condizione del richiedente asilo e quella cui egli verserebbe in caso di suo rimpatrio in Bangladesh, e ciò con particolare riferimento a quei profili di particolare vulnerabilità resi evidenti dalla vicenda personale del ricorrente, che è stato costretto ad emigrare allorquando era ancora minorenne in relazione ad una condizione di estrema povertà e che aveva subito traumi dal suo passaggio in Libia.

Osserva il collegio, in proposito, che è compito del giudice di merito procedere ad una accurata ed approfondita valutazione della situazione di vulnerabilità sopra descritta, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, il giudice è tenuto ad esaminare la domanda anche alla luce delle informazioni sul paese di transito.

Il giudizio comparativo tra la condizione personale del richiedente protezione e le conseguenze di un suo eventuale rimpatrio – giudizio alla luce del quale, secondo l’insegnamento di questa Corte (Cass. 4455/2018), andranno valutati funditus, operandone poi un bilanciamento di tipo ipotetico, l’attuale condizione dell’istante nel paese di accoglienza ed il suo futuro ricollocamento in quello di provenienza – non può prescindere dall’analisi e dal significato del sintagma “condizione di vulnerabilità” vulnerabilità che, alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite, rappresenta soltanto una delle ipotesi per le quali può riconoscersi la protezione umanitaria (così, Cass. 1104/2020, cit. supra).

Le sezioni unite, invero, con la sentenza poc’anzi citata, hanno definitivamente chiarito, quanto ai presupposti necessari per ottenere la protezione umanitaria (in consonanza con la citata pronuncia 4455/2018 di questa Corte):

1. che non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano;

2. che gli interessi protetti non possono restare “ingabbiati” in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096);

3. che le relative basi normative non sono, allora, “affatto fragili” (come affermato, invece, nell’ordinanza di rimessione), ma “a compasso largo”: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, con il sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione;

4. che andava, pertanto, condiviso l’orientamento di questa Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e seguito, tra le altre, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19, cit.) che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;

5. che, con riferimento all’ipotesi che precede, non poteva, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, “nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072). Si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 3 aprile 2019, n. 9304)”.

Il collegio esprime convinta adesione (al di là del vincolo ex lege che lo impone) a tale insegnamento.

Chiariti i principi posti a presidio dell’istituto della protezione umanitaria, caratterizzata dalla morfologica esigenza di procedere a valutazioni soggettive ed individuali, condotte caso per caso (onde impedire che il giudice di merito si risolva a declinare valutazioni di tipo “seriale”, improntate ai più disparati quanto opinabili criteri altrettanto seriali), va nuovamente riaffermato il principio secondo il quale, in subiecta materia, oggetto del giudizio è pur sempre la persona, i suoi diritti fondamentali, la sua dignità di essere umano (così, Cass. 1104/2020, cit. supra).

Il giudizio di bilanciamento evocato dalle sezioni unite di questa Corte, che ne sottolineano il rilievo centrale, ha, testualmente, ad oggetto la valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare, si ripete, la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

Si impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello meneghina affinchè ripeta la valutazione comparativa sopra descritta alla luce dei principi qui di nuovo riaffermati.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2020

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